“Prof, anch’io mi sento discriminato!” Ma da chi? “Dalle donne!”
Va bene, parliamone, perché questa sensazione non è così rara, e purtroppo la discriminazione percepita, anche se non è reale, produce gli stessi danni della discriminazione reale. Basta infatti la percezione della discriminazione per attivare la “minaccia dello stereotipo”, e la profezia si avvera, producendo le stesse conseguenze negative della discriminazione reale (minore produttività). E’ importante dunque cercare di ridurre la percezione della discriminazione proprio quando quest’ultima NON è reale, poiché in tal caso la legge non può nulla contro di essa.
La percezione della discriminazione nei confronti del genere maschile è rilevata nell’indagine Eurofound (EWCS 2015). I dati mostrano che lo 0,7% degli uomini ha affermato di aver subito una discriminazione di genere nei 12 mesi precedenti l’indagine (contro il 3,1% delle donne), e l’andamento nel tempo evidenzia una notevole crescita di questa percentuale tra il 2010 e il 2015 (da 0,2% a 0,7% per la componente maschile, e da 2,1% a 3,1% per la componente femminile).
La percezione degli uomini di essere discriminati nasce solitamente in ambiti professionali con forte segregazione femminile (come le professioni di cameriera, segretaria, assistente sociale e docente di scuola primaria), oppure in contesti in cui le regole di comportamento sono tradizionalmente diverse tra i generi (come la richiesta di allineamento al codice di abbigliamento aziendale o la concessione di permessi e benefit).
Ma la percezione maschile di essere discriminati nasce soprattutto in contesti di azioni positive, come ad esempio l’introduzione delle quote di genere nelle assunzioni e nelle promozioni. In alcuni casi, sono le aziende stesse che scelgono di adottare un trattamento preferenziale nei confronti del genere femminile con l’intento di evitare l’accusa di discriminazione contro le donne e il conseguente onere del contenzioso, e in queste situazioni è ricorrente l’uso del termine “discriminazione a rovescio” per sottolineare il fatto che la disparità di trattamento in negativo e quella in positivo rappresentano le due facce della stessa medaglia. In entrambi i casi, infatti, verrebbe tradito il criterio del merito, cioè il meccanismo di selezione efficiente sia dal punto di vista aziendale sia dal punto di vista sociale.
Le posizioni ostili alle quote sembrano prevalentemente fondate sull’idea che le persone favorite dalle azioni positive siano di fatto meno qualificate dei loro rivali, e che pertanto non sarebbero in grado di superare le prove previste nel caso di una selezione puramente meritocratica. In realtà, il concetto di merito non è privo di ambiguità. Per esempio, è interessante notare che i risultati di un’indagine condotta specificamente su questo tema riportano che ben il 54% degli intervistati considera la meritocrazia una grave carenza della classe dirigente italiana, ma al tempo stesso il 91% di loro ritiene di applicarla a titolo personale. Dunque quasi tutti ritengono di essere meritocratici, ma poi giudicano il sistema gravemente carente da questo punto di vista. (Istituto Piepoli 2008).
Inoltre, è importante tenere presente che la mera intenzione di premiare il merito non garantisce che i valutatori sappiano riconoscerlo. In un contesto decisionale non libero dal condizionamento degli stereotipi chi è il vincitore di una procedura di valutazione? L’individuo più meritevole o quello ritenuto più “adatto” secondo lo stereotipo? Inoltre, la normativa sulle azioni positive specifica che il trattamento preferenziale del genere sottorappresentato non è incondizionato, ma si applica a parità di qualificazione per una data posizione lavorativa o a parità di merito per un dato benefit. Ciò significa che i candidati del genere più rappresentato non possono essere esclusi a priori dalla competizione, ma devono essere presi comunque in considerazione, così che l’appartenenza di genere rappresenti l’elemento preferenziale della procedura di selezione solo a parità degli altri criteri di valutazione.
In conclusione, poiché il percorso verso la parità di genere può trovare un ostacolo non trascurabile nella percezione della discriminazione sia da parte degli uomini sia da parte delle donne, e poiché questa percezione ha conseguenze negative sulla produttività di entrambi i generi, è conveniente per tutti investire risorse per contrastare questo fenomeno.