È della scorsa settimana la notizia della rielezione di Fabiola Gianotti alla direzione generale del Cern di Ginevra. Gianotti ha conquistato quindi un secondo primato: dopo essere stata la prima donna a dirigere l’istituto di ricerca più importante al mondo sulla fisica delle particelle, ora è il primo direttore ad essere riconfermato per un secondo mandato. “Sono felice di poter contribuire a rappresentare gli scienziati italiani all’estero”, ha dichiarato. Una storia di eccellenza che ci inorgoglisce, ma ci costringe anche a riprendere in mano i dati e chiederci: come se la passano gli scienziati italiani, ma soprattutto, le scienziate?
La scienza non è immune ai pregiudizi di genere che ben conosciamo, e il trend internazionale lo hanno raccontato i dati raccolti dall’Onu per l’ultima “Giornata Internazionale per le donne e le ragazze nella scienza”, lo scorso febbraio. Se è vero che è nettamente aumentato il numero complessivo di ragazze che accedono agli studi universitari, raggiungendo quasi la parità con i colleghi maschi, è altrettanto vero che le ragazze che si iscrivono alle facoltà Stem sono ancora poche: in coda c’è informatica (solo il 3%), seguita da scienze naturali, matematica e statistica (5%) e ingegneria (8%). Il gap si riflette nel mondo del lavoro: su 10 ricercatori, 3 sono donne e 7 sono uomini.
Le donne nelle professioni Stem non solo sono poche, ma anche tendenzialmente invisibili. Secondo uno studio pubblicato da Genetics , che ha esaminato 883 paper pubblicati dal 1970 al 1990, sulla rivista Theoretical Population Biology, il 90% dei nomi degli autori è maschile. Tra le note di ringraziamento, però si riscontra che la percentuale di nomi femminili si alza vertiginosamente, raggiungendo il 43,2%. È l’effetto Ada Lovelace, dal nome della matematica inglese che contribuì in modo fondamentale ai primi studi ottocenteschi che avrebbero portato alla realizzazione dei computer, ma il cui lavoro fu riconosciuto solo negli anni Settanta.
Ecco perchè, oltre a parlare di dati, è importante oggi anche parlare di persone, fare nomi, raccontare storie. Ricordare chi sono le donne italiane che, capitanate da Fabiola Gianotti, Samanta Cristoforetti, Marina Barchiesi, stanno contribuendo ad abbattere le barriere di genere nelle professioni Stem.
Per esempio, Paola Santini, astronoma, o meglio, archeo-astronoma. Ricercatrice presso l’Osservatorio Astronomico INAF di Roma, studia l’evoluzione delle galassie. Dall’osservazione della luce proveniente da galassie che si trovano in epoche differenti dell’evoluzione cosmica, il suo lavoro unisce il fascino dell’archeologia o della ricostruzione del passato ai metodi innovativi e futuristici impiegati in questo campo scientifico. Nel 2015 ha vinto il premio Giovani Ricercatori Italiani del Gruppo 2003, un gruppo di scienziati che lavora per la valorizzazione dei giovani.
Silvia Marchesan, inserita da Nature tra gli 11 scienziati emergenti da tenere d’occhio nel mondo, unica italiana con Giorgio Vacchiano. Professoressa associata di Chimica organica al dipartimento di Chimica farmaceutica di Trieste, dove gestisce il laboratorio dell’ateneo, Marchesan lavora sulle molecole e le super-strutture nella ricerca di materiali biosostenibili. In quest’ambito ha sviluppato un idrogel di proteine che si auto-assemblano,poco costoso ed efficace, utile per riparare i tessuti del corpo e rilasciare farmaci. Ha studiato a Londra, in Finlandia e Australia, e anche per questo vale la pena ascoltare una volta in più ciò che ha da dire sulla conciliazione lavoro famiglia nel nostro Paese.
Cecilia Laschi dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Con la collega Barbara Mazzolai, biologa marina, ha intrapreso una sperimentazione ispirata a organismi biologici, da cui ha preso forma “Octopus”, il primo robot senza strutture rigide. Si tratta in sostanza di un soft robot con una forma simile a un tentacolo, costituito da fibre intrecciate che gli permettono di allungarsi, curvarsi e adattarsi a ogni ostacolo. Un progetto pionieristico che può applicarsi a diversi ambiti di utilizzo.
Sonia Calvari è dirigente di Ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), Sezione Catania – Osservatorio Etneo. Dalla laurea calabrese in geologia, Calvari si è poi specializzata all’estero prima di rientrare in Italia a valorizzare il suo sapere con lo studio degli interessanti vulcani che abbiamo nel nostro territorio. Continuando a contribuire con collaborazioni con History Channel, CNN, BBC, Endemol UK, SWR (Germania).
Chiara Montanari, laureata in Ingegneria Civile all’Università di Pisa, manager in Ricerca e Sviluppo del Politecnico di Milano. Nel 2003 è l’unico ingegnere donna a occuparsi delle spedizioni e della gestione dei progetti di ricerca della base antartica Concordia. Un luogo dove ricercatori, biologi, climatologi di tutto il mondo vi studiano lo stato dei ghiacci e del pianeta. Aveva 29 anni. Nel libro “Cronache dai ghiacci. 90 giorni in Antartide”, scritto dopo la quarta spedizione avvenuta nel 2013, racconta l’esperienza durante la quale ha portato a dialogare e lavorare insieme un team composto da 60 uomini e 6 donne, obbligati a convivere in un microcosmo isolato in condizioni atmosferiche estreme.
Storie virtuose, che danno ai dati un volto più umano e affascinante. In questa piccola carrellata c’è l’augurio, per tutte le donne che lavorano nella ricerca scientifica, di conquistare la visibilità e lo spazio che meritano.