Merito non è egoismo: il volto umano della meritocrazia

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Si è acceso nel mondo occidentale un vivace dibattito attorno al merito, che potrebbe tradursi in un’agenda politica atta a contrastare l’acuirsi delle disuguaglianze e la stagnazione della mobilità sociale, che sta creando feroci divisioni e generando pericolosi populismi. Eh sì, perché il merito è strettamente legato alla giustizia sociale. Almeno cosi sosteneva la teoria aristotelica secondo cui la giustizia consiste nel dare a ciascuno ciò che merita, anche se la maggior parte dei filosofi della politica, dagli anni Sessanta in poi, non ci ha più creduto.

Non è questo il caso di Marco Santambrogio, filosofo del linguaggio e saggista, che nel libro dal titolo “Il complotto contro il merito” (Editore Laterza, ottobre 2021), risponde in modo assai efficace alle critiche più acute alla meritocrazia mosse dai suoi colleghi e, di recente, da diversi accademici per lo più americani. In particolare, il filosofo politico Michael Sandel, che nel libro The Tiranny of Merit ravvisa nell’ideologia meritocratica la causa della creazione di una società ingiusta e discriminatoria, divisa tra coloro che riscoprono posizioni vantaggiose, convinti di meritare tutto ciò che hanno e dunque tronfi di arroganza, e i cosiddetti “perdenti”, per usare una terminologia tipicamente anglosassone, convinti di meritare le loro condizioni sfavorevoli, sempre più annichiliti da umiliazione e risentimento.

Che negli ultimi decenni, in tutte le economie avanzate, l’ingiustizia sociale sia aumentata è un dato di fatto. Diversi indici registrano un aggravarsi delle differenze all’interno dei Paesi e tra i Paesi del mondo, oltre al progressivo calo di probabilità di salire nell’ascensore sociale. In sostanza, l’accelerazione della trasformazione digitale ha generato più polarizzazione di ricchezza e di accesso alle opportunità che democratizzazione, creando un enorme problema di iniquità, acuita dalla pandemia, che richiede una radicale riforma dei sistemi fiscali e di redistribuzione del reddito.

Ma siamo sicuri che la causa delle storture dell’era post-moderna sia una visione meritocratica della società? La tesi di Santambrogio colpisce non solo per la lucidità e la modernità con cui procede nell’analisi, ma anche per il coraggio di rimettere al centro un tema universale strettamente legato alla dignità e al benessere dell’uomo. “La mia principale motivazione – scrive nell’introduzione – sta nella convinzione che il merito e il riconoscimento del merito hanno una tale importanza nella nostra vita che la teoria aristotelica della giustizia non può essere sbagliata”. Cosa può produrre – si domanda – un sistema che disconosce i meriti nostri e altrui, sino a privarci della motivazione di impegnarci e di nutrire fiducia nel futuro, se non società deprimenti in cui prevalgono frustrazione e indignazione?

Il punto, allora, è chiedersi in cosa consista una società meritocratica. E sin qui la visione dell’autore concorda con quella di Sandel, secondo cui è necessario il rispetto di tre principi: “Le carriere aperte ai talenti (i posti di lavoro e le posizioni sociali vanno distribuiti a seconda delle abilità e delle competenze, senza privilegiare nessuno), l’uguaglianza delle opportunità (coloro che hanno le stesse abilità e competenze devono avere le stesse opportunità nella vita, qualunque sia la classe sociale in cui sono nati), e il principio per cui i posti e le posizioni devono essere assegnati a chi se li merita.

Evidentemente, l’applicazione di tutti e tre i principi assieme non è cosa facile e richiede una precisa strategia educativa, supportata da ingenti investimenti nella scuola pubblica primaria e secondaria. Senza questo fattore, che negli anni è stato palesemente disatteso sia negli Usa sia in Gran Bretagna, non si può parlare di uguali opportunità di accesso all’istruzione e, dunque, di meritocrazia. Ed è su questo punto che la tesi di Sandel inizia a traballare.

Ma la riflessione di Santambrogio si spinge molto più in là, arrivando a dimostrare che “una società meritocratica non è necessariamente una società competitiva che incoraggia l’egoismo ed è possibile offrire a tutti uguali opportunità senza rinunciare all’istituzione familiare e alla sua inevitabile parzialità”.

Per comprendere la sua tesi, è necessario confutare alcune assunzioni, su cui si basano le teorie anti meritocratiche. In particolare, è errato ragionare in termini di competizione globale. Non ha alcun senso confrontare talenti di genere completamente diverso in un’unica gara, che mette tutti contro tutti, per conquistare quote di ricchezza e potere. Il confronto e la valutazione dei meriti ha senso in piccole competizioni locali, in cui in gioco ci sono posti e posizioni sociali, che vanno attribuiti secondo equità nell’interesse dell’individuo e della collettività.

In questo modo, si afferma e si rispetta la pluralità delle intelligenze presenti nell’umanità e si riconosce il merito collegato a essi. Se poi fossimo così onesti da ammettere che siamo tutti “debitori dei nostri talenti in buona parte al nostro patrimonio genetico e che poi sono innumerevoli le persone che ci aiutano a ottenere qualsiasi cosa, a partire dalla nostra famiglia, e che comunque la fortuna ha un gran peso in tutte le cose umane, allora sapremmo anche che è un errore di presunzione credere di meritare i benefici che riusciamo a ottenere”.

Un altro assunto pericoloso è che esista un solo tipo di merito, quello collegato all’“intelligenza concepita come la capacità di contribuire alla ricchezza nazionale e misurata da test di un solo tipo”. Si tratta di una visione ristretta, in cui cadono anche strenui difensori della meritocrazia, che rischia di ridurre la nostra capacità di immaginare e costruire ecosistemi non solo orientati alla produzione di ricchezza, ma anche alla qualità della vita umana e all’espressione di tutta la sua diversità.

“La società meritocratica – avverte Santambrogio – non costringe nessuno a comportarsi in maniera egoista e la competizione non rende nessuno insensibile alle sofferenze altrui, a meno che non lo fosse già per conto suo”. Attenzione, dunque, a rifiutare principi che potrebbero risvegliare le energie vitali e la fiducia nel vedere soddisfatte le aspettative di chi investe nelle proprie capacità e merita un equo riconoscimento. Potrebbe succedere che intere generazioni, pur di sfuggire alla disillusione, abbandonino il Paese in cerca dei loro sogni.

P.S. E, se volessimo soffermarci sull’Italia, basterebbe uno sguardo all’indicatore Meritometro 2021, per farci un’idea piuttosto chiara della situazione.

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Titolo: “Il complotto contro il merito”
Autore: Marco Santambrogio
Editore: Laterza
Prezzo: 18 euro

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