8 marzo per le donne ucraine che lottano, il messaggio di Mattarella

094bc307ad22468da311f04e1efad42c-0-56cbf953c7ba46fd94a5d197bafa23fe

Madri, lavoratrici, giovani colpite da una violenza inattesa, crudele, assurda. Donne che partecipano coraggiosamente alla difesa della loro comunità, donne costrette a ripararsi nei rifugi d’emergenza, che lasciano le loro case e il loro Paese, che hanno paura per i loro figli, che prestano cura ai più deboli, che piangono morti innocenti”. Alle donne ucraine – con questo messaggio – il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella dedica l’8 marzo, Giornata internazionale delle donne.

Donne in mezzo alla guerra, in cammino da sole o con i propri figli per raggiungere i confini, perché gli uomini sono obbligati a rimanere nel paese e combattere. Sono donne che sfidando bombe e violenze, partoriscono i figli nei rifugi, combattono al fianco dei soldati, accolgono e aiutano. Come Svetlana, che è riuscita a portare in Italia i suoi nipoti. “Qui non cadono le bombe zia, mi piace questo paese”. I 4 nipoti di Svetlana sono appena arrivati a Milano da Romankivtsi, un paesino ucraino nella provincia di Chernivtsi, nel sud ovest del paese, vicino al confine con la Moldavia e la Romania. Vivevano lì con la nonna, nei giorni scorsi hanno raggiunto la madre e la zia, che cercano di aiutare i loro connazionali in fuga. “Siamo riuscite a portare i bambini in Italia. Ora sono con me, li sto ospitando a casa della famiglia presso cui lavoro. Sto cercando un appartamento, sto impazzendo per capire cosa devo fare. I bambini ogni giorno mi chiedono quando andiamo a casa, mia nipote ha paura, soffre. Così non possiamo continuare, ai bimbi serve il loro spazio, questa non è la vita giusta per loro”, spiega Svetlana a Radio24.

Piange mentre racconta la sua storia, dice che non dorme più, solo mezz’ora a notte, deve aiutare i suoi connazionali in fuga dall’Ucraina, procurare loro cibo, vestiti, mandare i pullmini. “Noi siamo fortunati, io e mia sorella siamo in Italia dal 2003, abbiamo un lavoro, ma gli altri come faranno, chi li aiuterà? Chi li ospiterà, dove andranno? Non possiamo chiedere agli italiani: aprite le vostre porte. Io cerco di non crollare ma oggi mi viene da svenire perché non so cosa fare, come comportarmi”, dice tra le lacrime. Per Svetlana sono giorni orribili. Durante l’esodo dei suoi nipoti verso l’Italia c’è stato un momento in cui ha avuto paura di perderli. “Mia sorella Elena ha due figli di 13 anni e 26 anni, la grande ha due bimbi di 2 e 4 anni. Il marito di mia nipote li ha accompagnati al confine con la Romania, ma è dovuto rimanere in Ucraina a combattere. Mia sorella è andata a prenderli ma non li ha trovati, erano saliti su un pullman diretto chissà dove. Eravamo disperati, non abbiamo più avuto notizie per ore”. Svetlana ha paura anche per suo fratello, 26 anni, arruolato qualche giorno fa dalle forze ucraine: “Sono venuti a prenderlo”, racconta. E teme per la vita della madre, rimasta a Chernivtsi. “Non hanno cibo, non hanno nulla, ho sentito mia mamma, stavano bombardando”.

A Leopoli invece c’è Mariana, rappresentante della comunità ucraina a Roma, da sei mesi tornata nel suo paese, dove vive col marito e i due bimbi di 2 e 5 anni. Il piccolo è in cura al Bambin Gesù di Roma, ma a causa della guerra ha dovuto saltare le ultime visite. “A Leopoli la situazione al momento è abbastanza tranquilla – precisa Mariana a Radio24 – Sono arrivati molti aiuti dal popolo ucraino e dall’Italia, abbiamo organizzato i camion per Kiev, Kharkiv, Mariupol, città che si trovano sotto i bombardamenti. La gente non riesce a uscire, a comprare un pezzo di pane, a raggiungere le proprie abitazioni. A Kharkiv, a Nord est del paese al confine con la Russia, le persone restano nei rifugi sotterranei e nelle metropolitane. Noi cerchiamo di star loro vicino, li accogliamo o portiamo cibo, alimenti per i bambini, pannolini, indumenti caldi, oggetti per l’igiene personale”. Mariana chiede notizie di quello che sta succedendo, perché lì le informazioni arrivano frammentate.

Come Svetlana e Mariana ci sono migliaia e migliaia di donne in mezzo ai conflitti, donne che restano nelle loro case o scappano per dare un futuro ai figli. “Sono donne ostaggio delle guerre, dall’Ucraina all’Afghanistan”, spiega Simona Lanzoni, vice presidente Fondazione Pangea Onlus. “Da una parte in Ucraina le donne sono mandate fuori dalle situazioni di guerra con i bambini, gli anziani e i malati che non possono combattere. Dall’altra parte, in Afghanistan abbiamo donne che non possono uscire di casa – tantomeno attraversare le frontiere – se non accompagnate da un uomo. In tempo di conflitti, inoltre, aumentano le violenze sia in famiglia sia fuori: pensiamo agli stupri di guerra di cui si parla ora in Ucraina. Sono sicura che anche in Russia la violenza sia aumentata”, conclude Lanzoni.

In tutto il mondo, dall’Ucraina all’Afghanistan alla Siria, dall’Europa agli Stati Uniti, ci sono donne che combattono, resistono, accolgono. A loro dedichiamo questo 8 marzo.

Sul sito di Radio24 le testimonianze e le voci delle donne ucraine.

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.