Sono un milione 404mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Parliamo di quasi il 9% delle lavoratrici, attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. I numeri dell’Istat sono stati pubblicati lo scorso anno e tracciano un quadro allarmante. Anche perché la violenza sul lavoro, subdola e poco riconosciuta, fatica ancora a trovare spazio nelle discussioni sulla violenza di genere, anche se un movimento come quello del #Metoo ha acceso i riflettori sugli episodi che ogni giorno le donne subiscono nel loro ambiente di lavoro. Subito vengono in mente, tra le aspre critiche riservate alle donne che proprio sull’onda del #Metoo sono venute allo scoperto, le battute sarcastiche di quegli uomini che si lamentavano di non essere liberi neanche di corteggiare o fare un complimento a una collega… Partiamo allora da qualche punto fermo, con l’avvocata penalista Silvia Belloni, consigliera dell’Ordine degli avvocati di Milano, esperta di violenza di genere e pari opportunità e capiamo con lei perché e come le aziende sono cruciali per combattere le molestie sul lavoro.
Avvocata Belloni, di cosa parliamo quando parliamo di molestie fisiche e di ricatti sessuali sul lavoro?
Parliamo di comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Si noti che l’intenzione dell’aggressore (“volevo solo scherzare…era una goliardia…”) non rileva, in quanto la legge individuando nello “scopo o effetto” l’esito della condotta, adotta un parametro oggettivo e non permette indagini sulla “volontà diversa” del molestatore. Le molestie possono consistere in condotte fisiche, verbali o psicologiche. Frequenti sono le molestie poste in essere coi mezzi informatici, sms, invio di foto, messaggi vocali. Quando la condotta è particolarmente grave, può assumere rilevanza penale e configurare ipotesi di reato quali la violenza sessuale, i maltrattamenti o lo stalking. Se ricevo un paio di messaggi erotici subisco molestie, se l’aggressore mi perseguita e non mi dà tregua, sono costretta a cambiare i miei tragitti, le mie abitudini e vivo in uno stato d’ansia costante o di paura posso denunciarlo per stalking.
E’ un tema di cui si parla ancora poco, nella sua opinione?
Penso sia interessante notare che l’80,9% delle vittime rimane in silenzio. Non parla con nessuno delle molestie subite. L’Istat ha indagato sulle cause del silenzio: il 28, 4% non dà importanza all’accaduto, il 20,4% non ha fiducia nel sistema, il 15,1% ha paura di essere giudicato e il 9,3% ha il senso di colpa per avere in qualche modo contribuito all’accaduto. Questi dati ricordano purtroppo i numeri del silenzio della violenza domestica: occorre creare fiducia nei mezzi di sostegno e contrasto delle molestie sul luogo di lavoro. Occorre prevenire ed informare, attraverso strumenti che mettano a confronto tutte le parti (datore, lavoratore, colleghi, sindacati, associazioni di categoria…) al fine di far emergere il fenomeno e gestirlo.
Se ne parla dopo ed è ancora poco riconosciuto come tale, dunque. Qual è la strada da seguire per tutelare le vittime?
Di grande ausilio ai temi di cui parliamo è l’accordo siglato nel 2016 tra Confindustria e associazioni sindacali nazionali (ripreso da Assolombarda e Associazioni territoriali nell’aprile 2016) e finalizzato ad aumentare la consapevolezza e la comprensione dei fenomeni di discriminazione, molestie e violenze sui luoghi di lavoro. Principi cardine dell’accordo sono l’identificazione, la prevenzione e la gestione di tali fenomeni. L’accordo si propone di introdurre nelle aziende una dichiarazione di inaccettabilità e di condanna di tali forme di aggressioni e percorsi formativi. Ritengo, per la mia esperienza, che solo una solida alleanza tra datori, lavoratori e operatori può fornire la giusta fiducia alle vittime di molestie e permettere di prevenire all’origine ed arginare sul nascere il fenomeno. Occorre una volta per tutte istituire una sorta di “patto etico” che coinvolga tutti e si snodi attraverso corsi all’interno delle aziende in cui si parli delle molestie, vengano date le giuste definizioni, si costruiscano i più opportuno percorsi per le segnalazioni e l’assistenza delle vittime.
Perché si tratta di un tema importante anche per le aziende?
Perché chi molesta non nuoce solo alla propria vittima. Reca pregiudizio anche all’azienda, ai colleghi, alla produttività. Sotto il regime dei ricatti e delle violenze si lavora tutti male e il danno reputazionale e mediatico che all’azienda può derivare se le aggressioni vengono svelate quando è troppo tardi, sarà devastante.
Quali sono gli strumenti più utilizzati ad oggi?
Molte aziende affrontano il tema dei ricatti sessuali attraverso corsi di formazione, soprattutto le multinazionali. I corsi però in genere sono on line, riguardano solo i manager e trattano i principi internazionali. È invece necessario estendere a tutte i lavoratori percorsi di conoscenza gestiti vis a vis da professionisti esperti che aiutino ancora di più a rendere le aziende un modello virtuoso in tema di contrasto alle molestie sui luoghi di lavoro. Occorre infine approfondire le leggi e le sentenze italiane.
Perché l’ambiente lavorativo, l’atteggiamento dei colleghi è importante per combattere questo tipo di violenza?
Il silenzio delle vittime e il senso di vergogna e di colpa che accompagna il silenzio sono tra i principali “nemici” della lotta alle molestie. L’atteggiamento dei colleghi, l’empatia, la comprensione, il senso di rispetto, la serietà con cui si affronta il tema delle molestie e la fiducia che i superiori possono ingenerare costituiscono un valido antidoto al silenzio.
Cosa si insegna concretamente nei corsi?
Vengono illustrate le diverse condotte vietate, le differenti sfaccettature delle molestie, le conseguenze lavoristiche, penalistiche ed ambientali che ingenerano e soprattutto i canali per denunciare il fenomeno, gestirlo e contrastarlo. Nei corsi viene trattato anche il tema del risarcimento del danno: la valutazione equitativa della voce di danno, sia in sede civile che penale, costituisce una incognita per l’azienda importante e il danno reputazionale che da una condanna deriva è incommensurabile.
Qual è la cosa che l’ha colpita di più entrando in azienda per questi corsi?
La sensibilità al tema, la curiosità di conoscere come contrastarlo, la circostanza che spesso le molestie arrivano da soggetti estranei all’azienda (non colleghi, ma fornitori o clienti per esempio) e la volontà di cercare insieme sistemi di protezione. Si è per esempio ipotizzato di istituire una figura “terza” all’interno dell’azienda, una sorta di “consigliera di fiducia” che possa fornire informazioni e supporto sul tema delle molestie. La proposta da me formulata di introdurre la “consigliera” in alcune realtà è stata salutata con entusiasmo, in un’ottica di sempre più ferma alleanza tra aziende e risorse.