La felicità è una cosa seria. Anche per le aziende

Happy place.

Può sembrare una delle tante banalità da cui siamo sommersi, ma non lo è. Quando si afferma che la felicità è una cosa seria e che l’infelicità costa cara alle aziende, come alla società, si sintetizza un profondo lavoro di analisi neuroscientifica che ha portato fior di studiosi a decretare che la felicità è una scienza. Ciò significa che si può misurare ed è condizionata da fattori specifici, in parte innati e in parte no, perché la felicità è, sì, un’emozione, ma è anche una competenza e, quindi, si può allenare e sviluppare all’interno delle organizzazioni lavorando sui comportamenti e sulla cultura aziendale.

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Come hanno spiegato Veruscka Gennari e Daniela Di Ciaccio, fondatrici di 2BHappy Agency-Where happiness is crafted, hub metodologico per diffondere una cultura positiva, in occasione dell’evento Scienza della Felicità @work con il Patrocinio del Comune di Milano – il punto è che dentro di noi convivono tre cervelli, o meglio tre stadi dell’evoluzione del nostro cervello che si è modificato, in quanto plastico e quindi in grado di apprendere continuamente, nel corso della storia dell’uomo. Si tratta del cervello rettiliano, limbico e neo-corteccia: mentre il primo risale a 600 milioni di anni fa, l’ultimo – quello proprio dell’homo sapiens sapiens, cioè noi –  appare solo 200mila anni fa. Ecco perché spesso e volentieri abbiamo reazioni più vicine a un essere primitivo che a un uomo evoluto! Di fatto, prevalgono in noi gli istinti

slide_la-scienza-della-felicita-work-5Di fatto, le nostre risposte alle sollecitazioni esterne possono essere di due tipi: reactive, ovvero istintuale, volto alla sopravvivenza, o responsive, ovvero naturale, dettato dall’intenzionalità. Nel primo caso, il nostro cervello produce sostanze chimiche come il cortisolo e adrenalina; nel secondo caso produce, invece, ossitocina, endorfina, dopamina, serotonina, tutte sostanze che aprono il centro dell’apprendimento, rendendoci più veloci, lucidi e creativi. In sintesi, per difenderci abbiamo bisogno di una scarica di adrenalina, ma per funzionare bene, al massimo delle nostre potenzialità, dobbiamo stare bene.

Come si riflette tutto ciò negli ambiente di lavoro, non è difficile da immaginare. Si potrebbe dire che se l’azienda non governa le emozioni, allora fioriranno conflitti, scorrettezze e sfiducia che si traducono in demotivazione, modeste performance e zero idee innovative. Se, invece, l’azienda crea un ambiente improntato alla fiducia, alla collaborazione, all’ascolto e al rispetto, disinnescando il pregiudizio negativo innato con cui dobbiamo fare i conti,  allora le persone fioriscono e con loro il business. Secondo 2bhappy Agency, quindi, il fattore chiave che fa veramente la differenza per un’organizzazione è il capitale sociale, se lo sa curare, crescere e valorizzare.

slide_la-scienza-della-felicita-work-6La buona notizia è – come abbiamo già detto – che la felicità si può imparare, perché solo il 50% dipende dal nostro dna, il 10% dalle circostanze di vita e il resto dai nostri comportamenti (ricerca Sonja Lyubomirsky). Sta, quindi, a noi la responsabilità della scelta di voler esser felici o no. Sta alle aziende la responsabilità della scelta di voler creare le condizioni affinché le persone possano sentirsi bene. L’importante è che non si giochi col fuoco: se si prende un impegno va onorato. Perché non c’è nulla di peggio che usare parole così importanti come felicità con disinvoltura, senza rendersi conto che portano con sé una promessa che potrebbe essere disattesa…

Per fortuna, di aziende che fanno sul serio e hanno improntato le loro policy a un concetto esteso di consapevolezza e benessere, ce ne sono: ad esempio Mercedes Benz, che ha avviato di recente il percorso Wellness at Work legato alla felicità , rivolta ai top middle manager, con l’intenzione di estenderlo a tutta la popolazione aziendale; o come l’azienda francese di medicinali omeopatici Boiron, con sede italiana a Segrate – che ha fatto della felicità, dell’arte e della creatività i cardini della sua cultura da decenni. Casi interessanti da cui tratte ispirazione!