Le tecnologie non decidono nulla, contano le persone quando sono uno strumento di inclusione. Lo racconta un’esperienza di Techedge, multinazionale nata in Italia attiva nella progettazione e sviluppo di tecnologie software e consulenza per la trasformazione digitale, che ha aperto le porte dei propri uffici milanesi a un gruppo di donne rifugiate provenienti da tutta Italia.
L’obiettivo era individuare chi ha le competenze tecniche, tecnologiche e teoriche necessarie per lavorare in azienda e offrire loro un contratto a tempo indeterminato, aiutandole a emanciparsi e uscire da una situazione difficile. L’iniziativa si inserisce all’interno del progetto gratuito TF4woman, creato dall’organizzazione internazionale no-profit Sistech per aiutare le donne rifugiate a reinserirsi nel mondo del lavoro in Italia, Francia e Grecia.
In un percorso lungo sei mesi le partecipanti al progetto visitano le aziende partner, conoscono le realtà tech e digital e acquisiscono nuove competenze. Il programma TF4 Woman punta a far tornare o far entrare le donne rifugiate nel mercato del lavoro con competenze innovative e competitive per arrivare a contratti dignitosi. Il progetto consiste in una una fellowship (borsa di studio) intensiva, con una parte legata alla formazione tecnica e al training, un’altra al mentoring e inserimento lavorativo.
Il progetto in Italia
Le donne che hanno partecipato alla visita negli uffici di Techedge hanno avuto la possibilità di confrontarsi con alcuni dei professionisti interni, facendosi un’idea di quali siano i campi di applicazione di alcune tecnologie e i livelli di conoscenza necessari per poter lavorare in una multinazionale del tech.
La maggior parte delle donne scelte è laureata in materie che non si possono equiparare al percorso di studi in Italia: spesso sono donne che vivono in Italia da diversi anni e non riescono a trovare lavori adatti alle loro competenze. Il programma T4Woman, che dura sei mesi, oltre alle lezioni prevede attività di gruppo e socializzazione, come gite, trekking ed eventi. Le partecipanti, inoltre, hanno l’opportunità di seguire corsi di lingua intensivi, ricevono in prestito le tecnologie necessarie allo studio.
Al di là del progetto ci sono poi le singole storie, che meglio di qualunque altra cosa raccontano una realtà troppo spesso dimenticata. Judith proviene dal Pakistan, si è laureata in studi islamici (equivale a “Lettere e Filosofia” in Occidente) all’università di Punjab, Lahore. Ha lavorato due anni in una scuola primaria, poi ha lasciato il Paese e si è trasferita in Svezia quattro anni fa. “Sono mamma di quattro figli – racconta Judith ad Alley Oop – il più grande è nato in Pakistan, una coppia di gemelli in Svezia e l’ultimo in Italia. Stavo lavorando, la vita era bella, ma io e mio marito abbiamo lasciato il paese a causa di problemi politici. In Svezia ho trascorso anni di depressione, ho sofferto di disturbi psicologici, e appena sono arrivata in Italia ho deciso che volevo fare qualcosa”. Della lingua italiana le è piaciuta la cultura, ma soprattutto parlare con le persone e riuscire a comunicare.
Nell’ambito del progetto TF4woman Judith ha fatto prima un corso di informatica, poi ha scelto “UX design” per disegnare siti e applicazioni: “E’ stata una nuova esperienza necessaria per trovare lavoro – spiega Judith – fare qualcosa di utile per il mio futuro. Ho conosciuto tante persone, ho lavorato in ufficio con il team di Techedge”.
L’azienda lavora nel settore tecnologico, e in linea con la sua visione c’è il mettere al centro la tecnologia abilitante. “Per noi è fondamentale contribuire all’inclusione delle donne – dichiara Giorgio Racca, csr director Techedge – grazie alle loro competenze. Quest’anno hanno partecipato al programma 14 ragazze e speriamo di poterne accogliere un paio nella nostra realtà al più presto, per dare loro un’opportunità all’altezza delle loro conoscenze, ma soprattutto per accrescere le nostre”.
Mentre i rifugiati e i richiedenti asilo affrontano uno svantaggio occupazionale rispetto alle loro controparti locali, le donne rifugiate sperimentano un divario più ampio. Nell’Unione Europea, il tasso di occupazione delle donne rifugiate è del -17% rispetto a quello degli uomini rifugiati. “Allo stesso tempo – spiega Joséphine Goube, co-founder & executive director di Sistech For Impact – le aziende stanno lottando per attirare donne di talento in ruoli tecnologici e per creare team sempre più diversificati. Dopo tre anni di successi in Francia, in cui abbiamo messo in contatto aziende con donne rifugiate di talento, siamo felici di portare il nostro programma di borse di studio in Italia e di collegare i nostri primi partner locali”.
Un’altra storia da un’altra area geografica del mondo. Aisha, 38 anni, proviene dall’Eritrea. Aveva una vita normale, poi è scappata dal suo Paese per andare in Etiopia, dove ha lavorato come insegnante di inglese per un paio di anni e successivamente come receptionist in un’azienda internazionale. E’ arrivata in Italia attraverso un corridoio umanitario, e da tre anni vive a Bologna con i suoi due bambini e il marito. “Quando siamo arrivati – racconta Aisha ad Alley Oop – siamo andati alla cooperativa sociale DoMani. Siamo rimasti sette mesi. Mio marito parla bene italiano, perché ha studiato la lingua quando eravamo in Eritrea ed Etiopia. Poi lui ha cominciato a lavorare, io non ho avuto nemmeno l’opportunità di imparare l’ italiano, perché avevo un bambino piccolo. Tuttavia, alcuni parenti mi hanno aiutato a studiare”.
Aisha ha approfondito lo studio degli strumenti digitali. In sei mesi si è applicata in project management, digital marketing, discipline che ritiene possano fornire una conoscenza necessaria, un valore professionale, uno sviluppo costante, perché consentono di lavorare in qualsiasi luogo, perché “viviamo nell’era digitale”. “Dalla tecnologia ho imparato che è facile avere informazioni – spiega Aisha – posso imparare sempre, dare il mio contributo conoscitivo. Non avevamo ricevuto opportunità simili dalle nostre madri, ma ora tutto è cambiato: grazie a questo programma possiamo dare possibilità di conoscenza e partecipazione ai nostri figli“.
Le tecnologie abbattono le distanze di donne dislocate in diverse regioni, e capita di creare rapporti di fiducia, mutuo aiuto e insegnamento con i trainer. “Si supportano tra di loro – osserva Joséphine Goube – si danno consigli, studiano insieme. Si tratta spesso di persone che si trovano sole, isolate socialmente, e ricreare una comunità che possa amplificare il loro network di conoscenze nel territorio è solo un valore aggiunto”.
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