8 marzo: per la parità non c’è niente da festeggiare

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Qual è lo stato di salute della parità di genere in Italia? L’8 marzo è ogni anno l’occasione per tastare il polso alla qualità della vita delle donne. La fotografia che ci restituiscono i dati e le ricerche è quella di una marcia verso le pari opportunità, che ha subìto una pesante battuta d’arresto a causa della pandemia. Gli ultimi due anni hanno visto peggiorare ulteriormente le condizioni delle donne dal punto di vista della vita professionale e familiare. Ma dove dobbiamo guardare per rimetterci in corsa: alla formazione, in primo luogo e ai fondi del Pnrr, che sono un’occasione che il Paese non può permettersi di perdere. Ma oltre alla pandemia, ci saranno da misurare anche le inevitabili conseguenze della disastrosa guerra in Ucraina. Una tragedia umanitaria che avrà ripercussioni anche sulla ripresa economica a livello globale.

Effetto pandemia

Secondo il sondaggio Ipsos “Il futuro dello Smart-Working: opportunità e rischi per aziende e lavoratori” (2021): le donne con figli riportano una percentuale più alta di stress dovuto ai cambiamenti nelle routine lavorative e alle pressioni sulla cura della famiglia durante la pandemia: il 61% delle mamme è stressata dalla pressione in famiglia come il prendersi cura dei figli (contro il 53% dei papà) e il 54% di loro ha anche dichiarato una produttività ridotta dall’inizio della pandemia (contro il 46% dei papà). Questa situazione pesa in maniera decisiva sulla vita professionale: meno di una donna su due lavora (48,6%) e anche nell’inquadramento e nella retribuzione sono svantaggiate rispetto ai colleghi uomini, con solo il 2% di donne ceo.

La pandemia aveva ridotto il tasso di occupazione femminile sotto il 48% (ora al 50,1% dati gennaio 2022 dell’Istat) e ampliato secondo i dati Istat il gap occupazionale tra donne e uomini (da 17,9 a 18,9 punti). In base ai dati del Global Gender Gap Report 2021 (WEF), le donne registrano tassi di disoccupazione più elevati, in parte anche perché spesso sono impiegate con contratti precari e in settori più colpiti dalla crisi. L’Istat ha registrato che nel 2021 il 5% di tutte le donne occupate ha perso il lavoro, rispetto al 3,9% degli uomini, e il reinserimento lavorativo è stato più lento.

Secondo Valerio Mancini, professore e direttore del Centro di ricerca della Rome Business School e tra i curatori del report “Il Gender Gap in Italia. Donne, Covid e futuro del lavoro: il ruolo del PNRR e del mondo dell’informazione”, “l’antidoto per affrontare questa emergenza è quello di incentivare percorsi di studio che vadano nella direzione dei settori a più alta occupabilità, rendere effettiva la normativa antidiscriminatoria sui luoghi di lavoro e investire in maniera poderosa sulle infrastrutture sociali”. Infatti, l’occupazione femminile è più bassa laddove è più fragile la rete delle infrastrutture sociali, evidenziando per Valerio Mancini, “non due ma quattro Italie: il Nord e il Sud, le grandi città e le aree interne”.

L’occasione delle professioni Stem

La formazione nelle materie STEM, dalla matematica al digitale, è quindi uno snodo fondamentale per rendere le donne ad essere protagoniste dei lavori del futuro. “La più grande sfida che impedisce di colmare il divario economico di genere – secondo Simona Sinesi, imprenditrice e docente presso la Rome Business School – è infatti la sotto-rappresentanza femminile nelle professioni emergenti”. Nel cloud computing, ad esempio, solo il 12% dei professionisti sono donne. Allo stesso modo, nelle professioni legate all’ingegneria, all’analisi dei dati e intelligenza artificiale, i numeri sono rispettivamente del 15% e del 26%.

Ai vertici delle imprese

In Italia sono sempre meno le donne ai vertici delle aziende
Così, se molte sono le donne che hanno perso il lavoro, poche sono quelle che riescono a raggiungere ruoli di leadership: la percentuale di donne ceo in Italia, secondo i dati dell’associazione European Women on Boards (EWB), è scesa nel 2021 al 3% (dal 4% nel 2020), il che posiziona il nostro Paese in fondo alla classifica assieme a Germania (3%) e Svizzera (2%) e dietro a Spagna (4%) e Portogallo (6%), contro il 26% della Norvegia, il 18% della Repubblica Ceca e 14% della Polonia. Al di fuori dei consigli di amministrazione la leadership femminile in Italia è ancora lontana dall’essere bilanciata: la percentuale di donne nei livelli esecutivi è solo del 17%, contro il 32% della Norvegia e il 24% della Gran Bretagna.

Anche nel settore dei media in Italia, nonostante il 40% delle redazioni sia composto da giornaliste, “abbiamo solo una direttrice di un’agenzia stampa, Alessia Lautone, e di quotidiano nazionale, Agnese Pini, e le voci al femminile risultano essere ancora fortemente marginalizzate nelle news quotidiane”, commenta Alessio Postiglione, Program Ddirector del professional master in Corporate Communication Management della Rome Business School.

I fondi del Pnrr
Il Pnrr dà all’Italia la straordinaria opportunità di costruire un’economia più resiliente, che si basi sulla parità di genere, investendo in luoghi di lavoro inclusivi, creando sistemi di assistenza più equi, promuovendo l’ascesa delle donne a posizioni di leadership e applicando una lente di genere al futuro del lavoro. Secondo Valerio Mancini, “in Italia, con il PNRR sono stati stanziati circa 40 miliardi di euro, volti a sostenere l’occupazione femminile ma, nonostante gli ingenti finanziamenti previsti dal Piano, la precarietà occupazionale e la discontinuità con tutta probabilità continueranno a colpire soprattutto le donne. Dal punto di vista delle disuguaglianze di genere, infatti, c’è ancora molta strada da percorrere. Se solamente poco più del 20% delle donne lavora, significa che le politiche di genere attuate finora sono state altamente insufficienti”. E le deroghe – previste dal testo pubblicato in Gazzetta Ufficiali pochi giorni fa – all’impegno di assumere almeno il 30% di donne con i bandi del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono un’amara conferma.

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