Una delle analisi più ripetute dopo l’esito delle elezioni politiche del 4 marzo, sostiene che in Italia la sinistra si sia trasformata da partito popolare, a partito di élite, votata dai ceti più abbienti del centro storico, e quasi ignorata nelle periferie. Tra le argomentazioni usate per sostenere questo mutamento, quella che più colpisce riguarda principalmente il Partito Democratico, che ha governato l’ultima legislatura. Secondo alcuni avrebbe smesso di occuparsi dei problemi dei cittadini più in difficoltà, (specialmente al sud), per fare invece battaglie più “fighette” e da salotto bene, come i diritti delle coppie omosessuali.
“Se la sinistra si fosse occupata degli esodati come delle unioni civili, non saremmo qui”, lo ha affermato Carlo Freccero durante il programma 1/2 In Più, al termine di un ragionamento secondo il quale i diritti sociali vanno anteposti ai diritti individuali. Non voglio nemmeno entrare nella discussione sgradevole di cosa sia più o meno importante delle unioni civili, soprattutto perchè l’argomento del “esistono cose più urgenti in Italia” è lo stesso che ha usato sempre chi non solo quei problemi “più urgenti” non li ha risolti, ma con questa scusa non ha mai affrontato nemmeno il resto. In più, andrebbe comunque ricordato che spesso è proprio il riconoscimento dei diritti individuali che permette l’accesso e l’ampliamento dei diritti sociali. Per esempio le coppie omosessuali hanno avuto diritto alla reversibilità della pensione solo quando sono state riconosciute dallo Stato con le Union Civili. Ma la domanda che voglio porre è più ampia, e cioè: davvero quella per i diritti delle persone LGBT, non è stata e non deve essere considerata una battaglia popolare?
Per rispondere, partiamo innanzitutto da un dato: 5-10%. E’ la percentuale con cui l’omosessualità si verifica nella specie umana. Stima resa difficile sia perchè molti omosessuali non si dichiarano apertamente per evitare discriminazioni, sia perchè, soprattutto nelle nuove generazioni, l’orientamento sessuale e l’identità di genere stanno diventando sempre più fluidi. Ma prendiamo questo 5-10% semplicemente come base indicativa, visto che è quello confermato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Considerato che la popolazione Italiana secondo l’ISTAT era nel 2017 di 60.589.445 abitanti, significa che quando parliamo di diritti LGBT, parliamo dei diritti di almeno 3-6 milioni di persone. 3-6 milioni: vuol dire che stando vicini alla parte più bassa della forchetta è come se si parlasse dei diritti di tutti gli abitanti della Toscana, e nella parte più alta, di quelli del Lazio, della Campania o della Sicilia.
Difficile allora non definire popolare occuparsi di così tanti milioni di cittadini che fino a ieri non avevano alcun diritto, e che ancora oggi, ne hanno parecchi di meno rispetto ai loro vicini eterosessuali. Ma casomai non bastasse, aggiungiamo ancora un paio di considerazioni. La prima, che la distribuzione di questa percentuale di cittadini LGBT è assolutamente trasversale, e riguarda i più ricchi come i più poveri, i più giovani come i più vecchi, i più istruiti come i meno colti, le donne come gli uomini, eccetera eccetera eccetera. La seconda, che proprio per questa presenza trasversale dei cittadini LGBT in ogni fascia della popolazione, fare avanzare i diritti, significa migliorare le condizioni di vita soprattutto dei più fragili; quelli che facendo parte di un contesto sociale, economico e culturale più svantaggiato ed arretrato, subiscono ancora di più la discriminazione. Aggiungendo alle loro difficoltà anche quelle derivanti dal proprio orientamento sessuale o identità di genere. Perchè il 5-10% dei giovani disoccupati, degli anziani, delle donne, degli esodati (per rispondere a Freccero) e di ogni altra categoria che nel nostro Paese vive già una condizione di disagio, è anche omosessuale, bisessuale, transgender.
Come si possa alla luce di questi semplici quanto forse anche banali ragionamenti, considerare la battaglia per i diritti delle persone LGBT non di “popolo”, dalla parte degli ultimi, ma di élite, secondaria rispetto a temi più urgenti, appare quasi incomprensibile. O meglio, è comprensibile solo introducendo quella solita ed oramai scontata omofobia italica che, come l’omosessualità che non accetta, si manifesta in ogni categoria economica, sociale, politica e culturale. Quella che vede la richiesta di diritti come il capriccio di una lobby di ricchi omosessuali che non si dovrebbe troppo assecondare.
Voglio scriverlo allora in modo chiaro: i diritti LGBT, sono una battaglia popolare. Lo sono per il numero di persone che coinvolgono e per la loro omogenea distribuzione tra la popolazione. Sono popolari i diritti civili in generale, e lo sono anche a prescindere dai numeri, anche quando riguardano una persona ogni milione. Perchè quella persona ogni milione potresti essere tu, o chi ami, o chi non conoscerai mai, ma a cui devono essere garantite libertà e uguaglianza, così come è scritto chiaramente nella nostra Costituzione.
Sostenere che i diritti civili siano una questione d’élite e che esistano cose più urgenti di cui occuparsi potrebbe avere conseguenze pesanti. Potrebbe significare farli sparire dall’agenda politica dei prossimi anni più di quanto già non succeda. E insieme a loro tutti quei cittadini che ne hanno bisogno.