Della diversità e dell’arte di caricare la lavapiatti

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Chi facendo partire la lavapiatti non ha, almeno una volta, dato un “ritocco” a come erano sistemate le cose? Per ottimizzare gli spazi, e metterci qualcos’altro, O per paura che così il bicchiere si sbeccasse o la ciotola non si pulisse.

Lo ammetto, anche a me è successo, l’ultima volta proprio ieri sera. E ogni volta mi viene in mente quanto mi dava fastidio che lo facesse mia mamma con me, dopo avermi osservato da dietro le spalle. Mi dava fastidio perché non aveva fiducia, e non accettava che ci fosse un modo diverso di fare le cose. Né migliore né peggiore probabilmente – non ho all’attivo grossi danni alle stoviglie – ma semplicemente differente rispetto a quello che lei considerava il metodo di riempimento ottimale.

E’ grave essere diversi?” si chiede Paulo Coelho nel (bellissimo!)  libro Veronika decide di morire. “E’ grave – risponde ai lettori – sforzarsi di essere uguali (..) perché non avendo il coraggio di essere diversi gli individui vanno contro natura”.

Ecco: appena si potranno tornare a fare attività di gruppo, il caricamento della lavapiatti potrebbe essere un nuovo modulo di formazione D&I. Per testare non solo il grado di diversità ma anche la capacità inclusiva di un team. Trattenersi dal correggere, chiedere – con curiosità e senza critica – perché una cosa è stata fatta in un determinato modo e prendere consapevolezza che esistono modi diversi di farla rispetto al proprio, tutti questi sono spunti che la maggior parte dei collaboratori ha letto o sentito almeno una volta all’interno della propria azienda.

Obiettivo parità di genere

Infatti per rispondere a investitori e consumatori sempre più attenti, un numero crescente di aziende sta aderendo agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU (SDGs) tra i quali ce n’è uno specifico sulla parità di genere (n° 5). Di qui il proliferare di iniziative sulla diversità e l’inclusione: aziende che prima avevano volutamente scelto di non occuparsi di questa tematica e che ora cercano spunti e modalità per farlo – e per recuperare il tempo perduto. L’Ista stima che nel 2009 oltre un quinto delle imprese (il 20,7%) – cioè quasi 6mila a livello nazionale – abbiano adottato almeno una misura non obbligatoria per legge con l’obiettivo di gestire e valorizzare le diversità tra i lavoratori legate al genere e ad altri tipi di diversità (età, cittadinanza, nazionalità e/o etnia, convinzioni religiose o disabilità).

Ma come ha scritto Stephen Frost nel lontano 2014 Diversity is a reality. Inclusion is a choice” , cioè parafrasando: un primo, importante passo è riconoscere la diversità e il suo valore, ma un secondo altrettanto cruciale è incidere nella cultura aziendale perché chi è diverso non si senta escluso, ma anzi possa sentirsi unico ed essere messo nelle condizioni di esprimere a pieno la propria unicità e il proprio potenziale.

Oltre a leggere le policy di D&I, oltre a scrivere cosa un’azienda ha fatto sul tema all’interno delle dichiarazioni non finanziarie del bilancio,  sarebbe utile anche “praticare” la diversità partendo da piccoli gesti, come caricare la lavapiatti.