Donne tra crisi e pandemia, il lavoro come arma per uscire dalla violenza

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Prima di conoscere lui lavoravo, poi appena sono rimasta incinta di mia figlia e siamo andati a convivere, non ha voluto più lavorassi. Dovevo stare a casa e badare ai figli, così sosteneva. La realtà era che, non avendo nulla, ero costretta a stare in quella casa. Più volte avevo minacciato di andarmene”. Giusi ha subito violenza per 18 anni insieme ai suoi figli, che ora hanno 20 e 13 anni. Oltre alle botte e agli insulti, l’umiliazione di non poter disporre di nulla, a ogni litigio le veniva tolta la delega sul conto.

Poi la svolta: l’arrivo a Casa Lorena, in provincia di Caserta, in un bene sottratto alla criminalità organizzata. “Dopo la denuncia, l’allontanamento e il divieto di dimora per noi non è cambiato nulla, lui tornava e ci minacciava – continua Giusi – così a febbraio 2019 ci siamo trasferiti nel centro antiviolenza a Casal di Principe. Ad aprile mi hanno proposto una borsa lavoro alle Ghiottonerie di casa Lorena, a settembre mi hanno fatto il contratto a tempo indeterminato. Una soddisfazione, mi sono sentita rinascere. La paura più grande è rimanere da sola ma non è così. Una volta che fai il salto ti rendi conto che tutto è diverso perché puoi uscire da queste situazioni”.

Sono tante le donne vittime di violenza senza un’indipendenza economica. Nel 2019, secondo l’associazione D.i.Re, un terzo delle donne che si è rivolta ai centri antiviolenza aveva reddito zero e il 35%, oltre a denunciare casi di violenza psicologica e fisica, era vittima anche di violenza economica. “E’ uno degli aspetti più sottovalutati, meno raccontati ma più perniciosi delle varie dimensioni di violenza, che le donne subiscono”, sottolinea Lella Palladino, fondatrice della Cooperativa EVA. Nel 2020 con la pandemia e la crisi ancora maggiore dell’occupazione femminile (dei 565mila occupati in meno registrati a marzo su base annua, 377mila sono donne, fonte Istat), la situazione è peggiorata. I centri antiviolenza, con equipe dedicate, cercano di aiutare le donne con laboratori artigianali e ricerca di opportunità sul territorio, ma attività e aziende sono in crisi e le offerte di lavoro mancano.

A Latina nel centro Lilith a settembre 2019 è nato un progetto, finanziato dal dipartimento Pari opportunità, che prevede un laboratorio formativo per l’utilizzo della pelle di bufala, non utilizzata a causa di imperfezioni dovute alla vita di allevamento. “Le sei donne che hanno aderito, assistite da un mastro pellettiere e designer, finita la borsa lavoro hanno costituito una piccola associazione e a dicembre hanno realizzato la prima esposizione”, ci spiega Francesca Innocenti del centro Lilìth. “Nella nostra associazione ci sono operatrici dedicate all’inclusione lavorativa con percorsi individualizzati. Alcune donne hanno avuto la possibilità di sperimentarsi con laboratori artigianali, altre con realtà territoriali come piccole aziende o banche. Con la pandemia è difficile trovare un’occupazione e molti percorsi restano solo una parentesi”, sottolinea Innocenti.

Nei periodi pre-Covid, quando si aprivano posizioni di lavoro le aziende ci contattavano e noi mandavamo i curriculum delle donne per accedere alla selezione. Ora la situazione è cambiata”, racconta Tania Berti del centro Artemisia di Firenze. “La nostra è una citta d’arte basata sul turismo, che con l’emergenza sanitaria ha subito un tracollo – continua Berti – Alcune donne, che iniziavano a muoversi verso un’autonomia con impieghi in alberghi, bar, ristoranti, hanno perso il lavoro e non hanno più soldi per pagare affitti e bollette. Per questo servirebbe una rete con regioni, centri impiego e aziende per tirocini retribuiti e sostegno alle famiglie”. Il progetto della regione Toscana partito nel 2017 prevedeva proprio la collaborazione tra centri per l’impiego e centri antiviolenza attraverso due avvisi, spiega Romina Nanni, dirigente del settore servizi per l’impiego di Lucca, Massa Carrara e Pistoia. “Il primo prevedeva contributi individuali per lo svolgimento di politiche attive nei centri per l’impiego, indennità di partecipazione anche a corsi formativi e voucher per l’acquisto di servizi per la cura di figli minori o disabili. Il secondo avviso era volto a finanziare l’inserimento nel lavoro attraverso tirocini, con il rimborso dell’importo erogato dall’azienda, non inferiore a 500 euro mensili per circa sei mesi”. “Il risultato è stato che nel 2019 per il primo avviso sono arrivate 300 domande e 6 donne alla fine hanno trovato lavoro. Ai tirocini hanno partecipato 82 aziende, 96 donne e 35 hanno trovato lavoro. Ora partiranno altri progetti con la stessa struttura”, conclude Nanni.

Mettere al centro l’occupazione femminile è fondamentale anche dal punto di vista della lotta alla violenza di genere: più le donne sono autonome più possono avere gli strumenti per liberarsi dalla violenza. È molto importante investire nel lavoro delle donne che iniziano un percorso di uscita dalla violenza, è uno dei primi punti da risolvere”. Le parole di Linda Laura Sabbadini, presidente di Woman20 e di Donne per la salvezza – Half of it, che con le associazioni da mesi chiedono di mettere l’occupazione femminile al centro del Recovery Plan, il piano nazionale di Ripresa e Resilienza concordato con l’Europa per uscire dalla crisi.

Il reportage completo si può ascoltare nel podcast STORIE DI CHI RINASCE, quarta puntata del progetto DONNE IN ROSSO di Radio24 contro la violenza sulle donne a questo link.

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