In Italia una persona su quattro non ha alcuna esperienza nell’uso del computer, e questa quota si abbassa solo di poco (da 24% a 17%) per le persone delle classi centrali di età (35-44 anni). In media, nei Paesi OECD, le percentuali sono nettamente più contenute (rispettivamente 9% e 5%), e in Svezia, Norvegia e Finlandia si azzerano, quanto meno per i più giovani.
Essere al primo posto in graduatoria rappresenta un problema serio per il nostro Paese, perché le prospettive di occupazione per queste persone caleranno tanto più rapidamente quanto più scarse diventeranno le attività per le quali non è richiesto alcun utilizzo del computer.
Ma l’Italia non è soltanto il Paese con la più alta percentuale di individui senza alcuna competenza digitale; è anche il Paese in cui è maggiore la differenza tra i due generi: non hanno infatti mai usato un computer il 30% delle donne contro il 19% degli uomini.
In Francia, Olanda e Australia non vi sono differenze di genere tra coloro che non hanno mai sperimentato l’uso del computer, e in Canada e negli Stati Uniti le donne senza alcuna esperienza digitale sono persino meno degli uomini. Perché solo in Italia la differenza tra uomini e donne è così marcata?
Uno studio dell’UE (2018) mette al primo posto tra le cause della differenza di genere nelle competenze digitali l’esistenza di stereotipi e pregiudizi inconsci sulle diverse attitudini di uomini e donne, sia nei percorsi formativi sia nelle professioni e attività lavorative. Nel nostro Paese, lo stereotipo che le donne siano poco portate all’uso del computer è ancora ben radicato, ed è saldamente ancorato al più generale pregiudizio che il genere maschile sia più adatto di quello femminile a sviluppare le competenze di tipo tecnologico e quantitativo (National Academy of Sciences, 2006).
Questo stereotipo si manifesta fin dall’infanzia, quando le madri di bambini sotto i tre anni fanno inconsapevolmente ricorso a concetti numerici molto più spesso nel dialogo con i maschi che con le femmine, rafforzando nella componente maschile la convinzione di essere naturalmente portati per le conoscenze di questo tipo. Poi sono gli insegnanti della scuola primaria, che rafforzano lo stereotipo attribuendo inconsapevolmente voti più alti ai maschi nei compiti di matematica, quando l’informazione sul genere è nota, rispetto agli elaborati anonimi. E i condizionamenti dello stereotipo diventano evidenti al momento della scelta del percorso universitario, dove la segregazione disciplinare osservata nei dati[1] riflette il pregiudizio che le ragazze siano poco portate per gli studi scientifici. E’ opportuno sottolineare, a tale proposito, il risultato di una recente ricerca che analizza il ruolo delle preferenze individuali quando i livelli di abilità specifica sono uguali tra i due generi. Lo studio dimostra che le ragazze scelgono le discipline umanistiche non perché siano meno brave nelle materie scientifiche ma perché sono più brave in entrambi i settori disciplinari. I docenti, però, quando valutano una prova informatica, continuano ad assegnare punteggi significativamente più alti al genere maschile, anche se il compito è svolto in modo identico dai due generi. Gli studenti non sono da meno, e quando valutano sé stessi tendono a sovrastimare le proprie conoscenze di matematica, se appartengono al genere maschile, a parità di risultati nei test di verifica (Shelley Correll, 2001).
Il condizionamento dello stereotipo si ripercuote, infine, sulle decisioni dei datori di lavoro, che sistematicamente sottovalutano le competenze tecniche e scientifiche delle donne rispetto a quelle degli uomini. Le ricerche di Madeline Heilman et al. (2004) hanno dimostrato che negli ambiti lavorativi considerati più adatti al genere maschile (come le professioni STEM) i valutatori attribuiscono agli uomini competenze maggiori rispetto alle donne, anche a parità di risultati. Ad esempio, Ernesto Reuben et al. (2014) hanno analizzato le scelte dei datori di lavoro relativamente alla selezione di candidati per una posizione lavorativa che richiedeva modeste competenze di matematica (capacità di calcolo aritmetico elementare). E’ noto che le prestazioni di questo tipo sono mediamente equivalenti per entrambi i generi, ma i selezionatori (che nell’esperimento non erano stati preventivamente informati di questo fatto) hanno confermato lo stereotipo sulla minore attitudine delle donne per la matematica, preferendo per l’assunzione un candidato di genere maschile con probabilità doppia rispetto al genere femminile.
Alla luce di questi risultati, un recente Rapporto della Commissione europea (2018) annuncia un Piano (The Digital Education Action Plan) per rimuovere gli stereotipi e i pregiudizi che ostacolano l’uguaglianza di genere nel settore della tecnologia digitale. Nel rapporto si afferma che istruzione e formazione sono il principale strumento di lotta agli stereotipi, e si raccomanda di non limitare gli interventi su questo tema alle giovani donne, ma di estenderli anche alle donne adulte, affinché le buone prassi del lifelong learning permettano anche a loro di acquisire le competenze necessarie per affrontare le opportunità e le sfide dell’economia digitale.
[1] Ad esempio, i dati del MIUR riferiti alle lauree magistrali del trascorso anno accademico indicano una presenza femminile ancora inferiore al 20% nelle classi: Informatica, Sicurezza informatica, Ingegneria informatica; Ingegneria dell’automazione, Ingegneria elettronica.