Esiste una voce di Wikipedia che non ha l’equivalente maschile: è la “Lista delle donne capo di Stato”. Attualmente ci sono donne Capo di Stato in 27 Paesi, negli altri 169 Paesi il potere (e la responsabilità) sono in mano agli uomini, che continuano evidentemente a essere la soluzione di default.
Il caso ha voluto che nella stessa settimana sulle pagine dei giornali abbiamo visto foto del G7 e del cosiddetto “tomoministri” italiano. Tutti maschi: sia qui che là, con qualche rara eccezione. Se possibile ancora più tristemente, sono state diffuse alcune foto delle mogli dei Capi di Stato del G7 intente a occuparsi dell’orto o ad assistere a danze folkloristiche.
Timidamente, il segretario del PD Nicola Zingaretti sembra aver accennato al tema nel chiedere che questo governo portasse della discontinuità: “La mediazione tra i reciproci punti di partenza dovrà garantire un pieno riconoscimento della parità di genere”, ha detto, riferendosi alla squadra dei ministri.
Non devono averlo ascoltato granché, a giudicare dalle voci sul governo che sarà. Ministri uomini in almeno l’80% dei casi e alle donne, eventualmente, mai ministeri di troppo peso (salvo rare eccezioni). Voci si sono alzate sia dalla Rete per la Parità che da un gruppo di parlamentari: un appello allo stesso Capo dello Stato, come reazione immediata alla sfilata dei gruppi parlamentari per le prime consultazioni; ancora una volta quasi solo giacche e cravatte: una donna ogni tre uomini per un totale di dieci donne e ventisei uomini.
Ma perché?
Perché volere a tutti i costi che la rappresentanza del Paese sia equilibrata tra i due generi?
Se gli uomini sono più preparati, più bravi a fare rete, più esperti… perché insistere nel voler cambiare le carte in tavola per avere delle donne? Il governo vive un’emergenza continua, le priorità sono altre: quella della parità di genere è una questione importante ma non urgente. Nell’ambito di una negoziazione che si preannuncia delicata e complessa, non possiamo aggiungere anche questo fattore di tensione.
Come tutti i temi relativi alla sostenibilità, quello del “monogenere” al governo è però solo apparentemente secondario. Il fatto che anno dopo anno, governo dopo governo, si continui a non vedere donne “al potere” è infatti il segnale visibile di un pericoloso baco del sistema. Indica che la selezione tra i migliori talenti per portare avanti il Paese sta pescando in una pozza grande la metà di quella reale. Stiamo insomma usando la metà delle nostre risorse, spremendole oltre misura perché si prendano cura anche dell’altra metà. Occupandosi spesso di temi che non conoscono, esperienze che non hanno toccato con mano, problemi che non li hanno mai interessati direttamente né mai lo faranno.
L’esclusione non è un problema (solo) per chi viene escluso. Le escluse si adattano e fanno altro, abituandosi a convivere col dubbio di “non essere giudicate all’altezza”.
Il punto dolente è che un sistema che ti esclude non ti dà una misura del tuo valore, ma del proprio limite.
E il limite di un Paese che non è in grado di immaginare perché sia importante per la propria rappresentanza politica avvicinarsi a un equilibrio con quella che è la popolazione reale (le famose donne e uomini di cui tutti parlano, mettendo le donne sempre al primo posto almeno a parole) è grande come l’acqua del mare. E, come l’acqua del mare, sembra essere invisibile o scontato per chi vi nuota dentro.