Disabilità, quando i caregiver sono i fratelli e le sorelle

«Sono una di quelle donne che ha vissuto due volte. Anzi, forse posso dire di averne vissute tre effettivamente. Dalla nascita di mio figlio, con una grave disabilità, è come se la mia vita precedente fosse improvvisamente finita e ne è cominciata subito un’altra, con una presa in carico continua e costante».

E la terza vita? Forse quella attuale, segnata da caregiving totale per il figlio e ora anche per la madre, non più autosufficiente poiché colpita da ictus e ischemia. Accompagnata però da un impegno civile appassionato in una battaglia di cui, dobbiamo ammetterlo, molti di noi non sanno sulla: quella per i diritti dei ‘siblings’, fratelli e sorelle che diventano caregiver senza avere avuto nessuna possibilità di deciderlo e sceglierlo.

Una storia da raccontare

Se c’è una cosa che capita molto spesso ai giornalisti è di seguire un progetto, lavorare ad un approfondimento, percorrere una linea… e improvvisamente inciampare in una storia che diventa urgente raccontare. Facendo ricerche su uno dei temi di maggiore attualità e interesse, quello della longevità e su come noi tutti stiamo preparandoci alla fase della vita in cui l’imperativo sarà valutare e cercare di capire se ci siamo messi in sicurezza – economica, soprattutto – per vivere dignitosamente gli ultimi anni della nostra vita, mi sono imbattuta in Pamela.

Dovevo indagare sui caregiver come li conosciamo noi, ovvero le persone che si prendono cura di familiari (quasi sempre genitori anziani) spesso senza aiuti e tra enormi difficoltà, obbligati a rinunciare a lavoro, vita privata, socialità. Esiste un’organizzazione che li rappresenta, si chiama First (Federazione Italiana Reti Sostegno) e li aiuta a barcamenarsi in qualche modo nella burocrazia asfissiante. La vice-presidente è Pamela Pompei.

Pamela mi racconta come e perché è arrivata ad avere bisogno dell’associazione. E’ mamma di due gemelli che oggi hanno vent’anni: Adriano e Diego. Diego è gravemente disabile dalla nascita. Quella nascita dalla quale tutto per lei è cambiato e dalla quale per l’altro figlio, Adriano, tutto è iniziato: un’esistenza da sibling.

Siblings

In inglese ‘siblings’ indica genericamente il gruppo indistinto di fratelli e sorelle di una persona. In Italia abbiamo dato un’accezione molto precisa a questo termine: descriviamo, con questo concetto, fratelli e sorelle di persone con disabilità o condizioni croniche. Un universo di cui nessuno parla. Ma per il quale Pamela si espone in prima persona.

«Più che un impegno per me è una guerra. Quando una disabilità colpisce lo fa all’interno di un nucleo familiare, che non è composto esclusivamente dai genitori. Anzi, è composto soprattutto da fratelli e sorelle. Perché nel momento in cui io, genitore, mi dedico ad un figlio con disabilità devo comunque dare le stesse attenzioni – certo, in modo diverso (sono binari paralleli che procedono insieme) ai fratelli e alle sorelle. Ma con una sottolineatura importante. Io ho avuto una vita prima di essere madre (è un aspetto che pochi prendono in considerazione): ho potuto studiare, ho fatto le mie cose, ho commesso i miei errori, ho frequentato persone. Cose che invece sono più complicate per i fratelli e le sorelle delle persone con disabilità, perché hanno una vita esclusivamente accanto a loro. Per loro non c’è un prima e forse non ci sarà un dopo, per loro è ‘da sempre e per sempre’. Io vorrei che l’altro mio figlio vivesse la sua strada e una vita che esuli da tutto questo. Ma a volte è impossibile, perché l’aiuto primario è all’interno della famiglia».

La creatività di Adriano

Circostanza che, comunque, sembra non mortificare in alcun modo le abitudini e i progetti di Adriano che anzi, ha fatto di questa sua condizione di ‘sibling’ fonte di ispirazione a sostegno della sua vena creativa. Proprio di recente a Roma, Palazzo Valentini ha ospitato la sua mostra ‘Ex Archés’: 33 fotografie, corredate da altrettanti sonetti, con protagonisti 72 studentesse e studenti del Liceo Classico e di Scienze umane Anco Marzio (la scuola dove Adriano si è diplomato quest’anno). Una rassegna in cui si sono voluti rappresentare i protagonisti della mitologia facendoli impersonare dai colleghi di scuola in qualche modo ‘somiglianti’. Nella sostanza, un lavoro sulla bellezza del corpo, a dimostrazione di quanto un ‘sibling’ cresca immerso in modo inevitabile ma sereno in queste tematiche.

«Per lui è una condizione naturale – spiega la madre Pamela – Adriano non sarebbe quello che è se non avesse avuto l’esistenza parallela di Diego. Proprio perché lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle trovo assurdo e inconcepibile che non si riconoscano diritti, dal punto di vista sociale, scolastico, sanitario ai fratelli e alle sorelle che hanno una presa in carico da sempre e ce l’avranno per sempre. Un aiuto psicologico che dovrebbero avere da quando sono piccoli. Perché quando non ci saremo più noi sicuramente la presa in carico spetterà a loro».

L’impegno sociale di Pamela

Per portare avanti queste battaglie Pamela ha scelto di impegnarsi attivamente e andare a ricoprire ruoli sociali rilevanti: vice presidente di FIRST, vice presidente del Comitato Disabilità Municipio X di Roma, associazione che conta 320 famiglie. «Sono disponibile per parlare a nome di tanti e portare la voce di tutti. Una lotta che voglio mandare avanti in ogni modo: ho scritto articoli, realizzato cortometraggi, film, mostre. Ho cercato di mettere in luce in ogni modo possibile il ruolo dei caregiver fratelli e sorelle».
I documentari di Pamela dunque: quanta forza e quanta resistenza a tutto si devono avere per riuscire, nel dramma personale, a diventare la voce di tanti?

Il video ‘La lingua degli alieni’ (cui ha partecipato il conduttore e attore Pif) .

Ma anche ‘Attraverso te. Storie di siblings’ cui invece ha partecipato Gigi Proietti. Quest’ultimo dedicato proprio ad Adriano, il fratello che – come tanti – rischia di diventare trasparente nel momento in cui genitore si annulla nella vita dell’altro figlio meno fortunato.

La sostenibilità economica delle famiglie

«Ho rinunciato alla mia attività lavorativa, alle mie amicizie, perché in queste condizioni alcune se ne perdono (ma per fortuna altre se ne trovano). La mia vita è fatta esclusivamente di ‘caregiving’. Non ho altri interessi». Anche se quello dell’impegno civile – diciamo noi – è un grande e meritevole interesse personale. Chiedo, brutalmente, a Pamela se ce la fa dal punto di vista economico: «Debora, ti rispondo in modo altrettanto brutale. Quando sono diventata mamma ho smesso di lavorare. Smettendo di lavorare ho avuto il supporto continuo e costante dei miei genitori. Mia mamma è sempre stata una donna delle pulizie che non ha mai avuto uno stipendio che le permettesse di crearsi un tesoretto. Ma anche lei ha dovuto smettere di lavorare nel momento in cui si è ammalata. Con tanti sacrifici lei contribuiva al mio benessere. Oggi io vado avanti con i soldi della pensione di invalidità di mio figlio. Non mi vergogno a dirlo: o faccio la mamma o lavoro, nella mia situazione non posso fare tutte e due le cose».

Pamela ammette che la malattia della madre ha colto tutti impreparati. E ammette anche alla fine che se non fosse l’assegno di invalidità di Diego sarebbe durissima. «Non saprei come fronteggiare la situazione. Io adesso riesco – fino a quando il fisico e la testa me lo consentiranno – a gestire la situazione perché vado per inerzia, con il pilota automatico. Devo farlo perché amo mio figlio più di qualunque altra cosa al mondo, amo la mia mamma perché è la mia mamma. E quindi tutto quello che entra (e sappiamo di che cifre stiamo parlando) viene reinvestito in quello che serve: pannoloni che non bastano, visite che con la sanità pubblica non si riescono a prenotare e quindi bisogna ricorrere ad una visita privata. E poi la spesa, e gli spostamenti. Mi chiedi: ce la fai? Ti rispondo: No. Come farò? Non lo so. Tu ce l’hai una risposta?».

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