Il Monte Sernio, coi suoi 2.187 metri, è conficcato nel cuore delle montagne friulane: è un balcone a 360° sulle vette e fino al baluginare del Mar Adriatico. Tanti alpinisti, nell’Ottocento, avevano tentato la scalata di questa cima delle Alpi Carniche Orientali ma senza fortuna. La ritenevano inespugnabile. Poi, due donne, due sorelle, Anna e Giacoma Grassi di Tolmezzo (Udine) sfidano le rocce e i pregiudizi e arrivano laddove nessuno aveva messo piede. È il 21 agosto 1879. Così il Sernio, da piccolo sul paese di Paularo, tra Val d’Incarojo e Val d’Aupa, diventa la “montagna delle donne”.
L’impresa di Anna e Giacoma fa parte della storia dell’alpinismo femminile che si fa iniziare con Marie Paradis: la prima donna a raggiungere la vetta del Monte Bianco nel 1808. Faceva parte di un gruppo di scalatori uomini che la accettano sperando che Marie diventi una star e così accade, nonostante la fatica improba che le costa il percorso. Trent’anni dopo, Henriette d’Angeville, con sei guide e sei portatori, salirà il Bianco con i propri mezzi.
Anna e Giacoma Grassi, gonnellone d’ordinanza e tanto coraggio, fanno tutto da sole, delle vere pioniere che Melania Lunazzi ha riscoperto e ha voluto ricordare in Voglio andare lassù. Breve storia delle sorelle Grassi, pièce teatrale che ha ideato e scritto. Una vera chicca che ha girato l’Italia a fine 2019 per i 140 anni dell’ascesa delle sorelle di Tolmezzo.
La loro modernità è nella capacità di salire in vetta senza essere al traino degli uomini e con l’ausilio solo delle guide locali, di cui peraltro si servivano anche gli uomini: le sorelle Grassi, prima del Sernio, avevano raggiunto il Monte Canin dalla Val Resia. Questa avventura viene celebrata dal geografo Giovanni Marinelli, che aveva avviato le tre sorelle Anna, Giacoma e Angelina alla passione della montagna, nella pubblicazione Le prime alpiniste sulla vetta del Monte Canino.
La loro storia si inserisce nella Storia di una regione, il Friuli, a fortissima vocazione femminile. Laddove gli uomini fanno la guerra o diventano emigranti per sbarcare il lunario, le donne prendono in mano le redini della vita. Basti ricordare due nomi-monumento: Maria Plozner Mentil (1884-1916), medaglia d’oro al valor militare e mentore di tutte le portatrici carniche che durante la Grande Guerra assicurarono viveri e rifornimenti ai ragazzi che combattevano lungo il fronte orientale dell’Italia, e Virginia Tonelli (1903-1944), anche lei medaglia d’oro al valor militare. La racconta con precisione storica Paolo Patui nel suo Alfabeto friulano delle rimozioni (Bottega Errante, pagg. 208, euro 15).
Fra i 45 ritratti di friulani semi-sconosciuti ai più ma protagonisti della storia, Virginia Tonelli brilla come voce limpida della Resistenza. Nata in una piccola borgata di Castelnovo del Friuli (PN), frequenta la scuola elementare, cerca lavoro a Venezia, entra nel Partito Comunista, emigra a Tolone e, anche grazie al marito Pietro Zampollo, che combatte in Spagna nelle Brigate internazionali, diventa una rivoluzionaria. Frequenta Giorgio Amendola, Giuseppe Dozza, Giancarlo Pajetta e, tornata in Italia, dopo l’8 settembre 1943, diventa “Luisa”, voce della lotta partigiana. Combatte, scrive, convince, fino alla morte nella Risiera di San Sabba, a Trieste.
La sua voce, come quella di Maria Plozner Mentil, come quella delle sorelle Grassi, per dire quanto la storia sia una questione di coraggio, ovunque, ma in modo particolare fra le montagne, dove tutto congiura contro la vita ma non contro queste anime di ferro e sangue.
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