Cosa c’entra la chimica con la letteratura? Un giorno curiosando nella libreria di mio fratello, trovai una copia di Siddharta con una dedica: era un regalo della sua professoressa di chimica. Una frase di quella dedica mi è rimasta impressa nella mente e ci ho pensato spesso: “Leggere, si impara a scuola. Quanto ad amare leggere…”
Dove si impara ad amare leggere? Come si impara l’amore per la cultura, per il sapere?
Quella dello studioso è una macchietta di cui si è sempre bonariamente riso, guardandola con un misto di rispetto e di compatimento. Sui banchi di scuola abbiamo incontrato vari tipi di secchioni: quelli che si consumano gli occhi sui libri e non hanno vita sociale; quelli cui viene facile e si fanno tutti amici aiutando nei compiti in classe; quelli che studiano perché son bravi ragazzi di buona famiglia; quelli che studiano perché non sono di buona famiglia e sperano in un qualche riscatto sociale.
Prendere in giro per i buoni voti è sempre stato un gesto di rivalsa cosparso di invidia che poteva raggiungere diverse gradazioni di aggressività, fino al bullismo vero e proprio. Con l’età adulta si dovrebbe maturare una forma di sana consapevolezza dei propri limiti. Ultimamente però si assiste a un fenomeno che forse è la depravazione di questo atteggiamento, la sua estremizzazione nell’area del ridicolo. Non si tratta più soltanto di ridere di chi occupa il proprio tempo studiando. Adesso si ride di chi, “solo” perché ha studiato, pensa di saperne di più. E con ostinazione si perpetua e si giustifica l’incapacità di amare la cultura, l’aridità mentale, forse persino la stupidità.
“E se chi è stupido fosse troppo stupido per accorgersi di essere stupido?”
Questa è la domanda da cui sono partiti due ricercatori della Cornell University, che nel 1999 hanno studiato e definito il cosiddetto Effetto Dunning-Kruger: quel curioso cortocircuito che avviene nella mente di chi è incompetente e non si accorge della propria incompetenza. Una distorsione cognitiva (bias) che condanna chi non sa (ignorante) a sovrastimare il proprio sapere, sottovalutare il sapere altrui e, inesorabilmente, a prendere colossali cantonate, come racconta lo stesso David Dunning in un Ted-Ed.
Il paradosso è che con l’aumentare delle conoscenze l’effetto decresce. Raggiunge un picco bassissimo che andrà lentamente risollevandosi, ma senza ritrovare mai la self-confidence del grado 0 di conoscenza. Perché più ci si addentra nella complessità, meno si è propensi a credere che le cose possano essere definite. Ecco spiegato il celebre “So di non sapere” pronunciato da Socrate già nel quinto secolo avanti Cristo.
Curiosamente, dunque, gli esperti si fanno più timorosi, hanno la tendenza a sottostimare le proprie conoscenze e capacità, pensano che se qualcosa riesce loro facile, sia così per tutti. Fino a sfociare nella sindrome dell’impostore, la patologia di chi, nonostante i riconoscimenti e le alte performance, attribuisce il proprio successo a fattori che non lo riguardano. Il tempismo, oppure la fortuna. E l’impostore per definizione convive con l’ansia di essere scoperto, quindi tende al low profile. Mentre dall’altra parte del grafico si scatena il baccano della sicumera.
Siamo tutti vittime, in un modo o nell’altro, di varie forme di bias cognitivi. Ma quello di Dunning-Kruger è forse uno dei più fastidiosi: ci accorgiamo di averci a che fare quando incontriamo la saccenza, la supponenza, l’incapacità di riconoscere i propri limiti, la tendenza a deridere e disprezzare il sapere altrui. Questo sempre secondo i due ricercatori americani, che sono arrivati a sistematizzare queste conclusioni seguendo un metodo scientifico. Non accontentandosi di ipotesi, supposizioni e pre-giudizi.
È possibile pensare a un dialogo o un dibattito tra due diversi livelli di conoscenza come questi? Chi è vittima dell’effetto Dunning-Kruger, manca di un’autocritica effettiva e quasi mai possiede conoscenze basate sui fatti. Questo porta gli inesperti a concentrarsi soprattutto sul mettere in discussione la credibilità e l’autorevolezza degli esperti, mentre questi cercano di entrare nel merito degli argomenti, ma con le incertezze che la loro sgradevole posizione sul grafico comporta. Non se ne esce: già nel quattordicesimo secolo avanti Cristo il faraone Akhenaton affermò: “Il folle è ostinato e non ha dubbi. Conosce tutto tranne la propria ignoranza”.
Non so dove si impari ad amare studiare. Dove nasca l’amore per la cultura e il sapere. Ma sono certa che una società che non comprende questo amore e anzi lo disprezza, sta perdendo delle possibilità. E forse nemmeno si rende conto del pericolo a cui si espone. I miei pensieri ritornano a scuola, al secondo anno delle superiori. Il professore di fisica un giorno ci disse: “Dovete studiare, altrimenti poi non capirete niente della vita e vi farete fregare le pensioni”.
Io sono una xennial, sto per compiere 40 anni. E devo dire che, potendo, tornerei da quel professore per dirgli che avevo capito già allora quanto avesse intrinsecamente ragione.