Numeri e sigle non misurano la vita dei bambini in classe

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“Le maestre mi insegnano a leggere e dopo posso leggere da solo Paperinik?”. E’ un soldo di cacio appeso a una cartella enorme dai colori sgargianti. Nel suo primo giorno di scuola sta attaccato alla gonna della mamma davanti al cancello e la guarda da sotto in su in attesa di un sorriso e della risposta, prima del suono della campanella.

Ognuno dei quasi nove milioni di bambini e ragazzi, fra i 3 e i 18 anni, che sono tornati sui banchi questo settembre porta con sé le stesse attese, la stessa domanda, la stessa speranza. Varcare il portone d’ingresso, per loro, vuol dire entrare in un mondo altro, che non ha i contorni di Hogwarts ma è altrettanto magico. È il mondo in cui si sperimentano, si sfidano, si mettono alla prova e crescono, imparano, fanno errori, costruiscono relazioni e rompono amicizie. È il loro mondo, che noi adulti misuriamo in numeri, definiamo con sigle, giudichiamo con esperienza e analizziamo con maturità.

La scuola occupa la nostra vita da adulti dalle chiacchiere da bar alle discussioni di principio. E ci divide: pro o contro il registro elettronico? Epidemia di Dsa o problema reale che viene a galla? Educazione di genere necessaria o invasione di campo della vita privata? La scuola ci divide neanche fosse un derby di calcio e quando arrivano i numeri siamo ancora più infervorati. L’Italia, secondo gli ultimi dati Ocse, è fra i Paesi che spende meno in istruzione con il 4% del Pil, contro il 5,2% della media dei Paesi Ocse. In altre parole spendiamo, come Stato, per l’intero ciclo scolastico di uno studente 9.300 dollari, meno dei 10.800 della media Ocse. Altra cosa, naturalmente, è quanto spende una famiglia per garantire un’istruzione fino alla laurea ai propri figli: in Italia in media arrivare al pezzo di carta costa poco più di 44mila euro, contro i 16.700 della Francia. Un bel divario. E così partono i dibattiti su dove sia meglio mandarli a studiare all’estero. Anche perché la complessità delle classi è in aumento: un bambino disabile ogni 33 gli insegnanti di sostegno che scarseggiano. Figuriamoci poi quelli di sostegno per i bambini con disturbi speciali dell’apprendimento, che sono il 2,1% della popolazione studentesca nel 2014/2015. E gli insegnanti per la cosiddetta L2 (italiano come seconda lingua) che sono a contratto? Un investimento indispensabile dal momento che gli alunni con cittadinanza non italiana sono arrivati ad essere 815mila sui banchi delle nostre scuole.

Facciamo lo slalom tra studi e dati Istat e cerchiamo di spiegarci la scuola, che finisce per coinvolgerci con la sua realtà, la realtà dei bambini e dei ragazzi che la vivono ogni giorno sulla loro pelle. Perché noi adulti possiamo misurarla, criticarla e cercare di aggiustarla da fuori questa scuola, ma non dovremmo mai dimenticare che per almeno 13 anni (oltre il 90% dei ragazzi italiani continua a studiare dopo la licenza di scuola secondaria inferiore), 2.665 giorni in tutto, per i ragazzi questa è la loro vita. La scuola è il loro presente e allo stesso tempo la base su cui costruire il loro futuro.

Discutiamone pure, dunque, ma con il rispetto e l’attenzione che merita. Senza pregiudizi. Perché la scuola sta cambiando a una velocità dettata dal mondo che la circonda. E i ragazzi con lei. Alla fine non sarà la scuola a restare indietro. Ma rischiamo di essere noi adulti a rimanere a guardare e a non capire la realtà che verrà e che oggi si sta costruendo fra i banchi. Con questo ebook abbiamo provato a metterci in ascolto di chi la scuola la fa ogni giorno e di chi sta contribuendo a formare le generazioni di persone e cittadini che faranno l’Italia di domani. La parola a loro nell’ebook “Back to School“.

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