Revenge porn nel caso Grillo, diffondere video intimi è reato

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Viene chiamato revenge porn, è un reato ed è stato istituito con la legge 69 del 19 luglio 2019, il Codice Rosso. Chiunque diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso delle persone rappresentate è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. Spunta anche questo nel caso Grillo, oltre a quattro indagati con l’accusa di stupro e il padre di uno di questi – Beppe Grillo, personaggio pubblico e leader di un movimento politico – che si scaglia contro la ragazza che ha denunciato.

Ci sono amici e amiche dei presunti stupratori che dicono di aver visto un video con i quattro giovani e la stessa ragazza. Tanto da far intervenire il Garante della privacy: chiunque diffonda tali immagini compie un illecito, suscettibile di integrare gli estremi di un reato, oltre che di una violazione amministrativa in materia di privacy. “E’ una fattispecie che sembra avere tutti i tratti caratteristici del reato di revenge porn introdotto appunto con il Codice Rosso. In ogni caso, è un illecito privacy: “Immagini nate per restare private o addirittura girate all’insaputa della ragazza, per di più a sfondo sessuale, non possono essere diffuse al di fuori del perimetro personale nel quale sono state realizzate. Quindi è in primo luogo un illecito privacy ed è presumibilmente una fattispecie che rientra nella famosa norma del Codice rosso”, ci spiega Guido Scorza, componente dell’Autorità Garante per la privacy.

Chiunque riceva il video del figlio di Grillo è pregato di far denuncia all’autorità”, avverte l’avvocata Anna Maria Busia. “L’articolo 612 ter del codice penale vieta la diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti. Tra persone consenzienti possono essere girati, chi lo diffonde rischia il carcere, pena aggravata se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica”, sottolinea l’avvocata penalista, da anni al fianco delle donne e redattrice della legge a tutela degli Orfani dei crimini domestici, entrata in vigore a gennaio 2018. “Trovo gravissimo ciò che ha fatto Beppe Grillo, un atteggiamento delinquenziale – continua Busia – In questa fase non si può parlare in questo modo. Si può e si deve vagliare l’attendibilità della persona offesa, ma dentro al procedimento, non facendo un’operazione come quella che ha fatto Grillo”. Nel video – ricordiamo – Grillo difende a spada tratta il figlio, dice: “Non è vero niente che c’è stato lo stupro. Perché una persona che viene stuprata la mattina al pomeriggio va in kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia, è strano”. “Vittimizzazione secondaria amplificata all’inverosimile da un personaggio pubblico e politico, è di una gravità inaudita – va avanti l’avvocata – Si tratta di una situazione pesante da sopportare già quando accade nell’ambito di un procedimento penale a porte chiuse, con soggetti ben identificabili. Immaginiamo questa gogna, questo palco immenso che è la Rete con la possibilità che le immagini e la fruizione di queste informazioni rimangano in rete e possano sempre trovare uno spazio, essere rinvenute in qualsiasi momento. E’ difficile per chi non ha vissuto situazioni di questo tipo rendersi contro della gravità. Con i social abbiamo scoperto inoltre che ci sono le tifoserie tra ragazzi e purtroppo anche ragazze e donne che difendono i presunti carnefici”.

Abbiamo appreso che frammenti di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave“, dichiarano i genitori della 19enne che ha denunciato per violenza sessuale Ciro Grillo, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauri. Sulla vicenda, che risale alla notte del 17 luglio 2019 nella casa di Grillo a Porto Cervo, sono intervenuti tutti: l’insegnante di kite surf, il proprietario del bed and breakfast, gli amici, uno degli stessi indagati. Dopo l’intervista di Lauria al programma televisivo Non è l’Arena, il suo avvocato ha rinunciato al mandato “per divergenze con l’assistito sulla condotta extraprocessuale da tenere, specie in processi come questo”. Ora si aspetta la decisione della procura di Tempio Pausania sul rinvio a giudizio, l’accusa è violenza di gruppo. Ultima mossa di Beppe Grillo: il mandato a un medico legale per una perizia sulla giovane.

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