Quanti sanno che in Italia le aziende pubbliche e private con più di 100 dipendenti devono redigere un rapporto biennale sui vari aspetti inerenti le pari opportunità sul luogo di lavoro, inclusa la retribuzione? Pochi e anche chi lo sa e cerca i dati fa fatica a reperirli. La legge c’è (è l’articolo del decreto legislativo n. 198 del 2006) eppure pare servire a poco.
Ieri un passo verso una maggiore trasparenza. È stata approvata all’unanimità in Commissione lavoro alla Camera la proposta di testo base sulla parità salariale messa a punto proposto dalla relatrice, Chiara Gribaudo (Pd). In cosa consiste? Vuole porre rimedio al fatto che oggi non esista un modo per sapere quali aziende abbiano redatto il rapporto e quali no e quali siano state sanzionate e al fatto che i dipendenti delle aziende non abbiano modo di accedere al rapporto per verificare eventuali discriminazioni. Un rapporto che, per altro, va consegnato anche ai sindacati interni.
La proposta di legge si compone di due articoli. L’articolo 1 presenta un unico comma, che modifica l’articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198. Alla lettera a) si introduce la possibilità per le aziende sotto i cento dipendenti di redigere il rapporto sulla situazione del personale su base volontaria e si richiede all’INPS di inviare annualmente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l’elenco delle imprese che rientrano nell’ambito di applicazione della norma. Su base volontaria la misura avrà, temo, un’efficacia assai ridotta a meno che non si leghi a questo, ad esempio, un maggior punteggio in caso di gare pubbliche. Mentre l’avere l’elenco delle imprese a cui la legge è applicabile è molto utile, soprattutto se viene reso pubblico.
A proposito di tr5asparenza, alla lettera b) della proposta di legge si prevede la pubblicazione, nel sito del medesimo Ministero, dell’elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e delle aziende che non lo hanno trasmesso. La lettera c) sostituisce interamente il comma 3 dell’articolo 46 del citato codice delle pari opportunità, richiedendo che “il decreto ministeriale ivi previsto specifichi, oltre alle indicazioni per la redazione del rapporto, le modalità di accesso da parte dei dipendenti dell’azienda interessata nonché le modalità di pubblicazione degli estremi del rapporto nel sito della stessa azienda; i parametri minimi di rispetto delle pari opportunità; la forma, le modalità di attribuzione e di pubblicazione di una certificazione di pari opportunità di lavoro”. Le lettere d) ed e) specificano alcune modalità di controllo e di sanzione, necessarie probabilmente per il rispetto della norma.
Perché è così importante come proposta? Perché portare i dati delle aziende alla portata della consultazione da parte dei dipendenti rende consapevoli le persone di ciò che appare solo come un dato diffuso dalle istituzioni e chissà quanto vero, poi. Noi lo vediamo nella lettura dei pezzi che riguardano la parità salariale: i numeri sono sempre molto bassi come se non importasse neanche alle donne o come fosse un dato di fatto da accettare così. Diverso sarebbe sapere che il compagno di scrivania, a parità di carica e di mansioni, prende il 15-20% in più di noi. Questo forse ci aiuterebbe, come donne, ad avere una maggiore consapevolezza del valore economico del nostro lavoro e, quando opportuno, chiedere anche una parità di trattamento in busta paga.
La proposta di legge passerà ora al Senato. “È una grande soddisfazione – ha commentato Gribaudo – che proprio oggi, nella giornata europea dell’Equal Pay Day, siamo riusciti ad arrivare ad un testo unificato per le pari opportunità sul luogo di lavoro. È il risultato di uno sforzo di condivisione da parte di più forze politiche che può dare una risposta importante alle donne lavoratrici italiane, contro l’ingiustizia del gender pay gap”. Alla conferenza stampa ieri per la presentazione della proposta la partecipazione è stata bipartisan: le deputate Pd Debora Serracchiani e Lia Quartapelle, Tiziana Ciprini (M5S), Renata Polverini (Fi), Carmela Bucalo (Fdi), Guglielmo Epifani (Leu), Lucia Annibali (Iv). Un segnale, quest’ultimo, molto importante perché i veri cambiamenti sono arrivati, per le donne negli ultimi anni, con un consenso che andasse oltre le divisioni partitiche come nel caso della legge Golfo-Mosca sulle quote di genere nei cda delle società quotate e pubbliche. Nel corso della conferenza stampa a Montecitorio, infine, la prima firmataria della legge ha tenuto a sottolineare: “Applicheremo controlli, sanzioni e anche premialità, perché è giusto che venga riconosciuto pubblicamente, con un ‘bollino rosa’, l’impegno di chi affianca le donne in questa battaglia culturale“. E solo questo può rendere efficace una legge che per ora resta solo su carta.