Maternità, l’identità possibile: tre romanzi sul mistero di mettere al mondo

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Cominciamo da una storia. Una vecchia storia, una storia di qualche anno fa. “Ora sei una mamma”. È accaduto che fossi incinta. A un amico dico:  “Aspetto un figlio”. E l’amico: “Ora sei una mamma”. Certo che sono una mamma, ovvio, no? Sono incinta, sarò sì una mamma, penso. Immaginate di sentire stonare qualcosa che stonato forse non è. Poi è successo che fossi io nelle parti dell’amico e che allo stesso modo fossi io a pronunciare la frase “Ora sei una mamma”. Dico a te amica che sono felice, e lo dico
con “Ora sei una mamma”. Ho così compreso: “ora sei mamma” è l’attimo della mutazione. Cogliamo il miscuglio che si prepara. E il mistero. Perché cosa esattamente diventerà quel miscuglio riguarda la nostra natura, la nostra individuale natura: ognuno a suo modo.

“Ora sei mamma” è bucare con lo sguardo il ribaltamento: la possibilità di ognuna di noi di ribaltare. Che non è la forza o il coraggio, o per lo meno non è solo questo, è l’identità. Cosa siamo state, cosa siamo, e cosa diventeremo.

Laura e Alina sono le due madri di “La figlia unica” (La Nuova frontiera) di Guadalupe Nettel, talentuosa scrittrice messicana, che con questo suo ultimo libro (in Italia già dall’anno scorso, tradotto da Federica Niola) prosegue la sua perlustrazione delle relazioni: come gli individui si strutturano in esse. Alina e Laura sono dunque due madri, o meglio una lo è per affermazione, l’altro lo sarà per negazione. Passo indietro: prima di essere madri Laura e Alina sono due amiche. Sono giovani, piene di intelligenza e di creatività. Vivono a Parigi e dicono in quel momento che no, loro non saranno mai madri.

Poi una delle due, Alina, si innamora di Aurelio, torna a vivere in Messico e cambia idea: vuole un figlio. All’inizio Laura non capisce, reagisce come chi considera la deroga un tradimento. Si ammutolisce, si allontana. Poi le ragioni che sembrano granitiche smettono di esserlo, un po’ perché è difficile che le motivazioni razionali prendano troppo a lungo il sopravvento sul bene, un po’ perché la vita di Alina viene investita dalla devastazione. Alina è infatti incinta ma la sua bambina ha una malformazione tale che alla nascita morirà. La scienza dice: abortisci. Alina e Aurelio decidono di non farlo. Con loro c’è Laura. La sua amica che ha scelto di diventare madre, sta pagando con lo strazio. E mentre i mesi passano e chissà cosa sarà di tutto, nella vita di Laura, entra un bambino. È appena al di là della parete, nell’appartamento a fianco. Il bambino urla, urla, e sbatte la testa, e poi c’è sua madre, Doris.

Alina vuole diventerà madre e lo sarà. Nel modo meno prevedibile e più doloroso, ma questo è vivere, dice Nettel. Pure Laura sarà madre, perché si può desiderare non esserlo ma succede ugualmente di esserlo, per qualcuno. Per un singolo individuo, quello, proprio quello. La forza della scrittura di Guadalupe Nettel è il passo della semplicità che sotto la chiarezza della cronaca smonta la complessità delle percezioni, il groviglio dell’incertezza.

Guardare un neonato mentre dorme significa contemplare la fragilità dell’essere umano. “‘Non ti accadrà nulla finché sarò con te’, gli prometto, pur sapendo di mentire perché in fondo sono impotente e vulnerabile quanto lui”, scrive Nettel.

Guadalupe Nettel è stata definita “uno dei volti più luminosi della letteratura latinoamericana contemporanea”. A farlo è stata Valeria Luiselli, autrice di un altro romanzo edito sempre da La Nuova Frontiera e tradotto da Tommaso Pincio, che si intitola “Archivio dei bambini perduti”. Anche lei è messicana ma vive attualmente a Brooklyn. Una famiglia, un marito e una moglie, e due bambini. I figli sono uno del padre e l’altra della madre. Una famiglia che nasce da una ricomposizione e intuiamo si prepara a una nuova deflagrazione. Lo intuiamo perché la famiglia è un viaggio, verso Sud. Una vacanza. E poi la certezza che sarà un’ultima vacanza. Senza rabbia, lo sfaldamento qui è silenzioso, è un moto centripeto, inesorabile. Ciò all’interno; all’esterno c’è l’America del muro di Trump e dei figli separati dai genitori. C’è l’America senza la memoria delle sopraffazioni e allora il marito, “acustemologo”, dopo gli anni trascorsi a New York a registrare voci e censire le lingue della città insieme alla moglie, elabora un nuovo progetto: registrare e collezionare tutto quello che rimane dei popoli Apache del Sud.

Ma il viaggio servirà anche alla moglie per lavorare a un suo progetto sui minori che attraversano la frontiera. Ed è qui che la maternità prende la forma della restituzione e della giustizia. La moglie accudisce e attraverso il racconto di altre madri sente l’urgenza di allargarne i confini emotivi e di far diventare l’accudimento denuncia.

Nel viaggio, dentro lo spazio di un’automobile che diventa casa, ognuno trascina gli oggetti dell’appartenenza. Ognuno di loro ha infatti una scatola. Quelle degli adulti contengono quaderni, libri, album musicali, appunti, ritagli, fotografie: “Indicatori interlineari della moltitudine di voci presenti nel dialogo che il libro intrattiene con il passato”, scrive Luiselli. Ma le scatole dei bambini sono vuote: hanno tutto ancora da scrivere, memorie da archiviare. E se l’essere figli si costituisce per sussulti, accelerazioni, silenzi e frammenti, l’essere madre è la conquista di chi sa ogni giorno affiancare e aspettare, riconsiderare. Qui c’è la dolcezza di un paesaggio che sfugge da un finestrino. La macchia di un dolce sulla moquette, l’insonnia che permette uno sguardo in più. La maternità qui è una cosa piccola, come piccoli sono gli abbracci dei piccoli. Di quelle cose piccole che costituiscono l’inizio. Qui la maternità è la possibilità.

La maternità è una possibilità anche nelle pagine di Annalisa De Simone, autrice per Marsilio di “Sempre soli con qualcuno”. Come? La storia: una giovane donna, vive a Roma in una bella casa, ha un compagno. Una relazione che funziona, di quelle in cui lui va verso lei e lei va verso lui. Poi c’è il contesto: l’ambizione civile e culturale. Tutto funziona? Sembrerebbe. Se non fosse per un pungolo. Lei un figlio lo vorrebbe, lui nicchia. Non si sottrae (così forse liberandola), semplicemente tergiversa, prende tempo. C’è il suo lavoro di avvocato. Domani, domani. E intanto che arriva quel domani (e chissà se arriverà), lei incontra sul lavoro un deputato, antitesi fisica, e non solo, del marito. Si compie lo spazio di un incontro, un primo bacio, una prima notte, e poi tante successive notti. Il pungolo unito a questo nuovo pungolo diventano due pungoli che
trasformano l’orizzonte dato nell’ipotesi della possibilità. Ecco il “come”: c’è una gravidanza fisiologica inaspettata, poi l’altrettanto inaspettato aborto, e ancora la crioconservazione. E la vita che si inerpica, la maternità è il desiderio di essa, è la ridefinizione di sé.

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Titolo: “La figlia unica”
Autrice: Guadalupe Nettel
Traduttrice: Federica Niola
Editore: La Nuova Frontiera
Prezzo: 16,90 euro

Titolo: “Archivio dei bambini perduti”
Autrice: Valeria Luiselli
Traduttore: Tommaso Pincio
Editore: La Nuova Frontiera
Prezzo: 20 euro

Titolo: “Sempre soli con qualcuno”
Autrice: Annalisa De Simone
Editore: Marsilio
Prezzo: 16 euro

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