Italia il 4 novembre sotto esame all’Onu

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L’Italia non è ancora promossa in materia di diritti delle donne. E nel contrasto alla violenza e ai femminicidi, in particolare, ci sono molte lacune da colmare . Almeno stando al rapporto che diverse organizzazioni, come Be Free, Fondazione Panagea, La Lega internazionale delle donne per la Pace e libertà,  presenteranno a Ginevra l’11 ottobre in vista dell’appuntamento del 4 novembre, quando l’Onu metterà sotto esame l’Italia sul tema dei diritti umani. Il nostro Paese è infatti chiamato a fare il cosiddetto ‘terzo ciclo’ della Revisione periodica universale, una procedura per cui, ogni quattro anni circa, tutti gli Stati membri si sottopongono a un esame complessivo in materia di diritti umani.  InItalia, in materia di diritti delle donne, si legge nel rapporto di Pangea e delle altre organizzazioni, “mancano politiche di uguaglianza inclusive, coerenti nel tempo e adeguatamente finanziate su tutto il territorio nazionale. Ad esempio nonostante le leggi esistenti, i meccanismi di rappresentanza paritaria sono ancora inadeguati e deboli”.  Storicamente, commenta Simona Lanzoni, vice presidente di Fondazione Pangea Onlus, “l’attenzione dei governi a un approccio di genere è stato intermittente e residuale. Sono ancora molti gli ostacoli che impediscono l’avanzamento dei diritti delle donne e il raggiungimento delle pari opportunità. L’attuale Governo, a parte fare annunci, non sappiamo ancora come intenda muoversi“.

Nella lotta alla violenza di genere insufficiente coordinamento e burocrazia lenta

Ma veniamo alla parte del rapporto che riguarda la violenza contro le donne. In primis, fanno notare le associazioni, mancano ancora dati sufficienti su violenze e femminicidi. E questa è una grave lacuna se si vuole poi combattere la violenza in maniera efficace. « I sistemi per la raccolta dei dati amministrativi relativi alle donne vittime di violenza e al femminicidio dei ministeri della giustizia, degli interni e della salute – si legge nel rapporto – non sono in linea con le disposizioni della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa. Pertanto le politiche di prevenzione e protezione dalla violenza maschile e le misure conseguenti non sono elaborate sull’analisi di rilevazioni dei dati amministrativi certi”.

Carenze anche nel necessario approccio strutturale per combattere un fenomeno che continua a essere “molto grave e diffuso in Italia”. Sul banco degli imputati ci sono la mancanza di coordinamento tra il governo centrale e quelli regionali, la costante debolezza della burocrazia amministrativa, l’insufficiente trasparenza sulla distribuzione dei finanziamenti nazionali, regionali e locali.  “L’insieme di questi punti deboli – si legge nel rapporto – espongono le donne che vivono violenza a una vittimizzazione secondaria perché spesso è difficile accedere tempestivamente a servizi di supporto, protezione ed empowerment adeguati”.

Il piano d’azione sulla violenza non ha portato a risultati concreti

Associazioni critiche, dunque, sull’applicazione dell’ultimo piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne per il triennio 2017-2020 che prevede un approccio strutturale, intervenendo con formazione e istruzione sulle cause della piaga. Un piano che poggia su politiche integrate, comprese le misure di prevenzione e protezione, e maggiori finanziamenti.  “Il piano operativo che intendeva rendere esecutivo il piano strategico nazionale, non ha portato – si legge nel rapporto – a risultati concreti. La scarsità di risorse finanziarie stanziate dai ministeri competenti per la formazione dei diversi soggetti coinvolti nel piano ostacola una efficace prevenzione dalla violenza, protezione della vittima, nonché la punizione degli autori”.

Sistema della giustizia carente, ancora stereotipi e pregiudizi sulle donne

Un altro nodo fondamentale è rappresentato, in tema di violenza contro le donne, dal sistema della giustizia. Nonostante la recente approvazione del Codice Rosso, che aumenta le pene, introduce nuove fattispecie di reato e impone una trattazione prioritaria dei casi di maltrattamenti in famiglia e violenza, le lacune nella risposta del nostro sistema di giustizia, leggendo il rapporto, appaiono ancora molte. “L’attuale organizzazione dei tribunali e il sistema giudiziario – sottolinea il rapporto – non facilitano un accesso rapido ed efficace alla giustizia. Ad esempio, l’assistenza legale gratuita non è garantita a tutte le donne come richiesto dalla legge 119/2013 perché non è supportata da fondi dedicati e coerenti”. La violenza di genere inoltre è sottovalutata dagli operatori coinvolti nella fase della protezione, dell’investigazione e dei procedimenti giudiziari che, a causa di stereotipi e pregiudizi sulle donne e sugli uomini, spesso trattano le situazioni di violenza domestica come semplici conflitti all’interno della famiglia. “Questa mancanza di comprensione delle cause e delle conseguenze della violenza – prosegue il rapporto – provoca gravi danni alle donne vittime che sono costrette a sottoporsi a procedure di mediazione familiare e, nel caso di bambini testimoni della violenza domestica, ad accettare l’affidamento congiunto, anche se non desiderato, senza un riconoscimento da parte delle autorità preposte dell’impatto che la violenza domestica ha sui bambini”. La mancanza di armonizzazione, nella pratica, tra le misure di protezione penale e civile porta poi alla vittimizzazione secondaria: “gli ordini e le decisioni dei giudici del settore penale non vengono automaticamente presi in considerazione dai giudici del settore civile e minorile coinvolti in casi di divorzio e affidamento dei figli. In particolare, nei tribunali civili, le donne sono spesso sanzionate e condannate al risarcimento dei danni in quanto sono ritenute responsabili della cattiva relazione tra padre e figli”. Le carenze da colmare, insomma, secondo  le associazioni, non mancano e le sottolineano nel loro rapporto all’Onu. Quanto a quello che succede nel nostro Paese, “speriamo – chiosa Simona Lanzoni – che il nuovo Governo in carica risponda alle nostre raccomandazioni, le accetti e ne dia seguito concretamente, sia con azioni politiche che con finanziamenti”.