Caso Manduca, risarcimento a rischio per gli orfani di femminicidio

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“I ragazzi credono nella giustizia, il 10 febbraio erano tutti su una panchina in piazza Cavour ad aspettare la discussione in Cassazione. Ma se la Corte deciderà di chiudere la vicenda così, tutto sarà inutile: non dovremo più dire alle donne di denunciare”. A parlare è Licia Damico, avvocata di Carmelo e Paola Calì, la coppia che 13 anni fa ha accolto in casa, insieme ai loro 2 bambini, i 3 figli di Marianna Manduca, cugina di Carmelo, uccisa dall’ex compagno. La famiglia ha ottenuto in primo grado un risarcimento di 259mila euro dalla Presidenza del Consiglio, condannata per non aver protetto la donna nonostante le 12 denunce per violenze e minacce . “Una sentenza finita in tutti i manuali di giurisprudenza perché ha affermato un principio di civiltà giuridica assoluta: quando un magistrato commette un errore, deve risponderne davanti alla legge ”, sottolinea Damico.

Ma in Appello i giudici hanno ribaltato la decisione e, durante la discussione in Cassazione a Roma, “il procuratore generale ha chiesto di respingere il nostro ricorso e confermare la sentenza della Corte di appello di Messina, che aveva rovesciato la sentenza di primo grado. Secondo i giudici, anche se nulla è stato fatto, nulla avrebbe potuto evitare il femminicidio – neanche le 12 denunce – così forte era la determinazione dell’assassino. In sostanza nessuno avrebbe potuto proteggere Marianna” continua il legale. “Un messaggio sconsolante, non solo per la famiglia Calì ma per tutte le donne e i giuristi. Se diciamo che niente si può fare quando una donna denuncia, la giurisdizione abdica a se stessa. Noi vogliamo invece dimostrare quante cose si sarebbero potute fare per evitare il femminicidio. Negli anni è stata adottata una sola misura restrittiva, una volta scaduta non è stata rinnovata. Il paradosso è che una delle denunce è stata trattata in un processo 3 mesi dopo la morte di Marianna e l’uomo è stato condannato”.

Quando la loro mamma è stata uccisa, nell’ottobre 2007, i tre bambini avevano 3, 5 e 6 anni. Il padre, Saverio Nolfo – l’omicida – è stato condannato dal Tribunale di Caltagirone nel 2009 a 21 di anni di carcere. I ragazzi, che prima abitavano a Palagonia, in provincia di Catania, dopo la tragedia si sono trasferiti a Senigallia a casa di Carmelo Calì, della moglie e dei due figli. “Sono stati lasciati soli da tutti: dallo stato italiano che non ha fatto nulla, dalle istituzioni assenti che ora chiedono la restituzione del risarcimento, dai servizi sociali, dalla magistratura“, spiega Licia Damico.  “Senza quei soldi, che rappresentano ciò che la mamma avrebbe messo loro a disposizione se non fosse stata assassinata, il futuro dei ragazzi è a rischio. La famiglia ha usato il risarcimento ottenuto per comprare un immobile a Senigallia e trasformarlo in bed and breakfast, grazie al quale riescono a far fronte alle spese. I 5 figli hanno tra i 13 e i 18 anni, studiano e vogliono continuare a farlo, senza risorse economiche non potranno. La famiglia Calì, avendo già ottenuto il risarcimento, non può fare domanda per ottenere gli indennizzi previsti per le vittme di reati intenzionali violenti. “Una beffa nella beffa”, conclude l’avvocata.