L’approvazione della legge sulla parità salariale è indubbiamente un passaggio importante nel processo di evoluzione del nostro Paese. Per troppo tempo si sono tollerate delle consuetudini inaccettabili e constatare che si va finalmente in controtendenza è di certo una boccata d’ossigeno.
Non nego che lascia un po’ l’amaro in bocca pensare che ancora oggi debbano essere approvate delle leggi affinché le persone siano trattate tutte con uguaglianza, il ché è sintomo di una società non ancora matura.
La legge approvata amplia la platea delle donne tutelate, ma è giusto sottolineare che ancora una buona fetta della forza lavoro femminile resta esclusa da queste tutele. Penso, ad esempio, a tutte le lavoratrici che svolgono la loro attività in aziende di piccole dimensioni. In un Paese come il nostro che ha un tessuto produttivo che si basa sulle pmi, escludere questa fascia dimensionale significa lasciar fuori parecchie lavoratrici.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza trasmesso dal nostro governo all’Unione Europea in aprile ‘21 ha messo tra gli obiettivi la parità di genere come presupposto senza il quale non è possibile immaginare una ripresa economica del nostro Paese, ma non menziona affatto il Gender Pension Gap (cosa che invece accade nel piano di ripresa austriaco, per fare un esempio).
I minori livelli di reddito, il maggior ricorso al tempo parziale, carriere discontinue e periodi assicurativi coperti con contributi figurativi inferiori ai livelli di reddito (ad esempio quello della maternità) sono causa di un forte gap previdenziale tra uomini e donne. Per non parlare di tutte quelle donne che smettono di lavorare senza aver conseguito il requisito minimo di 20 anni di contribuzione e che non otterranno mai una pensione autonoma.
Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da riforme pensionistiche che avevano l’obiettivo di aumentare la sostenibilità finanziaria del sistema legando a doppio filo le retribuzioni percepite nella vita attiva alla pensione. Parallelamente, però, il mercato del lavoro è diventato più instabile e a patirne maggiormente le conseguenze sono le donne
L’introduzione di misure di perequazione del divario di genere all’interno del sistema pensionistico come anche il miglioramento della valutazione e del riconoscimento dei periodi di cura sarebbe un modo per compensare le donne del valore sociale delle loro attività extra-lavorative.
Tutto questo per dire che quello compiuto in questi giorni è un grande passo, ma solo il primo verso una società in grado di riconoscere alle donne il giusto compenso per l’attività svolta a lavoro, per il loro supporto sociale e per la loro pensione.
Elisa Lupo, consulente del lavoro socia dello studio Guglielmi&Partners