Imprenditrici: ecco il fattore C che le frena (e no, non è il Covid)

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C’è un pre Covid e un post Covid nell’anagrafe delle imprese fondate da donne secondo l’ultimo Rapporto sull’imprenditoria femminile realizzato da Unioncamere. Un esercito di un milione e 340mila aziende, il 22 per cento del totale in Italia, che negli ultimi cinque anni è cresciuto molto più velocemente di quelle guidate da uomini: +2,9 per cento contro +0,3 per cento. Ma tra aprile e giugno di quest’anno si sono registrate oltre diecimila iscrizioni in meno da parte di neo-imprenditrici rispetto allo stesso trimestre del 2019. Perché?

L’ipotesi più accreditata, condivisa sia da Carlo Sangalli, presidente di Unioncamere, che da Tiziana Pompei, vicesegretario generale di Unioncamere e direttore generale di Si.camera, è che a pesare sull’idea di avviare una impresa in questo periodo, oltre alle preoccupazioni comuni e trasversali, sia rientrata prepotentemente in scena una questione di genere, il fattore C, inteso come ‘cura’ o ‘care giving’. Per dirla con le parole del presidente Sangalli, questo rallentamento è “testimonianza del fatto che il peso più rilevante in quelle fasi difficili è ricaduto e ricade sulle spalle delle donne. Anche per questo dobbiamo rafforzare gli strumenti utili per sostenere le donne a far nascere e crescere le loro imprese“. In altri termini, c’è il forte sospetto che le aspiranti imprenditrici in questi mesi abbiano dovuto impiegare tempo ed energie nella cura della famiglia o dei propri cari in generale, tutti a casa, tra homeschooling e ‘smart’ working, piuttosto che nella creazione di business plan e conti economici.

Una battuta d’arresto per certi versi contingente, cioè legata al momento, e per altra strutturale, l’atavica convinzione che certi compiti spettino alle donne, in controtendenza comunque rispetto al trend dell’ultimo quinquennio, dove in valori assoluti l’aumento delle imprese femminili è stato più del triplo rispetto a quello delle imprese maschili: +38.080 contro +12.704. In pratica, le imprese femminili hanno contribuito a ben il 75% dell’incremento complessivo di tutte le imprese in Italia, pari a +50.784 unità.

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Nella fotografia di Unioncamere emergono contraddizioni importanti. Da un lato le imprese femminili giovanili sono meno propense all’innovazione (il 56% delle imprese giovanili femminili ha introdotto innovazioni nella propria attività contro il 59% imprese giovanili maschili) e all’uso delle tecnologie digitali (su Industria 4.0 ha investito il 19% contro il 25% delle imprese giovanili maschili); sono meno internazionalizzate (il 9% contro il 13%); hanno un rapporto difficile con il credito (il 46% delle imprese femminili di under 35 si finanzia con capitale proprio o della famiglia) e sono più le giovani imprese femminili, rispetto a quelle maschili, a non aver visto accolta la richiesta o di averla vista soddisfatta solo in parte dalle istituzioni bancarie (8% vs 4%).

Dall’altra parte, le imprenditrici sono più attente all’ambiente, guidate soprattutto dall’etica e dalla responsabilità sociale: la quota delle giovani imprese rosa che investono nel green mosse dalla consapevolezza dei rischi legati al cambiamento climatico è superiore a quella dei giovani imprenditori maschili (31% contro il 26%). Più raro è che trasformino una esigenza etica in una vera opportunità di business.

Elena Bonetti, ministra per le Pari opportunità e la famiglia, sottolinea: “L’esperienza imprenditoriale femminile è l’unico dato italiano in controtendenza e migliore della media europea rispetto all’occupazione in generale“. Come incentivarla? “serve sostenere e incentivare la presenza femminile nelle PMI, settore privilegiato per il lavoro delle donne. Abbiamo quindi individuato, come Dipartimento per le pari opportunità, tre direzioni di intervento: accesso al credito e formazione finanziaria, per i quali dall’inizio della crisi sanitaria abbiamo già incrementato di 5 milioni di euro il fondo destinato al credito delle PMI femminili; un piano nazionale di formazione al digitale, con particolare attenzione ai settori e alle categorie di donne imprenditrici, che sono maggiormente escluse da tali percorsi formativi; promozione incentivata, tra le imprese femminili, e condivisione di strumenti di welfare e di conciliazione tra la vita familiare e quella lavorativa. Sono convinta che il coraggio delle donne che sanno osare scelte innovative possa fare di queste imprese il primo passo per la ripartenza di tutto il Paese”.

  • ezio |

    Se escludiamo periodi critici e drammatici, come i terremoti, le alluvioni, le pandemie, le carestie, e le crisi finanziarie, dove le chiusure ed i fallimenti insieme alle difficili riaperture post crisi toccano indistintamente tutti i generi imprenditoriali, in periodo di pace e normalità relativa occorre fare altre considerazioni più realistiche e meno vittimistiche.
    Ammesso e non concesso che a ruoli invertiti (se i figli li partorissero i maschi ed avessero l’istinto materno di protezione e sussistenza della prole con la capacità di allattare al seno che non hanno), la situazione di disparità imprenditoriale sarebbe dei maschi.
    Se madre natura ha dotato e destinato alle femmine il ruolo di mettere al mondo le future generazioni, è implicito che se questo ruolo non è ben accetto perché ritenuto limitante, o addirittura d’ostacolo alla propria realizzazione, a costoro non resta che fare scelte alternative e complementari con eventi di maternità da programmare e progettare con la dovuta attenzione e prevenzione.
    Naturalmente ritengo scontate tutte le infrastrutture di sostegno alla maternità ed alla gestione dell’infanzia, anche e soprattutto se meglio realizzate direttamente all’interno dei posti di lavoro, come alcuni paesi nordici insegnano.
    Ma non si possono concepire famiglie che demandano prevalentemente il ruolo genitoriale a personale esterno, perché i figli di nessuno o di professsionisti/e a pagamento non sono sostitutivi della presenza materna e paterna quotidiana, anche se alternata.
    In estrema sintesi occorre che ogni mamma potenziale (non obbligatoria), che desidera esserlo anche in pratica d’opera, si organizzi meglio i periodi della propria vita, perché ritengo che fare la mamma contemporaneamente alla gestione d’impresa, rischi seriamente di fare male entrambe le missioni.

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