Violenza sulle donne, un decalogo-scossa per passare al “Contrattacco!”

Contro la violenza sulle donne la teoria è finita, assieme alla pazienza. Ora serve la pratica: istruzioni operative, consigli diretti, strumenti di autodifesa, meditazione, trucchi e servizi. È questo a rendere davvero prezioso per tutte, giovani e anziane, il «manuale antivittimista» “Contrattacco! Ribellarsi e difendersi dalla violenza maschile” (Sperling & Kupfer)  scritto da Paola Tavella, giornalista, autrice televisiva e femminista di lungo corso, e illustrato da Teresa Cherubini, la talentuosa figlia di Jovanotti. Un’alleanza che è anche generazionale, in obbedienza all’evidenza: la violenza contro le donne è trasversale a età, livelli di istruzione e di reddito, classi sociali e culture. La cronaca ce lo ricorda, purtroppo, ogni giorno.

Sin dall’illustrazione di copertina che ritrae una ragazza con il pugno pronto a scattare, “Contrattacco!” ci ricorda che «nessuna è debole, anzi: abbiamo la forza e le abilità necessarie a contrastare quei maschi che ci controllano, ci ossessionano con la gelosia, ci perseguitano perché credono di possederci e, quando scoprono che non è vero, sono pronti a usare qualunque mezzo per assoggettarci». Bando al vittimismo, largo al capovolgimento di ogni stereotipo. L’industria del fitness e delle diete ci vuole magre e belle? Ebbene, noi vogliamo essere «forti e flessibili». Il mondo sembra tormentarci con la dittatura della bellezza? Noi vogliamo «fidarci della nostra brillante intelligenza». La società ci vuole docili e fragili? Noi vogliamo «farci furbe», capaci di annusare i pericoli, di schivarli e di combattere, se e quando serve.

Imparare a dire “no”

La tavola dei comandamenti firmata Tavella-Cherubini (una danza assertiva di parole e immagini) parte da un bel “dire di no” e dal primo degli incoraggiamenti: mai arrendersi al pensiero di non poter cambiare, perché tutto si può imparare. La ricerca della benevolenza altrui, a cui siamo educate da generazioni, può serenamente essere archiviata: l’addestramento a piacere a tutti è sfiancante e non produce che arrendevolezza. Ce lo aveva già insegnato a metà degli anni Settanta Elena Gianini Belotti con “Dalla parte delle bambine”, ma i condizionamenti nell’educazione basati sul sesso persistono vigorosi. l “no” latitano, costano fatica. Ma spesso sono “sì” a noi stesse. Dunque facciamo esercizio: il libro ci mostra come.

Liberarsi del mito dell’anima gemella

L’amore romantico può essere un grande inganno per tutti. Ma per le donne è proprio una trappola: l’idea di sacrificio collegata alla relazione vale storicamente soltanto per noi. E un immaginario colonizzato da principesse in attesa paziente degli eroi che le salvino scatena un vortice di conseguenze negative, trasformandoci in innamorate dell’amore, anche quando la realtà è il non-amore, e terrorizzate dall’abbandono. Alla condanna dell’essere amabili, però, ci si può sottrarre, così come gli uomini possono sottrarsi al mito della virilità che li vuole duri, impermeabili, distanti. Una gabbia che fa perdere loro il controllo quando non riescono a gestire le emozioni, portandoli a riassumere in rabbia tutti i sentimenti.

Ecco perché «la prima misura che dobbiamo prendere per salvaguardarci, per restare illese, perfino per restare vive, è non confondere l’amore con il possesso e mettere noi stesse al primo posto». Touché. Qui il consiglio concreto è magnifico: fare la lista delle caratteristiche dell’uomo che si desidera e poi inviare ogni mattina una richiesta «ferma e decisa» all’Universo. Adottata nei centri antiviolenza, questa wishlist ha permesso a tante prima di autovalutarsi e poi di liberarsi dai maltrattanti. Di scendere negli abissi per risalire.

Amare i propri soldi

Denaro è potere, e in troppe, per troppo tempo, non abbiamo avuto né l’uno né l’altro. Non sappiamo parlarne (Azzurra Rinaldi in “Le signore non parlano di soldi” lo ha spiegato benissimo) e non sappiamo pretenderlo per ottenere la giusta ricompensa del nostro lavoro (Giovanna Badalassi con il blog Ladynomics non si stanca di ripeterlo). Un lavoro, quello femminile, che o viene retribuito meno degli uomini – il gender pay gap sta lì a dimostrarlo – o non viene retribuito, come nel caso delle attività informali di cura. Tanto invisibili da non venire neppure contabilizzate nel Pil. Tavella ci ricorda che «il 95% degli uomini violenti usa anche il denaro per commettere abusi». Dobbiamo pensare ai soldi: la ricchezza fa parte della cassetta degli attrezzi per essere libere.

Prestare attenzione alla rete

È il capitolo che le adolescenti dovrebbero cerchiare in rosso: iperconnesse significa iperesposte. Lo stalking digitale è spesso l’antipasto della violenza reale. Giulia Cecchettin, purtroppo, lo dimostra. La lista delle raccomandazioni per proteggersi è lunga e andrebbe recepita alla lettera, dal divieto di condividere la propria posizione sui social a quello di non usare le reti wi-fi pubbliche. Una raccomandazione su tutte: mai geolocalizzarsi!

Camminare sicure

«Non potersi muovere in sicurezza nel buio delle città significa subire una discriminazione», ricorda Tavella. Alzi la mano chi può dire di farlo. Poiché i predatori non puntano le più belle o le più appariscenti, ma le più indifese (tenere a mente), le distratte, le insicure, perché rischiare? “Riprendiamoci la notte” era il titolo della prima manifestazione antiviolenza promossa a Roma nel 1976 (l’illustrazione a doppia pagina di Cherubini è da urlo). Riprendiamoci la notte, ora, pretendendo strade illuminate e tenendo le antenne dritte: distanze di sicurezza, condivisione dei percorsi con le amiche. E magari uno spray al peperoncino in borsa.

Riconoscere le molestie

Se non le riconosci, non puoi evitarle. L’insegnamento principe, quando si parla di molestie, è questo: «Se ti sconvolge, se ti disgusta, se ti imbarazza, è una molestia sessuale». Essere chiare, condividere, raccogliere testimonianze, rivolgersi a chi può aiutarci. A scuola, all’università, sui luoghi di lavoro. Oppure chiamando il 1522, il numero nazionale antiviolenza: è un salvagente, anzi un salvadonne.

Avere delle sorelle

«Avere delle sorelle – scrive Tavella – è forse la misura di contrattacco e di autodifesa più importante, eppure non è facile. Sin da piccole ci viene insegnato che dobbiamo distinguerci, essere migliori, ovvero ci viene suggerito di competere». Un’altra zavorra da gettare via. Leggere “La dea doppia” di Vicky Noble per credere nella forza e nell’intimità del vincolo femminile. Unite si vince, e chi dice il contrario, continuando a perpetrare la credenza della tossicità delle relazioni tra donne, semplicemente mente. Si può iniziare dalla letteratura: «Leggi i libri delle altre donne e impara ad ammirarli». È un modo per creare catene di sorellanza, per fare pratica di riconoscimento reciproco di autorevolezza. Noi di Alleybooks da tempo ne abbiamo fatto un mantra.

Vestirsi da supereroina

L’abito fa la guerriera. Lo studio dell’abbigliamento delle donne combattenti, dalle amazzoni alle praticanti di arti marziali, è servito a Tavella per un appello al realismo: pensare a come potersi difendere e contrattaccare, in modo che in caso di aggressione i vestiti possano essere non un vincolo, ma una risorsa. Nessuna rinuncia, solo attenzione: se dopo una festa si deve andare a parcheggiare lontano, tacchi in borsa e scarpe di ricambio ai piedi.

Cogliere i segnali

Come per le molestie, la violenza va riconosciuta. Linda Laura Sabbadini, ex direttrice centrale Istat e pioniera delle statistiche di genere, lo sa: è stata lei a promuovere la prima indagine sulla violenza in Italia e a toccare con mano la difficoltà di farla emergere. Davanti a ogni femminicidio – uno ogni 72 ore in media, non ci si schioda da questa terribile conta – le domande si ripetono: come è possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Perché non è stato fermato? Qual è stata l’escalation? Perché c’è sempre: si comincia con svalutazione, intimidazioni, minacce. Solo a volte schiaffi e pugni. I segnali vanno colti subito. Nel libro troverete la Ruota del potere e del controllo, inventata nel 1984 a Duluth, in Minnesota, sulla base dei racconti delle donne che si erano sottratte alla violenza maschile.

Restare forti durante il dolore

Succede di ritrovarsi vittime. Succede di subire. Succede, ed è doloroso. A volte l’autodifesa non scatta o non funziona. Il pericolo è mellifluo, perché «l’abuso, la sopraffazione, la manipolazione sono legati intrinsecamente al rapporto uomo-donna» e sanno nascondersi con abilità. Ma si può uscire dalla violenza: ci sono i rifugi, quei luoghi dove le donne vengono credute da altre donne. Ci sono i centri antiviolenza, nati dai gruppi di autocoscienza. Ci sono le sorelle. Non credere mai di poter salvare un’altra, ma «sii quella sorella, sempre».

Ode alle guerriere

Alla fine del saggio, ripercorrendo con Tavella e Cherubini la storia delle «guerriere travisate, mistificate, dimenticate dalla Storia» che l’antropologa Michela Zucca non smette di sottrarre al silenzio, ci si sente potenti come la “donna fenomenale” di Maya Angelou. Se per le donne non c’è pace, che allora sia guerra. Non la guerra degli uomini, scatenata dalla voglia di conquistare il mondo. La guerra per necessità e per difesa, perché quando c’è stato da combattere – da «difendere noi stesse, le nostre sorelle, le nostre figlie» – non ci siamo mai tirate indietro. Le donne disseminate nel libro, tra epigrafi e citazioni, da bell hooks a Germaine Greer, da Jane Jacobs a Margaret Atwood, da Emmeline Pankurst a Donna Haraway, stanno lì a ricordarcelo. Non siamo deboli. Resistiamo, reagiamo, uniamo le forze per la nostra sicurezza. Diciamolo alle nostre ragazze, regaliamo e impugniamo “Contrattacco!”. Andiamo a testa alta nel mondo.

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Titolo: “Contrattacco! Ribellarsi e difendersi dalla violenza maschile”
Autrice: Paola Tavella
Illustratrice: Teresa Cherubini
Casa editrice: Sperling & Kupfer, 2024
Prezzo: 14,90 euro

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