Stem, in Italia la pandemia ha lasciato indietro le ragazze

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Abbiamo bisogno di più donne nelle professioni Stem. Non è un problema sconosciuto né una nozione nuova che arriva come una doccia fredda. Basti pensare che i dati ci dicono che in Italia solo una laureata su 5 ha scelto discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

Le ragazze si avvicinano sensibilmente meno agli studi scientifici rispetto ai colleghi uomini e che da lì poi, restano indietro in termini di occupazione, salari e opportunità è un mantra ripetuto in ogni parte del mondo. Segnali positivi pre covid non mancavano:  negli ultimi anni sembrava alzarsi la curva dell’interesse per le donne negli ambiti STEM, ma la pandemia e le sue conseguenze, tra le altre cose, stanno rallentando pesantemente la spinta positiva. E i dati descrivono una situazione dinsieme molto simile ovunque. Questi settori offrono non solo lavori meglio pagati, ma anche un alto potenziale di crescita e maggiori opportunità per i laureati. Eppure qui per ora le donne continuano a restare chiaramente svantaggiate e sotto rappresentate.

Inghilterra e USA: sotto il 30% le professioniste STEM

Secondo i dati del governo inglese per il 2019, oltre la Manica il target posto pre-Covid è stato raggiunto: le donne impiegate in settori scientifici e tecnologici per il 2020 erano poco più di un milione, con un totale di oltre 50mila a occupare posizioni d’ingegneria (in questo caso più del doppio rispetto a 10 anni fa). Se questo obiettivo è raggiunto, adesso servirà però uno sforzo molto consistente per toccare il traguardo del milione e mezzo fissato per il 2030. Anche alla luce dell’impatto del post-Brexit sulle prospettive per le donne nelle professioni STEM. 

Oltre oceano, negli Stati Uniti, il numero totale di occupate rappresenta quasi il 50% della forza lavoro. Ma anche qui le professioniste restano decisamente sotto-rappresentate nei settori STEM. In modo abbastanza impressionante, se consideriamo che questi ambiti contano per il 7% di tutte le professioni e che al 2019 meno di un terzo di questi erano coperte da donne. Certo molte di più rispetto alle percentuali degli anni ‘70 (l’8% nelle STEM), quando la forza lavoro femminile arrivava al 38%.

La presenza delle donne varia molto se si guarda agli specifici settori, dalla matematica alle scienze fisiche o all’ingegneria. Ma nel complesso, secondo i numeri pre-pandemia, la percentuale delle statunitensi impiegate è bassa in alcune delle industrie in più rapida crescita (e spesso meglio pagate). E lo è in modo preoccupante.

Insomma, i numeri segnalano la lentezza di un percorso sicuramente in crescita negli scorsi anni. Ma che vede ancora lontana la soglia del 30%. Sarebbe questo secondo la Harvard University Institute of Politics il livello di “massa critica” necessario perché la minoranza, cioè le donne, abbia la possibilità di influenzare un cambiamento reale.

Asia-Pacifico: ricercatrici dove non ce lo si aspetterebbe

La situazione per le professioniste Stem non sembra troppo dissimile nella regione dell’Asia-Pacifico. In quest’area enorme e diversissima che comprende tra le altre, le 10 nazioni dell’ASEAN (dall’Indonesia al Myanmar, dalla Thailandia al Brunei), l’Australia e la Nuova Zelanda, convivono esempi virtuosi e situazioni molto più arretrate. Non per forza dove ce lo si aspetterebbe. Sono infatti le Filippine l’unico paese asiatico nella top 10 mondiale di chi si avvicina a colmare il gender gap nelle Stem e dove la percentuale di ricercatrici di materie scientifiche e tecnologiche raggiunte il 52%. Di contro, solo un terzo delle scienziate fa ricerca a Singapore, Giappone e Corea. In particolare, in questi ultimi due Paesi dal livello di sofisticazione tecnologica altissimo, sono solo il 15 e il 18% rispettivamente.

Le stime dicono che in estremo oriente entro 9 anni l’80% dei lavori richiederà una preparazione digitale e ICT almeno di base. Tradotta, una percentuale simile se non opportunamente considerata potrebbe significare un vuoto tra i 600mila e il milione e 200mila occupati in settori tecnologici, di telecomunicazioni e media in Indonesia, per prendere ad esempio la quarta nazione più popolosa al mondo. Qui come ovunque, per soddisfare la domanda diventerà imprescindibile attingere a tutta la popolazione lavoratrice, non solo alla metà maschile.

E in Italia?

Negli ultimi anni il numero delle ragazze che hanno iniziato percorsi di studio Stem è in aumento, anche se risulta ancora di molto inferiore a quello dei ragazzi. L’Italia comunque si dimostra tra le nazioni più virtuose in Europa con il 17% delle iscritte a livelli superiori di istruzione che scelgono questo tipo di studi e una percentuale di donne sul totale degli universitari (uomini e donne) che raggiunge il 36%.

Ma se è evidente che agli esami e nelle votazioni finali le studentesse Stem mostrano risultati accademici più brillanti, i loro tassi di occupazione e retribuzione fuori dalle università restano, che novità!, più bassi. Il mercato del lavoro non sembra riconoscere adeguatamente i profili delle professioniste, nemmeno in settori in espansione e meglio retribuiti. Insieme al grande divario persistente tra numero di occupati e occupate, già a un anno dalla laurea resta elevato infatti anche il gap salariale.

La pandemia ha aumentato l’interesse per i corsi di medicina e Stem. Contemporaneamente molte aziende soffrono la carenza di profili e non riescono a coprire le posizioni. Un paradosso. Sono soprattutto le donne ad aver abbandonato il lavoro nell’ultimo anno e mezzo, ad avere stipendi più bassi e competenze scientifiche, percentualmente, inferiori. Meno pagate, più disoccupate, peggio preparate per le professioni del futuro. Non mancano, tanto i posti per loro, ma mancano le condizioni per supportare le loro carriere, sfruttare le loro potenzialità. E, a valle, anche i giusti incentivi per portarle a interessarsi ai percorsi Stem già all’inizio dei loro studi.

Una forza lavoro inclusiva e diversa risponde alla domanda di professionisti competenti e permette un’innovazione tecnologica migliore, prodotti di maggior successo e addirittura una disponibilità di servizi che possono salvare vite – Covid-19 insegna. Allora visto che è chiaro come i settori Stem perdono le ragazze e vedono il gap tra maschi e femmine ampliarsi in modo evidente già prima delle scuole superiori (per essere ottimisti! Molti in realtà dicono già entro i 10 anni di età), diventa sempre più cruciale intervenire subito. E iniziare da prestissimo. Non solo è la cosa giusta, ma quella più efficiente. L’inclusione offre un vantaggio competitivo pratico e molto reale non da poco per aziende e sistemi Paese in questo mondo in evoluzione rapidissima. 

L’innovazione avviene quando approcciamo sfide urgenti da qualsiasi punto di vista. Portare le donne e le minoranze sotto rappresentate in campo garantisce tutta la varietà di soluzioni ai problemi reali con cui si confronta la gente in tutto il mondo”

Melinda Gates, filantropa e ex general manager di Microsoft

  • gloria |

    Un passo avanti in quesyto campo è stato fatto. Certo ci vuole una maggiore educazione sia nell’orientare le donne nella scelta delle materie stem sia nell’uguaglianza di genere.Il cervello e la personalità dell’uomo e della donna presentano aspetti e ricchezze che dovrebbero essere integrati senza adottare nessuna forma di estremismo. Per permettere alle donne di dedicardi nel settore stem dovrebbero funzionare anche i servizi che tendono a supportare le famiglie senza considerare che in Italia il settore stem , anche se raggiunge in alcuni casi punte alte, è a macchia di leopardo . Rispetto l’occupazione , inoltre, si preferisce l’uomo rispetto una donna .Quindi dobbiamo fare e dare di più per una maggiore inclusione e per avere una maggiore ricchezza che naturlmente l’inclusione arreca..

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