Se posso dirla tutta, sono un po’ stufa di dover giustificare la maternità. Da anni, da quando frequento questo tema, prima perché ho avuto figli e poi perché ho cominciato a farne il mio lavoro, incontro persone che vedono nella maternità un “oggettivo problema logistico” o un “costo”, oppure donne che vogliono affermare la propria libertà di non essere madri e pensano che questo le ponga in conflitto con chi fa la scelta opposta. Incontro infine – mi è successo questa mattina a Milano e due mesi fa in un’università giapponese – giovani donne che dalla maternità sono spaventate: hanno la sensazione che toglierà loro autonomia e reddito, e purtroppo molto spesso hanno ragione.
Come se non bastasse, la letteratura anti-maternità è molto più cool di quella pro: non a caso essere “child-free” incorpora l’aggettivo “free”, liberi.
Essere liberi dai figli per esprimersi in altri modi, per non seguire la cultura comune, per non aderire a precetti tradizionali… oggi la maternità sembra essere un po’ fuori moda, al punto da avere bisogno di una nuova letteratura: una narrazione che la renda un’esperienza attuale e adatta alle donne come sono diventate e le faccia perdere quell’aura di minaccia alla nostra modernità e alla nostra libertà.
Invece, della maternità si parla solo per eccessi: quando è surrogata, quando è negata, quando è biologicamente impossibile perché troppo a lungo rimandata. La maternità ordinaria non ha più una “sua storia”, e le giovani donne ne hanno giustamente paura. Così siamo finiti, senza accorgercene, a dover giustificare la maternità.
In un famoso articolo del 2018, la blogger americana Kris Cage elenca tutte le considerazioni da fare prima di decidere se avere un figlio, e conclude con la lista delle cose con cui lei “non vuole avere a che fare” e per questo sceglie di non avere figli.
Siccome io ogni mattina sotto la doccia ringrazio il destino per i figli che ho avuto, e ogni sera vado a dormire consapevole che loro sono la fortuna della mia vita (pur non essendo io una cosiddetta “super mamma”, tutt’altro), credo che le ragazze come quelle che ho incontrato oggi e in Giappone meritino di ascoltare anche un’altra campana (altrettanto cool, se possibile), e quindi proverò a rispondere a cinque dei timori di Kris con alcune belle notizie dal pianeta della maternità.
1.) La fatica emotiva
La blogger sottolinea che essere genitori richiede capacità di comunicare, pazienza, coerenza, e che non tutti i genitori sono dotati di queste capacità. E’ vero: e infatti diventare genitore è un’occasione unica per affinare doti che rendono poi tutta la vita più facile. La “fatica emotiva” altro non è che quel livello di coinvolgimento e di investimento emotivo che rende le esperienze (tutte, e tra queste anche la maternità) degne di essere vissute.
2.) La pura quantità di roba
“Semplicemente non voglio che la mia vita si riempia di roba infantile”, dice Kris, riferendosi a tutto ciò che riempie una casa quando arrivano dei bambini. Mi ricordo che quando ero incinta pensavo che la roba dei bambini non sarebbe mai “entrata in salotto”: 10 anni dopo, sono io a entrare in salotto solo dopo le otto di sera, perché prima non c’è uno spazio libero. L’onnipresenza disordinata delle cose dei miei bambini mi fa oscillare tra (rarissime) smanie di riordine e la delizia di saperli lì con me, sempre e comunque. Nessun altro essere umano potrebbe insegnarmi con altrettanta efficacia a fare i conti con il mio stesso disordine e con la mia imperfezione: non attraverso grandi pensieri filosofici ma grazie a piccoli incidenti quotidiani.
3.) Essere interrotti
I bambini vivono solo nel presente, quindi oltre a interrompere tendono a parlare uno sull’altro: pratica abbastanza difficile da tollerare. La “rivelazione” su questo tema riguarda l’opportunità, per un genitore, di sviluppare doti di leadership degne di un generale d’armata. Se riesci a educare i tuoi figli a non interrompere, al punto che si trattengono dal farlo almeno una volta su due, la tua autostima può arrivare alle stelle e quella stessa leadership ti aprirà le porte della carriera e del successo. Che opportunità, no?
4.) Non voglio andare a Disneyland
“E non voglio sentirmi un cattivo genitore per questo”.
Beh, qui la mia risposta è facile: ho sempre amato i cartoni animati e altre esperienze che sarebbe quanto meno strano fare senza bambini, quindi per me avere bambini è un’ottima occasione per essere di nuovo un po’ bambina anch’io. Vedere il mondo attraverso i loro occhi lo riempie di magia, e le loro domande (sfidanti!) invitano a una chiave di lettura sempre originale. Se andare a Disneyland non è obbligatorio, poter guardare il mondo dalla loro altezza è un’esperienza spesso illuminante.
5.) L’atrofia intellettuale
Se c’è una cosa che non avviene quando si hanno dei figli è che si atrofizzi il cervello. Le neuroscienze ci dicono che il cervello di una neo-mamma si modifica quanto quello di un bambino che va in prima elementare, tante sono le cose che la genitorialità insegna attraverso eventi continui e quotidiani. E’ una messa in discussione totale e una ricostruzione di chi siamo in termini completamente nuovi: i figli, emotivamente ricchi e sfidanti, palestre di leadership senza eguali, ci richiedono di ridefinire noi stesse, anche per conquistare spazi ad una nostra identità indipendente dalla loro.
Si tratta di “un lavoro” che ha un inizio e non una fine. Un impegno quotidiano che ti obbliga a fare i conti con te stessa. Ed è la meraviglia della vita che consente la sopravvivenza (anche gioiosa?) della specie umana.