«La legge sull’omofobia in realtà mira a trasformare le donne in una appendice del-la galassia Lgbtqi».
«È una legge che vuole metterci il bavaglio, che impedirà la libertà di espressione».
«Il vero scopo per cui questa legge è stata scritta è quello di spalancare le porte all’utero in affitto e alla prostituzione come lavoro!»
«Questa legge vuole sdoganare la pedofilia come orientamento sessuale!»
Queste e altre falsità vengono diffuse contro una proposta di legge che lo scopo di intervenire contro i crimini d’odio, le discriminazioni e l’istigazione a commetterli. E che, infatti, si intitola: «Misure di prevenzione e contrasto della violenza e della di-scriminazione per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere».
Il testo base non c’era ancora che già fioccavano le critiche: dalla Cei che lo reputa liberticida; dai gruppi pro-life che lo considerano nocivo; e da alcune componenti dell’associazionismo femminista, le quali ritengono che la definizione «identità di genere» annulli le differenze e sia lesiva dei diritti delle donne, perché a loro dire, laddove esistono quote o incarichi destinati alle donne, questi potranno essere occupati da persone che – pur essendo nate maschi – si percepiscono come appartenenti al genere femminile.
Ma sono ragioni che non hanno a che fare con la legge, che, come abbiamo detto, è stata concepita non per dare diritti sociali ma per fornire protezione da odio e discriminazione. Inoltre, contemplare sesso e genere accanto all’orientamento sessua-le e all’identità di genere allarga significativamente il campo di azione della legge, che diventa così una norma anche contro la misoginia per quel che riguarda la parte pe-nale.
È importante sottolineare che quello dell’identità di genere, che alcune femministe chiedono di sostituire con «transessualità», è un concetto con un «peso giuridico» ormai ben definito, a livello sia nazionale sia sovranazionale. È stato avallato dalla Corte costituzionale con la sentenza 221/2015; è stato introdotto nell’articolo 1 dell’ordinamento penitenziario; è evidenziato nelle pronunce della Corte di Cassazione; è presente nelle direttive e nelle risoluzioni dell’UE; ed è incluso nell’articolo 4 della Convenzione di Istanbul ratificata nella scorsa legislatura.
Così come è bene ripetere ancora una volta che la legge non colpisce la libertà di espressione, non colpisce la diffusione di idee. Chiunque sarà libero di dire di essere contrario alle famiglie omogenitoriali o alle unioni civili; non sarà invece libero di usare violenza contro una coppia omogenitoriale solo perché contrario a essa, né di istigare altre persone a compiere materialmente quella stessa violenza. I bavagli, le museruole non c’entrano nulla. Sono fuori del nostro perimetro.
C’è da dire che le forze politiche di opposizione non stanno cercando di collaborare per rendere il testo più completo. Al contrario, invece di fornire il loro contributo allo scopo di garantire pari dignità alle persone, hanno presentato in commissione Giustizia più di mille emendamenti. Alcuni fantasiosi, come aggiungere fra le discriminazioni atti «fondati sulla stazza, il peso, il modo di parlare o di comportarsi, le abitudini alimentari», oppure estesi a chi possiede «tratti fisici caratterizzanti, quali calvizie e canizie». Quale intento si nasconde dietro tanta «creatività», se non quello di demolire la proposta di legge e svuotarla di significato?
Una legge sull’omolesbobitransfobia è attesa da anni nel nostro Paese. La prima proposta risale addirittura al 1996, quella presentata da Nichi Vendola. Nel 2006 fu una risoluzione del Parlamento europeo a chiedere a tutti gli Stati membri di legife-rare su questa materia. E nella scorsa legislatura noi ci riprovammo: alla Camera venne approvata, poi l’iter si interruppe, non arrivò in discussione al Senato.
Nell’Ue siamo in pochissimi a non esserci adeguati. La Francia si è già dotata di una legge, così come la Spagna, il Regno Unito e la Germania, che lo ha fatto a livello territoriale. Noi, invece, siamo rimasti indietro, lasciando un evidente vuoto legislativo nel nostro ordinamento. Questa legge è pensata non per una minoranza o per una singola comunità, ma per l’intero Paese. Non è più rimandabile colmare quel vuoto e dare piena dignità a tutte le persone, nel rispetto dell’articolo 3 della nostra Costitu-zione e del principio di uguaglianza.
Vorrei infine porre l’accento sull’introduzione dei crimini d’odio per motivi di sesso e genere – e dunque di misoginia –, che è stata salutata come una innovazione dalle esperte e dagli esperti di Diritto penale ascoltati nel corso delle audizioni preparatorie. Perché sappiamo bene che le donne sono tra le più colpite dai crimini d’odio. Nella scorsa legislatura, da presidente della Camera, istituii la commissione «Jo Cox» sui fenomeni di odio, intolleranza, xenofobia e razzismo. La commissione, composta da deputati ed esperti (Tullio De Mauro, Chiara Saraceno e Ilvo Diamanti), alla fine presentò una relazione da cui emerse che all’apice della cosiddetta «piramide dell’odio» c’erano proprio le donne, e poi la comunità Lgbt.
Come si fa, quindi, a sostenere che non ci sia una vulnerabilità oggettiva? Vuol dire non prendere atto della realtà. Di fronte a questo il legislatore non può nascondersi, deve intervenire. Ed è proprio quello che stiamo facendo.