Afghanistan, i progetti di OTB Foundation per l’emancipazione delle donne

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“Diamo un aiuto, una speranza alle donne afgane rimaste lì o che hanno scelto di restare per riattivare le attività di emancipazione”.

Non spegnere i riflettori. Con un accorato appello a parlare dell’accoglienza degli afgani dopo quattro anni di lavoro è Arianna Alessi, vicepresidente di OTB Foundation. L’Afghanistan è una nazione in guerra da 40 anni e dall’agosto scorso, con il ritorno dei Talebani al potere, si è interrotta la lenta ricostruzione del Paese. La fondazione è sul luogo con tre organizzazioni.

La prima esperienza nata con l’ associazione CIAI è il progetto “Fearless Girls”, che ha aiutato 30 ragazze minorenni all’interno delle carceri di Kabul ed Herat, condannate per crimini contro la morale o perché si erano ribellate a genitori che volevano farle diventare spose giovani o per abusi e violenze subite da parte di adulti. “Abbiamo dato loro supporto psicologico legale ed educativo – racconta Arianna Alessi ad Alley Oop –  mentre erano dentro al carcere. Ne abbiamo portate fuori trenta e inserite all’interno di comunità”.

Poi c’è stato l’incontro con Nove onlus, un’organizzazione conosciuta attraverso un bando nel 2018, tra quelle operanti all’estero sul tema dell’ empowerment femminile. “L’associazione aveva aperto delle scuole guida per le donne – prosegue Arianna Alessi – Questo ci ha incuriosito, perché si tratta di un’iniziativa in uno stato dove la donna non ha diritti, non può condividere un mezzo di trasporto con un uomo, comprare la macchina, la moto, guidare una bici. Nove onlus aveva aiutato 235 ragazze a prendere la patente, e nelle strutture si occupava di emancipazione per le donne, spiegava i loro diritti e cosa potevano fare”.

E’ stato lanciato così il progetto “Pink Shuttle”, un servizio di trasporto gratuito tutto al femminile: donne alla guida di navette che accompagnano solo donne in un percorso determinato all’interno di Kabul. Le autiste sono selezionate, formate e autorizzate dalle loro famiglie e dal consiglio degli anziani a far parte del progetto. Anche le passeggere vengono scelte attraverso accordi con gli enti in cui lavorano o studiano, vengono definiti gli orari dei trasferimenti e precisi itinerari. L’obiettivo è convertire il servizio da un’attività gestita da un’organizzazione no profit a commerciale, gestito direttamente da donne afgane. L’iniziativa mira a risolvere uno dei maggiori ostacoli all’emancipazione delle donne in Afghanistan: la libera mobilità.

Poi è arrivato il Covid e Nove onlus ha comunicato che dovevano usare le navette per dare supporto alle persone a casa, utilizzandole come mini-ambulanze. La fondazione ha fornito dei kit di mini-soccorso, medicine, tutto quello che serviva in periodo pandemico, ha fatto formazione a infermiere per accompagnare le donne in ospedale con le vetture.

L’arrivo dei Talebani

Ad agosto dell’estate scorsa i referenti a Kabul hanno chiamato la Fondazione OTB  per avvisare che alla loro partenza gli americani hanno lasciato negli uffici la lista delle associazioni straniere che operano in Afghanistan per l’ emancipazione donne. I Talebani, quindi, avrebbero avuto nome e cognome di tutti coloro che avevano collaborato con le associazioni e le istituzioni occidentali, e per loro poteva tradursi  in una condanna a morte.

Insieme a Pangea Onlus, OTB si è organizzata per creare ponti aerei e rimpatriare le persone inserite in una black list, una lista di evacuazione urgente. “Ci siamo attivati per portare persone da Kabul – descrive Alessi – e farle arrivare in Italia. Abbiamo supportato il viaggio di 300 persone, parte del gruppo di 5000 giunte nel nostro Paese“.

Nella fuga le donne seguite dalla fondazione si sono presentate di notte indossando un foulard rosso sotto la tunica, e al segnale hanno alzato la mano in modo da essere riconosciute, portate in aeroporto e salvate. Prima che l’headquarter fosse conquistato dai Talebani, i mini-van sono stati messi in sicurezza e ora vengono usati da organizzazioni che operano nell’ambito del soccorsi umanitari, trasportando dottoresse e infermiere che danno supporto alimentare, medicine, trasporto a chi ha bisogno.

Sempre in Afgahhsnistan OTB continua a sostenere Nove Onlus nel progetto “Lifeline Emercency Program”, un programma che fornisce assistenza primaria a 1400 ‘vulnerabili’ a Kabul sotto forma di alimentazione e protezione contro il freddo dell’inverno afghano. In questo contesto Arianna Alessi accenna a una nuova emergenza, il commercio di figlie femmine in età pre-scolare date in spose agli anziani in cambio di denaro per sfamare le famiglie. Un’ulteriore pericolo per le bambine e ragazze, che già sono state escluse dal rientro a scuola dopo i 12 anni di età.

Da tempo la fondazione lavora anche con UNHCR, organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati. A fine agosto durante la fuga dalle città principali, grazie a un’importante donazione di OTB, più di 300 famiglie hanno avuto un alloggio di prima emergenza, una tenda collocata vicino ai corridoi di sicurezza in cui ritrovarsi al sicuro, sotto la protezione dell’organizzazione.

Per quanto riguarda le persone arrivate in Italia collegate alle sue organizzazioni, OTB si era già mossa con comuni e privati per trovare case, appartamenti sfitti. Poi il Ministero dell’Interno ha deciso di sparpagliare i profughi in giro per l’Italia e dividerli tra le varie prefetture. Una volta assegnati alle strutture di accoglienza, entrano in un percorso e la fondazione fornisce traduttori, si attiva per inserirli nelle scuole, li aiuta a creare il cv, e ha anche finanziato delle borse di studio.Tra chi è riuscito a fuggire dall’Afghanistan con la sua famiglia c’è l’imprenditore  Kazim Baqueri Syed, che la fondazione ha deciso di assumere.

“Mi ha colpito – confida Arianna Alessi ad Alley Oop – perché Kazim aveva un’ azienda IT di sessanta persone a Kabul e dei figli. I Talebani gli hanno portato via tutto, è arrivato in Italia senza niente. I profughi come lui hanno grinta, voglia di fare, fame negli occhi. Quando a settembre è arrivato in Italia abbiamo aiutato la sua famiglia, ci siamo attivati per fargli avere i documenti per iniziare a lavorare”. Attualmente OTB sta supportando cinquanta persone nelle varie realtà in cui sono collocate, con l’acquisto di mobilio, vestiti, cibo, medicine, vaccini, un telefonino se serve, un pc, un tablet. Cerca di abilitarle nel mondo del lavoro.

E’ stato sovvenzionato anche il progetto JobClinic Online realizzato con Italia Hello e Joel Nafuma Refugee Center per lo sviluppo di un’applicazione che aiuta i profughi ad avere corsi di lingua italiana gratuiti, il cv, con link nel mondo del lavoro per essere accompagnati a integrarsi.

La onlus del gruppo OTB, il polo di moda internazionale fondato dall’imprenditore Renzo Rosso, a cui fanno capo i marchi Diesel, Maison Margiela, Marni, Viktor & Rolf, Jil Sander, Amiri e le aziende Staff International e Brave Kid è operativa dal 2008 con centinaia di progetti di sviluppo sociale in tutto il mondo. Composta da tre donne, uno dei pilastri della fondazione è quello di garantire che tutti i fondi raccolti attraverso le iniziative vadano direttamente ai beneficiari finali dei progetti che sostiene, senza disperdere nulla. È anche per questo motivo che possono vantare costi di gestione prossimi allo zero, grazie a una struttura molto snella che, sin caso di necessità, si avvale delle competenze interne del gruppo di cui fa parte.

La fondazione da sempre aiuta i giovani e le donne. Tra i diversi progetti ha anche
un centro antiviolenza, un servizio di ascolto attivo 24 ore su 24, che fornisce assistenza legale e psicologica, e consente alle donne che lo richiedono di trovare conforto e conoscere i propri diritti, oltre che offrire in alcuni casi la possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro attraverso tirocini formativi.

“Bisogna insegnare i diritti delle donne – commenta  Arianna Alessi – perché alcune non li considerano, come quello di allontanare chi fa loro violenza.
Piano piano le donne stanno arrivando in luoghi dove il potere decisionale è importante per la comunità. Vorrei più emancipazione in Italia, ma deve cambiare il sistema per dare più possibilità di accedere al mondo del lavoro”.

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