Il 9 giugno il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha espresso parere favorevole alla direttiva del Parlamento volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità salariale tra uomini e donne per uno stesso lavoro, o per un lavoro di pari valore, attraverso la trasparenza delle retribuzioni (COM(2021)93 final). La direttiva stabilisce il diritto dei dipendenti di ricevere le informazioni qui di seguito specificate nell’articolo 8:
(a) il divario retributivo tra tutti i lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile;
(b) il divario retributivo tra tutti i lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile nelle componenti complementari o variabili;
(c) il divario retributivo mediano tra tutti i lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile;
(d) il divario retributivo mediano tra tutti i lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile nelle componenti complementari o variabili;
(e) la percentuale di lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile che ricevono componenti complementari o variabili;
(f) la percentuale di lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile in ogni quartile retributivo;
(g) il divario retributivo tra lavoratori di sesso femminile e lavoratori di sesso maschile per categorie di lavoratori ripartito in base allo stipendio normale di base e alle componenti complementari o variabili.
Prof, ma in Italia la trasparenza delle retribuzioni c’è già …
Vero, in qualche misura. Il Codice delle pari opportunità (decreto legislativo 198/2006 art. 46) stabilisce che “Le aziende pubbliche e private che occupano oltre 100 dipendenti sono tenute a redigere un rapporto, almeno ogni due anni, sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, e della retribuzione effettivamente corrisposta”.
E allora cosa aggiunge la direttiva europea?
A mio avviso aggiunge almeno tre cose:
1) In primo luogo rende obbligatoria la pubblicazione delle informazioni (art. 3).
Nel contesto delle norme che regolano la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario la direttiva obbliga il datore di lavoro con almeno 250 dipendenti a pubblicare annualmente le informazioni di cui sopra (lettere a-f) in modo da renderle facilmente accessibili sul proprio sito web o pubblicamente disponibili in altro modo.
Prof, ma molte imprese lo fanno già, anche se la legge italiana non lo prescrive …
E’ una buona cosa che le aziende vadano spontaneamente “oltre la legge” nella comunicazione di informazioni, ma siccome “oltre la legge” ciascuna ci va a modo suo, in assenza di una norma specifica viene a mancare la comparabilità dei dati a cui fa riferimento la direttiva europea. L’uniformità dei criteri di raccolta e pubblicazione delle informazioni, imposta dalla nuova norma, consente invece il confronto tra aziende simili, che attualmente non è possibile, e incentiva i datori di lavoro ad agire per prevenire i potenziali divari retributivi.
2) In secondo luogo, la direttiva europea rende obbligatoria la trasparenza retributiva anche prima dell’assunzione (art. 5).
Attualmente non esistono norme in materia di trasparenza retributiva prima dell’assunzione. Questa disposizione prevede invece che i datori di lavoro rendano noto il livello retributivo iniziale da corrispondere al futuro lavoratore per una specifica posizione o mansione. Tale informazione può essere fornita nell’avviso di posto vacante o in altro modo, ma comunque prima del colloquio di lavoro e senza che il candidato debba richiederlo. La norma vieta inoltre ai datori di lavoro di chiedere ai potenziali candidati informazioni sulla retribuzione percepita nel precedente rapporto di lavoro né oralmente né per iscritto, né personalmente né tramite un suo rappresentante. Inoltre, il datore di lavoro deve rendere facilmente accessibile ai dipendenti la descrizione dei criteri utilizzati per determinare i livelli retributivi e gli avanzamenti di carriera (art. 6).
Prof, quindi per evitare la discriminazione tutti i nuovi assunti devono avere la stessa paga?
Assolutamente no. L’applicazione del principio di parità salariale tra uomini e donne non impedisce ai datori di lavoro di retribuire in modo diverso i lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore sulla base di criteri oggettivi, purché tali criteri siano neutri sotto il profilo del genere. Quindi la garanzia della trasparenza non limita il potere contrattuale del datore di lavoro o del lavoratore di negoziare la retribuzione anche al di fuori della fascia indicata.
La finalità antidiscriminatoria della direttiva è ribadita anche nel documento del CESE che spiega come la mancanza di trasparenza impedisca di valutare se il diritto alla parità di trattamento sia rispettato, o se la differenza di retribuzione nasconda una sistematica sottovalutazione del lavoro femminile dovuta a stereotipi e pregiudizi, spesso inconsapevoli, che si manifestano sin dalla prima negoziazione salariale e poi si dilatano durante l’intero percorso di carriera (cfr. Maria Recalde & Lise Vesterlund 2020).
Prof, perché nella direttiva si parla sempre di parità di retribuzione tra “i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile” invece che più semplicemente di “lavoratori e lavoratrici”?
Non lo so … ma c’è ancora un punto cruciale della direttiva europea che vorrei sottolineare:
3) Il documento rende esplicito il principio ispiratore della norma, cioè il nesso di causalità tra la mancanza di informazione e il gender pay gap, e accompagna la proposta con una valutazione del suo impatto, cioè dei costi e dei benefici che ne derivano. Di questo però parleremo la prossima volta.
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