Giornata della memoria, le donne che fecero Milano multiculturale

pietre

Viva l’Italia che crede nella memoria e anche per il 27 gennaio 2022 decide di rendere omaggio a centinaia di persone deportate nei campi di sterminio e mai più tornate a casa. Le circa 600 Pietre d’inciampo posate in Italia in questi giorni e nelle settimane a venire sono la prosecuzione di quel progetto infinito nato nel 1992 per volere dell’artista tedesco Gunter Demnig e diventato patrimonio di tutti perché chi è sparito nell’orrore dei lager torni a casa e perché le Pietre ci dicano, a ogni passo, che, come ripete la senatrice a vita, Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz: «la Memoria è un vaccino prezioso contro l’indifferenza».

Fra le 600 nuove Pietre che renderanno più ricco il nostro Paese, 24 sono a Milano, grazie al lavoro e agli sforzi del Comitato per le Pietre d’inciampo di Milano, presieduto da Marco Steiner, e in collaborazione con il Comune di Milano. Le storie sono ben più delle 24 persone ricordate e uccise per il loro credo religioso, politico, per la loro razza. Sono volti che ritrovano la loro città e noi li scopriamo e li celebriamo. In questo spazio, in particolare, desideriamo raccontare i volti femminili: spesso di mamme e figlie, magari arrivate da lontano (Egitto, Turchia) e accomunate da un tragico, comune destino.

Aurelia Allegra Levi Finzi

Aurelia Allegra Levi Finzi

Ci sono una mamma Aurelia Allegra Levi Finzi (Vercelli, 1874) e sua figlia Emma Laura (Milano, 1905). Il fratello Giulio si era trasferito a Londra e, quando capisce che per gli ebrei italiani le cose si mettono male, ottiene permessi e biglietti per la mamma e la sorella ma Aurelia si sente al sicuro in Italia. Tenta poi la fuga verso la Svizzera ma è ormai troppo tardi. Viene arrestata con la figlia Emma e non faranno più ritorno da Auschwitz. Oggi, due pietre le ricordano in via Giurati 5 e anche alcuni oggetti decorati da Emma e conservati ancora da Sylvia, la nipote, figlia del fratello Giulio: Emma aveva una gran vena creativa che la portava a decorare foulards e sciarpe in seta, oggetti in vetro e complementi d’arredo (specchi, lampade e altro). L’arte, la cultura oltre la barbarie.

C’è un’altra coppia mamma-figlia ricordata con le pose di queste settimane (in via Carcano 5): Annita Bolaffi Latis (Osimo, 1892) e Liliana Latis (Modena, 1921). Il capofamiglia è Leone Latis, originario di Modena e gestore di un’attività commerciale. Dopo la nascita dei figli Giorgio e Liliana, decide di raggiungere il fratello Giuseppe a Milano. Le due famiglie sono molto unite, i cugini inseparabili e pieni di idee e assetati di cultura, tanto da mettere in piedi perfino un teatro di marionette con cui portano in giro nei salotti milanesi opere di García Lorca, Cocteau e Dickens. Poi, le leggi razziali, l’espulsione dal liceo (solo Liliana riesce a diplomarsi alle Magistrali, perché duravano un anno di meno). Ma la guerra, i bombardamenti, la paura disgregano le famiglie: Giorgio entra nella Resistenza, Leone, Annita e Liliana cercano di scappare in Svizzera ma senza fortuna. Sono arrestati e destinati al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. E a rimettere insieme le loro storie è l’amore del fratello di Leone, Giuseppe Latis, che tornato dalla Svizzera dopo la Liberazione, inizia le ricerche e mantiene la memoria.

Ancora donne fra le figure omaggiate dalle Pietre milanesi del 2022: Rebecca Yohai Varon (1882) e Signurù Varon (1914) vengono da lontano, da Gallipoli, in Turchia, e arrivano a Milano con papà Moisè (1881) e il fratello Vitali (1908), vivono nelle “case minime” di Baggio. Moisè è venditore ambulante, Rebecca casalinga, la figlia Signurù trapanista, e Vitali, che abita in un altro appartamento, manovale. Le leggi razziali li spazzano via. L’arresto, la deportazione, l’uccisione ad Auschwitz. Solo Vitali si salverà.

Fra le Pietre milanesi del 2022 altre due sono dedicate a figure femminili. Wanda Vera Heiman era nata ad Alessandria d’Egitto nel 1887. Donna molto indipendente e battagliera, nel 1909, a 22 anni, è nel registro immigrazione del piroscafo Duca degli Abruzzi in ingresso a New York registrata come “activist”, anche se non si sa a sostegno di quale causa si fosse spinta così lontano. Il suo spirito ribelle la porta qualche anno più tardi ad aderire al Fascismo della prima ora e a perorarne la causa, tornando altre due volte oltre oceano, per conto del Popolo d’Italia. Nel 1933, un’altra brusca sterzata la porta al confino politico per sette anni, accusata di essere diventata una “sovversiva antifascista”. Poi, le sue notizie si perdono fino all’arresto nel dicembre del 1943 e il viaggio verso Auschwitz, inghiottita dalla furia nazista.

Anche per Beatrice Ottolenghi, ricordata con una Pietra in via Hayez 19, mancano gli ultimi frammenti della vita. Nata a Venezia nel 1900, era arrivata a Milano seguendo il fratello Achille, avvocato. Si prende cura della mamma fino alla sua morte nel 1942, poi i bombardamenti su Milano e la fuga verso la Brianza: Bice con la sorella Maria e il fratello Achille con moglie e figlia. Maria riesce a riparare a Roma, Achille in Svizzera, Bice invece è arrestata mentre tenta di oltrepassare il confine, inviata a Fossoli e di lì ad Auschwitz. Nulla di sa del luogo e della data di morte. Questa Pietra la riporta nella Storia e nella Memoria.

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