Bruciare la frontiera: storie di migranti, di amori Millennials e anticorpi al razzismo

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Interno giorno, classe di prima media inferiore, secondo giorno di scuola. La professoressa di italiano chiede: “Ragazzi, leggete? Cosa leggete”? Risponde un ragazzino spiritoso: “I messaggi su Whatsapp”. Risponde una ragazzina: “Sì, leggo”. La professoressa: “E cosa leggi? Qual è l’ultimo libro che hai letto”? Risposta della ragazzina: “Bruciare la frontiera, di Carlo Greppi”.

Non è fiction. Tutto vero, ho le prove, ma le rivelerò solo alla fine.

Bruciare la frontiera è un libro dello storico Carlo Greppi. E’ un romanzo scritto – immagino – per catturare l’attenzione dei ragazzi, degli adolescenti. Parla di loro, usa il loro linguaggio, descrive le loro emozioni e le loro azioni.

Ma possono leggerlo anche gli adulti: non fa male, anzi, è utile. Utile agli adulti per non dimenticare, per rinfrescarsi la memoria su quello che eravamo ma anche per capire cosa siamo e cosa rischiamo di diventare (se non lo siamo già diventati), di nuovo.

Utile ai ragazzi per far loro comprendere un’epoca complessa, difficile e brutta, le dinamiche che la percorrono, le contraddizioni, le ipocrisie (delle persone e degli Stati), le ingiustizie (delle persone e degli Stati…). Utile per avvicinarli alla cronaca orrenda di oggi un po’ più preparati e con qualche anticorpo in più. E magari salvarci.

Bruciare la frontiera racconta la storia di Fra e Kappa, i due protagonisti e amici che decidono di partire da Torino per andare a vedere come è fatta una frontiera. Quella stessa frontiera che corre lungo le montagne tra Italia e Francia “bruciata” o attraversata, molto spesso illegalmente, da centinaia di migliaia di nostri connazionali nei decenni scorsi. Una parte dei milioni di italiani costretti a emigrare alla ricerca di un lavoro e nella speranza di una vita migliore.

L’Italia non è solo una terra di santi, poeti e navigatori: è soprattutto una terra di emigranti, verso Sud America, Usa, Australia, Svizzera, Germania, Francia. Facciamo finta di non ricordarlo ma questa è la nostra storia.

E’ la storia di mio zio, partito per la Francia da ragazzo e che in Francia ha trovato l’amore e un lavoro, ha costruito una famiglia e la carriera, ha vissuto.

L’emigrazione fa parte della storia di quasi tutte le famiglie italiane: cambia poco che sia interna – dal Sud al Nord, dall’Est all’Ovest – o verso l’estero. Alzi la mano chi non ha un nonno, uno zio, un nipote, un fratello, un genitore emigrato o emigrante.

Carlo Greppi racconta anche la storia di Ab (che sta per Abdullah) e Céline, del loro “amore da Millennials” nato in chat a migliaia di chilometri di distanza tra le due sponde del Mediterraneo, e del loro pericoloso e tortuoso tentativo di “bruciare la frontiera”, appunto, per incontrarsi.

Il libro è stato pubblicato da Feltrinelli a gennaio 2018 e se c’è una consolazione e una speranza nel clima attuale dominato da eufemismi – aggressioni verbali e fisiche razziste derubricate a “goliardia” –  e retorica populista – l’immaginaria “emergenza immigrazione, smentita clamorosamente dai dati ufficiali del ministero dell’Interno (dall’1 gennaio al 20 settembre 2018 gli sbarchi si sono ridotti dell’84,02% rispetto all’analogo periodo 2016 e del 79,74% rispetto al 2017) – è il fatto che Bruciare la frontiera è arrivato alla settima edizione: letto, quindi, da migliaia e migliaia di ragazzi.

Le prove dell’aneddoto scolastico: la ragazzina è mia figlia.