Due vittorie piene per il fronte dei diritti e del matrimonio egualitario sono arrivate negli ultimi giorni: la prima Oltreoceano, in Australia, e la seconda qui in Europa, vicinissima a noi, in Austria. Due innegabili vittorie, che però rappresentano anche una altrettanto innegabile sconfitta, che non può non far riflettere: la sconfitta della politica. L’ennesima (e presumibilmente nemmeno l’ultima) da registrare in materia di diritti. Perchè?
Partiamo dall’Australia. Dagli anni cinquanta in poi, i vari governi che si sono avvicendati avevano già quasi totalmente equiparato nella sostanza i diritti delle persone lgbt* a quelli di tutte le altre. Ma nonostante questo, dal 2004 vigeva ancora nell’ordinamento australiano un emendamento che vietava esplicitamente il riconoscimento giuridico del matrimonio same sex. Dopo 13 anni, l’attuale premier, il conservatore Malcom Turnbull, ha accettato di cancellarlo, ma ad una condizione: sottoporre al parlamento la legge sul matrimonio egualitario solo dopo avere eseguito un referendum consultivo non vincolante che chiedesse ai cittadini di esprimersi. Il 15 novembre scorso Il referendum postale è stato vinto dai SI’ con oltre il 61%, e, come promesso, il parlamento ha approvato la legge il 7 dicembre.
Una prima riflessione che ci sarebbe da fare riguarda l’utilizzo del referendum per sottoporre ad una maggioranza l’approvazione dei diritti di una minoranza, come se i diritti umani (perché di questo si tratta al netto dei pregiudizi) non fossero proprietà di tutti, ma solo di alcuni in grado di decidere se altri possono farne parte. Ma oltre a questa preoccupante considerazione e a tutti gli interrogativi che scatena, ciò che immediatamente salta all’occhio nella vicenda australiana, è come la politica, il governo, i rappresentati eletti dai cittadini per governare e decidere, abbiano sostanzialmente scelto di non decidere. Scelto di non governare. Scelto di non essere dei “politici” dunque, ma dei meri esecutori di una volontà che hanno richiesto e ricevuto dalla consultazione referendaria.
Passando all’Austria, la storia cambia nella forma ma non nel significato. Fin dal 2010, le coppie omosessuali austriache venivano riconosciute dallo Stato grazie alle legge sulle Unioni Civili, che, sostanzialmente conferiva loro gli stessi diritti delle coppie sposate. Ma nonostante questo, nessun governo aveva cancellato la distinzione, e dunque la discriminazione, tra l’Istituto giuridico delle unioni civili e il matrimonio. E probabilmente non lo avrebbe fatto nemmeno Sebastian Kurz, leader del Partito Popolare e attuale cancelliere. Ci ha dovuto pensare invece la Corte Costituzionale Austriaca. Sentenziando su un caso sollevato da due donne che avevano fatto richiesta di matrimonio alle autorità di Vienna, ha di fatto stabilito come discriminatorie e incostituzionali le vecchie unioni civili, aprendo il matrimonio a tutte le coppie indipendentemente dal sesso.
Dunque, anche qui, un’altra volontà decisionale si è sostituita a quella politica. Anche in Austria, l’azione dei cittadini, stavolta attraverso il ricorso giuridico alla Suprema Corte, ha innescato e provocato una riforma che aprisse finalmente alla piena uguaglianza. Lasciandosi alle spalle una politica rimasta per anni solo a guardare.
Quello dei tribunali che sopperiscono alle lacune politiche è un meccanismo che noi italiani conosciamo molto bene. E’ andata così con la legge sulla procreazione assistita, e sta andando così con le adozioni coparentali lasciate fuori dalle unioni civili. Tanto è vero che, nonostante nel nostro caso per il matrimonio egualitario servirebbe l’intervento del legislatore, per facilitarlo c’è già chi pensa a una serie di ricorsi alla Corte Costituzione anche qui in Italia. Magari fosse vero, verrebbe da dire, perchè certo, la conquista dell’uguaglianza è sempre un successo comunque la si raggiunga. E le battaglie sui diritti hanno da sempre, nel mondo, percorso vie diverse e alternative. Eppure, in un momento storico in cui è la paura tra le persone che sembra dettare le regole, avere una politica che perde, anzi, rinuncia in parte o totalmente al suo ruolo di governo, non offusca il successo per un diritto conquistato, ma ugualmente preoccupa.
Forse oggi più di ieri. Perchè se sono i referendum (che si vincono e si perdono), se sono le sentenze dei tribunali (che possono essere a favore, ma anche contro), a governare settori così importanti della vita delle persone, è come se la politica stessa, si fosse dichiarata superflua. Inefficace. Come se avesse iniziato a dare ragione proprio a quei populismi che dice di voler combattere. Quelli dove non esistono competenze riconosciute, ma solo verità personali e urlate. Quelli che aumentano dove nessuno ha il coraggio di dare risposte. Quelli dove oggi vale un diritto, non perché vale il principio che lo sostiene, ma piuttosto il numero dei favorevoli e contrari che si sono espressi. Un numero che domani potrebbe di nuovo cambiare.