Lavoro? Sì, ma da remoto

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Dal 15 ottobre scatterà l’obbligo del green pass per i 25 milioni di lavoratori italiani e si rientrerà in maniera graduale alla normalità. E lo smart working?

Il governo ha già annunciato un percorso per disciplinare il lavoro da remoto che tornerà ad essere regolato dagli accordi individuali, avendo superato la fase di emergenza, e ha stabilito che da metà ottobre i dipendenti pubblici torneranno alla modalità normale di lavoro riducendo ad un 15% la modalità smart. Il 60% delle aziende private continuerà invece con una modalità ibrida: mix tra lavoro da casa e in ufficio.

Il remote working ha aperto alla possibilità di lavorare “da casa” anche per aziende dislocate in altri Paesi, ha permesso a moltissimi lavoratori di lavorare dai loro paesi di origine e sopratutto ha permesso una flessibilità nell’organizzazione dei tempi di vita e lavoro. Ci sono state anche aziende che hanno deciso di cambiare sede, anche all’estero.

Un esempio è Noonic, un’azienda di consulenza strategica digitale specializzata in digital marketing e sviluppo software. “Ogni anno chiediamo ai nostri colleghi tramite sondaggio da dove vorrebbero lavorare e sulla base dei risultati procediamo – ha dichiarato.Andrea Zonta, cfo dell’azienda – Quest’anno ha vinto Barcellona e così abbiamo deciso di prendere un coworking. Alcuni dei nostri dipendenti hanno scelto di trasferirsi ma abbiamo sempre un ufficio base in Italia. Questa flessibilità fa contente le persone, permette loro di lavorare al meglio e fare networking anche con nuovi colleghi all’estero e prendere ispirazioni per il business“.

McKinsey ha condotto un studio globale che ha chiamato “Great attriction or attraction“? Ha stimato che più di 15 milioni di lavoratori statunitensi hanno lasciato volontariamente il lavoro (circa il 10% della forza lavoro) da aprile 2021, un ritmo record che sconvolge le aziende americane. Se gli ultimi 18 mesi ci hanno insegnato qualcosa, è che i lavoratori oggi apprezzano più di tutto l’aspetto umano in ogni lavoro, vogliono un senso di scopo rinnovato (il cosiddetto purpose) e rivisto nel loro lavoro e la flessibilità di poter lavorare anche in luoghi diversi dall’ufficio. Vogliono connessioni sociali e interpersonali con i loro colleghi e manager. Vogliono provare un senso di identità condivisa. Le aziende si stanno interrogando sul perché di questo fenomeno ma la gestione è molto più complessa di un piano di retention, qui si tratta di lavorare sull’empatia, molto più difficile.

devLe aziende italiane che intenzioni hanno?

Gi Group ha sondato il sentiment e la predisposizione dei professionisti italiani proprio per le opportunità lavorative da remoto con aziende da e per l’estero. Dall’indagine su un campione di circa 1500 professionisti è emerso che:

  • Il 93% degli intervistati darebbe una chance a un’esperienza lavorativa da remoto per un’azienda all’estero
  • Tra chi punta all’esperienza opposta, lavorare per l’Italia da un altro paese, il 42% si trasferirebbe in Spagna, a seguire in Regno Unito (31%) e Francia (11%).
  • Per il 71% degli intervistati la qualità di vita rappresenta il principale fattore da valutare nella scelta del paese estero da cui lavorare per aziende con sede in Italia.

Non è solo la YOLO Generation che preferisce lavori da remoto o scappare all’estero ma questo fenomeno sta coinvolgendo anche le altre generazioni di lavoratori che stanno mettendo al centro la qualità della vita piuttosto che il lavoro. A costo di mollare tutto e cambiare vita.

E tu sei pront*?

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