L’arte è accessibile solo a chi se lo può permettere?

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Il 5 novembre apriva a Rotterdam in pompa magna il Depot del museo cittadino Boijmans von Beuningen. Scioglilingua del nome a parte, questa struttura è il primo deposito al mondo di opere d’arte che presenta al pubblico le collezioni non esposte in quel momento nella sua sede ufficiale. Mette in mostra i pezzi mentre vengono restaurati, spostati per essere prestati ad altre istituzioni o studiati. Questa struttura avveniristica offre, quindi, la possibilità di vivere tutto il dietro le quinte di una sede espositiva. Nello sviluppo architettonico del Depot, dalla sua progettazione alla sua realizzazione, la cittadinanza è stata sempre coinvolta. Prima invitata a visionare planimetrie e modellini negli spazi principali del museo, a pochi metri da dove si trova oggi  l’enorme “vaso” di vetro. Poi, un anno e mezzo fa, con la struttura esterna completa, a visitare gli interni ancora vuoti e in attesa di essere “abitati” dalle opere.

La particolare storia dell’evoluzione di questo deposito, specialmente dopo questi due anni di restrizioni che hanno colpito pesantemente i settori culturali e l’intrattenimento, solleva la domanda su quanto l’arte sia effettivamente accessibile. E, conseguentemente, quanto invece possa essere causa dell’accrescersi di alcune disuguaglianze.

Studi effettuati in UK pre-pandemia, segnalavano che chi va a per musei solitamente si sposta entro una media di 30 km dalla propria abitazione. Se poi si può scegliere, il turismo culturale predilige le mostre blockbuster, generalmente allestite in istituzioni conosciute e famosissime. Spesso molto costose. Queste evidenze credibilmente si sono acuite causa emergenza sanitaria. E hanno creato altre disparità anche proprio in termini di sopravvivenza dei luoghi (e dei lavori dei loro dipendenti).

Le strutture più grandi, che hanno certo molto patito a causa delle chiusure, più facilmente godono di supporti importanti da parte di generosi donatori, per esempio, e rischiano un po’ meno di scomparire. Basti pensare poi anche ai servizi diversificati (dai museum-shop alle “esperienze” di varia natura) che sanno offrire, ai percorsi digitali innovativi che magari hanno potuto sperimentare negli ultimi due anni. O anche alle strutture manageriali spesso solide, che da subito hanno lavorato nel realizzare visioni a lungo termine. Un po’ a dire che per quanto colpiti da un crollo dei numeri, sia di visitatori (per esempio, nel 2021 il Louvre ho accolto meno del 30% di spettatori rispetto ai livelli pre-pandemia) sia di entrate, hanno comunque vissuto un processo di adattamento drammatico ma contraddistinto da alcune basi più salde.

L’arte continua a essere prodotta; non si ferma per la pandemia”, si leggeva su un editoriale del Guardian ad agosto 2020. Ma “chi la potrà vedere? Chi si troverà nella posizione di poter liberare davvero il suo potenziale creativo? Che si ritiri ancora una volta nelle case dei ricchi?” Si perché è chiaro: la chiusura delle strutture di cultura non riguarda solo un settore turistico che ha sofferto particolarmente per la riduzione del numero, per esempio, degli stranieri in vacanza. Il fallimento evidente di progetti locali influenza la possibilità di intere comunità di accedere alle espressioni artistiche. E questo gioca un ruolo anche sulla possibilità di confrontarsi con l’avvenire. E sulle opportunità per i giovani.

Ci è voluto qualcosa come (una pandemia) per mostrare quanto importanti siano i musei come luoghi dove pensare diversamente al futuro. Luoghi per riconnettersi con le cose che sono di importanza fondamentale per la vita. E luoghi dove ricollegarsi con persone e culture dopo questo periodo di privazione”, commentava Lara Strongman, direttrice del Museum of Contemporary ART (MCA) di Sidney. La situazione ha certamente portato a sviluppare iniziative e progetti culturali oltre le mura degli spazi espositivi. Come non ricordare le tante possibilità di partecipare a eventi digitali, ai percorsi di visita virtuali. Ma c’è da domandarsi: chi e quanti li seguono? Che face d’età? Quali strati sociali?

Insomma, sembra che la situazione anche se creativamente ricca, non abbia portato al momento a una maggiore inclusione. Anzi. Secondo la the audience agency, realtà inglese che si occupa tra le altre cose di monitorare l’accesso all’arte in tutte le sue forme, “il coinvolgimento culturale era diseguale già prima del COVID. (La pandemia) ha colpito e credibilmente continuerà a colpire le persone in modo differente. Quindi, a parità di condizioni, quella pre-esistente disparità è destinata ad aumentare”.

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