Giornata della memoria, i giovani rendono “social” le pietre d’inciampo di Milano

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Photo by Eduardo Casajús Gorostiaga

Le Pietre d’inciampo come storie di memoria e semi di futuro: in Italia ce ne sono circa 1.500 in più di 130 comuni e, in occasione del Giorno della Memoria 2021, altre renderanno piazze, strade, vie ancora di più pagine di storia e di coscienza civile. Tutto a cielo aperto, sotto i nostri occhi. Il progetto iniziale dell’artista Gunter Demnig, avviato nel 1992 a Colonia, vuole ridare un nome e una storia a tutte le vittime della violenza nazista e associazioni, istituzioni, scuole studiano figure di deportati per motivi razziali e politici per “riportali a casa”, come dice Marco Steiner, presidente del Comitato Pietre d’inciampo di Milano.

Fra le pietre che proprio a Milano saranno poste, ben sette ricordano donne inghiottite dai campi di sterminio. Iginia, Olga, Ines, Rebecca, Allegrina, Ida e Olga ora hanno di nuovo volti e vite: le sentiamo vicine, sono vicine a noi. Proviamo a raccontarle così come la ricerca storica del Comitato milanese ce le ha restituite.

Iginia Fiorentino è livornese, è nata nel 1872 e insegna a Milano dal 1919 nella scuola femminile Tenca e poi alla scuola di avviamento professionale Giulio Romano. A causa delle leggi razziali viene obbligata ad abbandonare l’insegnamento e ad allontanarsi. Con la sorella, il fratello e la sua famiglia, trovano rifugio a Porto Ceresio (Varese). Sono ormai anziane sia Iginia che la sorella Emilia ma, nel novembre 1943, iniziano i rastrellamenti anche delle persone over 70 e Iginia viene incarcerata a San Vittore per finire ad Auschwitz dove sarà uccisa all’arrivo.

Stesso destino per Olga Luigia Ascoli Levi, anche lei livornese. Era approdata a Milano con il marito Guido Levi, commerciante. Sfollano a Como, credono che, vista l’età, non saranno arrestati ma la furia tedesca non ha confini: Olga, 66 anni, e il marito Guido, 61, sono incarcerati e mandati a morire in Polonia.

Le sorelle Olga e Ines Revere sono mantovane, divise da cinque anni di differenza (1897 e 1902): a Milano aprono un’attività di sarta e modista per privati. Negli anni convulsi seguiti alle leggi razziali si rifugiano a Stresa, sul Lago Maggiore, ma decidono di rientrare a Milano. Forse a condannarle è il tradimento del proprietario dell’officina sotto casa: dopo il viaggio tragico fino ad Auschwitz, di loro non si sa neppure quando furono uccise.

La ferocia nazista è nelle pieghe di tutte queste storie, di queste vite che, con il lavoro e la fatica quotidiana, cercavano di garantirsi un futuro e condizioni migliori. Ma nulla può esistere se a dominare è la barbarie, la crudeltà: Rebecca Abolaffia Varon nasce a Gallipoli, in Turchia, nel 1891, sposa Moise Varon e avranno almeno quattro figli: Allegrina (1914), Ida (1918), Lucia (1920) ed Elia (1922). Si trasferiscono a Milano dove Moise gestisce una rivendita di olio d’oliva. La vita della famiglia Varon, nelle “case minime” di Baggio, scorre lenta, fra mille impegni, i ragazzi che crescono, le preoccupazioni per il clima che in città si fa sempre più pesante.

Poi, nel 1940, la morte del capofamiglia e pochi anni dopo la furia nazista contro quella famiglia di ebrei: mamma Rebecca e la figlia Ida sono arrestate nel 1944, deportare ad Auschwitz e uccise all’arrivo. Allegrina riesce a nascondersi, a trovare rifugio presso qualche uomo o donna di buona volontà che la aiutano ma le maglie tedesche si stringono anche attorno a lei: sarà arrestata a fine 1944, trasferita a Bolzano e poi verso il campo di Ravensbruck. Di lei non si saprà più nulla.

La tragedia del mondo travolge la famiglia Varon, la spazza via. Si salva solo Elia al quale, a guerra finita, la Cariplo restituisce quanto risulta confiscato a Rebecca Abolaffia Varon: lettini in ferro, una stufa in ghisa, fornelli a gas, un piccolo tappeto, tre golf da donna, cinque matasse di filato di lana “per un valore totale di 3.170 lire”. Sì, tutta la storia di una famiglia che viveva del proprio lavoro e nel veder crescere i propri figli ridotta a 3.170 lire. Ma, oggi, le Pietre d’inciampo ridanno luce, dignità, giustizia a tutte queste donne e uomini violentati dalla storia.

Impariamo i loro nomi, insegniamoli ai nostri figli quando vediamo le loro Pietre, non dimentichiamole. E andiamole a cercare anche su Instagram nel progetto Instagram History, realizzato con Imille agency, Ctrl Magazine e gli studenti degli istituti Galdus, Carlo Porta, Manzoni e Marconi: l’account @milanopietredinciampo racconta tutte le 121 Pietre milanesi che sono state posate nel corso degli anni perché la Memoria sia contemporanea, viva ed eterna.

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