Drusilla Foer: non chiamatela “en travesti”, please

Drusilla Foer, in una foto diffusa dall'ufficio stampa il 12 gennaio 2022. ANSA/ UFFICIO STAMPA +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Drusilla Foer

Drusilla Foer sarà una delle cinque donne scelte da Amadeus per affiancarlo nella conduzione del prossimo Festival di Sanremo. Così è stata presentata la notizia alla stampa, includendo a tutti gli effetti il suo nome tra le donne del Festival senza battere ciglio o specificare altro. E già questo la dice lunga sul significato di questa scelta. Ecco perché definire Drusilla ”artista en travesti” come stanno facendo praticamente tutti giornali (anche i più progressisti) per spiegare (e spiegarsi) chi sia questo “alieno” che planerà a febbraio sugli schermi di milioni di italiani, significa semplicemente non aver capito.

Non avere capito non solo chi è – Drusilla – ma anche perché la sua presenza al prossimo Festival di Sanremo sia così deflagrante dal punto di vista politico, sociale e culturale. Per chiarirci: en travesti sono i Legnanesi, en travesti erano gli spettacoli meravigliosi di Paolo Poli. En travesti sono, a mio avviso, tutte quelle performance nelle quali una identità, principale e riconoscibile, fa da appoggio ad un’altra (quella travestita sul palco), sostanzialmente funzionale ed esistente solo all’interno dello spettacolo.

Esattamente tutto quello che Drusilla non è. Al di là di ciò che non sappiamo di lei e della sua identità di genere, ciò che sappiamo è che Drusilla esiste. E non come accessorio, ma come “altra” autonoma. Identità non secondaria, ma casomai gemella. Non “mascherata”, ma rivelata. Drusilla Foer ci mette di fronte al non avere parole per definirla, ed è qui la sua potenza, radice politica, che grazie al suo talento arriva leggera, e l’ha sollevata in tutti questi anni sempre più lontano. Fino al palco più autorevole che c’è.

Con la sua ironica e accogliente eleganza, questa signora dall’antica bellezza toscana, ci chiede di crederle non per ciò che noi – società, scienza, cultura, media, singoli – sappiamo/possiamo dire di lei, ma per ciò che lei ci racconta di se stessa. La sua non conformità è l’avanguardia di disegnare uno spazio su misura per la propria singolarità e non per un’etichetta con cui chiamarla. Drusilla deflagra perfino le definizioni dei più progressisti, richiamando l’attenzione sulla libertà non di autodeterminarsi, ma di autodefinirsi. Esattamente quella libertà, quel diritto che nel “fu ddl Zan”, mandava ai matti allo stesso modo oscuri conservatori e frange integraliste di femministe, che vedevano in quel diritto all’autodichiarazione di genere (femminile o maschile), la minaccia per l’identità binaria pura, fondata e comprovata dalla biologia genetica.

E se vi state domandando se in tutto questo ragionamento il “personaggio” non sovrasti troppo “l’artista”, vi rispondo che Drusilla è politica proprio perché supera quella divisione e quello che noi definiamo artista. Altrimenti avrebbero chiamato la Signora Coriandoli a presentare, e non avrebbe dato “fastidio” a nessuno se quella divisione tra personaggio e artista fosse palese, conosciuta e assimilata. Questo è a mio avviso il punto. Dobbiamo essere grati a Drusilla per l’occasione che ci sta offrendo, di perdere l’abitudine di pensare che tutto debba avere una categoria condivisa per essere riconosciuto.

E se proprio vogliamo trovare qualcosa che le somigli nella texture, che sia un po’ simile alla sua avanguardista non conformità, allora pensiamo ad Amanda Lear. Lei, che ha fatto di quella domanda senza risposta, in fondo, l’impianto rivoluzionario di una vita talmente libera da essere autentica. E non “nonostante”, ma proprio grazie alla non binarietà di una risposta che liberamente non c’è.

Chiudendo, ecco il mio invito: non seguiamo i titolisti, il mainstream che deve appiattire per illudersi di capire. Non affanniamoci a dire “cosa” sia Drusilla, ma piuttosto godiamoci il “chi” è Drusilla, il suo talento, artistico, umano e politico. E non chiamiamola “en travesti”, perché facendolo rinunciamo a tutto quello che meravigliosamente non si può dire di lei, per dire soltanto quello che Drusilla non è.

Mettiamo in discussione la voglia di definire e di tranquillizzarci definendo, e stiamo semplicemente nel piacere inquieto di conoscere. Perché è così, che a mio avviso, ci si avvicina un po’ di più nel mondo delle cose, alla libertà del mondo dei principi e delle idee. E se proprio qualcosa, alla fine, la vogliamo dire, allora facciamoci ispirare dal saggio motto del Festival: perché se “Sanremo è Sanremo”, allora “Drusilla è Drusilla”. Buon Festival.

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  • Novenia Perlotto |

    Magnifica , l’Ouroboro , che ci spiega alla perfezione la nostra stupenda dualità

  • Alice |

    Condivido il contenuto del pezzo, ma critico quel “frange integraliste di femministe”, espressione che fornisce necessariamente un connotato negativo a un movimento (estremamente eteorogeneo) rappresentato come un unicum i cui rappresentanti piu’ radicali si battono per il mantenimento del binarismo puro. Non e’ cosi. Ci sono femminismi radicali che abbracciano appieno l’ideologia queer e la politica delle identita’.

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