L’anoressia è anche maschile, ma se ne parla poco

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La vita di Lorenzo Seminatore, un giovane di 20 anni, si è spenta pochi giorni fa a causa dell’anoressia nervosa, un disturbo presente in forme particolarmente insidiose proprio nella popolazione maschile ma che riceve scarsa attenzione, se non quando alla cronaca arrivano casi drammatici come questo.

Una sottovalutazione pericolosa, perché l’anoressia rappresenta il disturbo mentale con più elevato rischio di mortalità: tra i pazienti con anoressia fra i 15 e i 24 anni, sarebbe infatti 10 volte superiore a quello dei coetanei. Le statistiche mostrano come in Italia siano oltre 3 milioni le persone affette da disturbi dell’alimentazione, di cui il 95,9% femmine e il 4,1% maschi; nel 70% dei casi si tratta di adolescenti e l’età di esordio sembra essere sempre più precoce (Ministero della Salute, 2018). Secondo l’American Psychiatric Association si tratta di disturbi in aumento anche nella popolazione maschile.

Per comprendere meglio questo disturbo e per capire come affrontarlo abbiamo chiesto aiuto a Sandra Sassaroli, psichiatra e psicoterapeuta cognitivo comportamentale, esperta di disturbi dell’alimentazione e Direttrice sanitaria del Centro di Disturbi dell’Alimentazione delle Cliniche Italiane di Psicoterapia a Milano.

Il caso di Lorenzo solleva il tema dell’anoressia maschile, di cui si parla poco. Quanto è diffusa l’anoressia tra i maschi? Vi sono differenze tra l’anoressia maschile e quella femminile?
“Gli ultimi dati del Ministero della Salute stimano che l’incidenza dell’anoressia nervosa sia di almeno 8 nuovi casi per 100mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini sia compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi. In realtà, il trend in aumento per i maschi registrato a livello internazionale non è dovuto ad un una crescita nel numero di casi di anoressia nervosa, ma a nuovi disturbi alimentari sempre più diffusi nella popolazione maschile, come l’ortoressia, che si presenta come un’ossessione per una sana alimentazione, e la vigoressia, una forma di dismorfismo corporeo che porta ad un’ossessione per il tono muscolare e l’allenamento, associato a diete ipocaloriche e iperproteiche. Come testimonia il caso di Lorenzo, sebbene numericamente più limitati che nelle femmine, i casi di anoressia maschile si manifestano generalmente in forme molto severe e spesso in associazione con altri disturbi psicologici”.

Esistono dei campanelli di allarme?
“Chi soffre di anoressia inizia a vivere il proprio corpo come un nemico contro cui combattere, non avvertendone più i bisogni. I campanelli di allarme sono molteplici: una perdita del 20% del peso in un breve arco temporale (3-4 mesi), un’alimentazione estremamente controllata e limitata, difficoltà a mangiare con altri, comportamenti alimentali ritualizzati e un eccesso di attività fisica. Altri segnali sul piano cognitivo ed emotivo sono la presenza di pensieri ossessivi relativi al cibo e all’immagine corporea, un’estrema paura di prendere peso e una percezione alterata del proprio corpo, che porta a vedersi come brutti e grassi anche quando si è evidentemente sottopeso. Caratteristiche comuni a chi presenta un’anoressia nervosa sono inoltre il perfezionismo, la tendenza all’iperattività, il terrore di sbagliare, l’ansia, l’evitamento esperienziale e il controllo. Nella mia esperienza clinica questi ragazzi chiedono molto a se stessi, tendono ad assumere su di sé le ambizioni della famiglia e hanno livelli di perfezionismo molto elevati.

Si innesca un circolo vizioso, anche a livello cognitivo, in base al quale un mezzo si trasforma in un fine….
“La sensazione di mancanza di controllo è massima negli adolescenti con anoressia nervosa. Di qui la loro scelta paradossale: il controllo del corpo diventa fine a se stesso, in una corsa autodistruttiva in cui l’obiettivo iniziale, essere accettati e piacere agli altri, è presto dimenticato a favore della magrezza che diventa un valore in sé”.

I dati indicano che in molti casi, soprattutto tra i maschi, si arrivi troppo tardi a ricevere le cure di cui si necessita.
“E’ interessante notare come la diffusione tra i maschi di disturbi come la vigoressia, con comportamenti finalizzati a rendere il corpo più muscoloso non faccia scattare il campanello di allarme del disturbo dell’alimentazione: se il corpo degli anoressici genera un forte impatto in chi li osserva, lo stesso non accade per il corpo di un ragazzo molto muscoloso. Inevitabilmente, questo ha una ripercussione sulla consapevolezza di avere un disturbo e sulla richiesta di aiuto. Non è il caso di Lorenzo, la cui magrezza legata all’anoressia era molto evidente”.

In che direzione deve andare l’intervento terapeutico?
“I percorsi di cura per l’anoressia, oltre a coinvolgere equipe multidisciplinari, sono spesso molto lunghi. Un passaggio fondamentale del percorso terapeutico riguarda la riduzione del perfezionismo, dunque delle aspettative legate alla performance e delle strategie di controllo. Il perfezionismo e il timore dell’errore sono parte integrante del problema. Eppure, come mi è capitato di vedere in molti casi che ho seguito, la remissione dei sintomi si associa spesso al desiderio di ritornare ai precedenti livelli perfezionistici di prestazione scolastica o professionale”.

Quali modelli di intervento sono oggi più efficaci?
“Oggi sappiamo che alcuni interventi funzionano più di altri. Il gold standard rimane un intervento integrato, che associa alla componente medica una psicoterapia individuale e coinvolge anche la famiglia. Tra le terapie più efficaci vi è quella cognitivo-comportamentale, in particolare la Cognitive Behavioral Therapy-Enhanced (CBT-E; Fairburn et al., 2013), sviluppata presso l’Università di Oxford, il cui utilizzo è oggi raccomandato dalle linee guida nazionali e internazionali (NICE, 2017) per tutti i disturbi dell’alimentazione (anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da binge-eating, altri disturbi dell’alimentazione con e senza specificazione), sia per gli adulti sia per gli adolescenti. In emergenza, non bisogna sottovalutare la possibilità di ricorrere all’intervento medico-sanitario, contattando il 118”.

Cosa servirebbe per migliorare gli interventi a disposizione delle famiglie?
“Data la complessità e la tendenza alla cronicizzazione di questo disturbo, bisognerebbe puntare di più sulla prevenzione e sul riconoscimento precoce dei casi. Più a lungo l’anoressia si protrae, più è difficile curarla”.

Come aiutare le famiglie, come quella di Lorenzo, che si sentono sole?
“Proprio per ridurre i tempi di intervento è importante aiutare le famiglie a orientarsi e ad individuare strutture specializzate a cui rivolgersi, che utilizzino strumenti diagnostici e di intervento di riconosciuta efficacia. In Italia, esistono  strutture pubbliche specializzate per la cura di questi disturbi, purtroppo poche, strutture convenzionate con il pubblico e altre private e non è sempre facile per una famiglia trovare la strada giusta. Il consiglio è quello di rivolgersi, in prima battuta, alle strutture specializzate della propria Regione, di cui è stata fatta una mappatura dal Ministero della Salute (l’elenco è disponibile sul sito del Ministero)”.