Salve a tutti. Salve a tutti e tutte. Salve a tutte. A tutt*, a tutt@. A tuttu. A tuttə.
Questa è la storia, in una riga, di come una norma grammaticale, una convenzione, è stata negli ultimi anni decostruita, destrutturata, destabilizzata, denormalizzata, alla ricerca di una significanza nuova e più inclusiva, che mettesse a proprio agio tutte le persone che di una certa lingua fanno uso quotidiano. E se il linguista de Saussure affermava che “È il punto di vista che fa la cosa”, capiamo bene come sia necessario interrogarsi su quale sia il punto di vista sotteso alla costruzione di una norma grammaticale.
Ricapitoliamo velocemente. In principio c’è il maschile sovraesteso, ovvero quella convenzione grammaticale per cui in un raggruppamento che includa individui femminili e maschili, se anche uno solo di questi è maschio il gruppo verrà indicato con il maschile. Il neutro in italiano non esiste. Sebbene fosse presente nel latino, l’italiano lo ha perduto e assegna un genere a ogni sostantivo, animato o inanimato. Quando però ci si riferisce a esseri animati, cioè ad animali o persone, il genere grammaticale corrisponde per lo più al genere semantico, ossia al sesso dell’animale o dell’essere umano a cui ci si sta riferendo. Questo è il caso in cui il genere grammaticale e il genere semantico entrano in relazione ed è lo spazio concettuale in cui sono nate le variazioni sulla norma.
Nel momento in cui la sensibilità collettiva è cambiata nei confronti delle questioni di genere, si è fatto necessario un intervento sulla lingua che solo inizialmente ha trovato soddisfazione nel raddoppiamento inclusivo (tutti e tutte), ma in un secondo momento ha reso necessaria la ricerca di un simbolo che davvero rappresentasse la pluralità, senza rendere invisibile chi dal genere sovraesteso e imposto viene fagocitato. Da qui si è adottato l’asterisco nello scritto, impronunciabile nel parlato, da alcuni ovviato con la vocale libera “u”.
A questo punto della storia viene pubblicato un libro dalla casa editrice indipendente effequ, di Silvia Costantino e Francesco Quatraro. Il libro in questione è “Femminili singolari” della sociolinguista Vera Gheno, in cui l’autrice propone la possibilità di utilizzare lo schwa, un fonema utilizzato in altre lingue e presente nell’italiano dialettale, per dare voce a questo genere neutro e formalizzarlo grammaticalmente. Vera Gheno è stata, per questa e altre questioni, al centro di diverse polemiche nate e morte tra le paludi social, ma nel frattempo gli editori in causa hanno preso una decisione. Rivoluzionare le proprie norme editoriali introducendo lo schwa come opzione grafica per indicare un “neutro” o un “generico”.
“Non è un’imposizione o una forzatura della lingua” racconta Francesco Quatraro ad Alley Oop, “è più una proposta linguistica, anche un po’ giocosa e provocatoria, per dare attenzione al linguaggio. Infatti utilizziamo lo schwa con elasticità, non in tutti i maschili sovraestesi, ma solo dove è necessario sottolineare l’inclusione di tutti i generi. Il linguaggio evolverà come deve, ma con questo gesto noi sottolineiamo una richiesta, mostriamo a chi legge e a chi ascolta che il problema si pone”. Per il momento lo schwa è stato utilizzato nel libro “Il contrario della solitudine“, saggio femminista di Marcia Tiburi, e in Vivere mille vite di Lorenzo Fantoni, un saggio sui videogiochi, a sottolineare come la comunità dei videogiochi non sia solo maschile, come molti luoghi comuni vorrebbero.
“La nostra linea editoriale rispecchia il nostro pensiero, che è inclusivo e riconosce la varietà di identità” continua Silvia Costantino: “non si tratta di legittimare dei generi attraverso il linguaggio, questi generi esistono di per sè! Si tratta invece di permettere alle persone di riconoscersi in un testo che avrebbero visto come rivolto ad altri”.
Qualcuno potrebbe affermare che si stia forzando la mano, che la lingua sarà anche mutevole e fluida, ma le convenzioni grammaticali non si possono imporre così, a tavolino. Eppure andrebbe notato a questo punto che nel caso specifico la norma è passata prima attraverso lo scritto, come dichiarata presa di posizione della comunità social. E infatti afferma Quatraro: “Se un tempo le norme si attestavano prima nell’orale e poi si trasponevano nello scritto, oggi assistiamo a una forma di scambio e interazione diversi. Oggi la piazza, l’agorà, è il social network, quindi le istanze sorgono spesso prima nello scritto e poi confluiscono nell’orale”.
Quanto sarà rivoluzionario sull’uso della lingua e sulla nostra quotidianità la scelta editoriale di effequ? Penso al momento in cui si dovrà introdurre il grafema nelle tastiere, oppure all’inserimento del fonema nei lettori vocali. Succederà? Molti attivisti stanno già usando lo schwa oralmente. Ma a sentir parlare di rivoluzione, i due editori si mostrano quasi sorpresi. È chiarissimo come per loro sia già perfettamente integrata l’attitudine di pensiero che sta sotto lo schwa, e non contenga niente di rivoluzionario.
Spiega Quatraro: “Al di là delle nostre personali convinzioni, siamo consapevoli che il lavoro editoriale contribuisce a creare cultura. Adottare pratiche che riteniamo valide, importanti per ridefinire la società e il mondo che ci circonda e di cui ci circondiamo, è un atto politico da cui non riusciamo a prescindere. Detto questo, la lettura è una forma di apertura alla comprensione: si chiede al lettore di compiere uno sforzo nel leggere e comprendere il gioco che stiamo giocando. Il gioco ha delle regole, stabilite dall’editore. E l’editore è un artigiano che sposta l’attenzione percorrendo l’elasticità del linguaggio”.
Silvia Costantino conclude la nostra conversazione con queste parole: “Qualcuno pensa che le innovazioni corrompano la sanità linguistica, ma questa sanità è un’illusione. La lingua italiana è stata costellata di cose che non si potevano sentire, come dice qualcuno anche dello schwa. Si è trattato in fondo di bias che si sono superati”.