Minori, per il prelievo della bimba difesa dal condominio la tutrice chiede l’irruzione delle forze dell’ordine

All’alba di venerdì mattina, tra le palazzine silenziose del quartiere romano di Monteverde, è tornata la tensione. Per la seconda volta in tre mesi il cortile di un condominio si è trasformato in presidio spontaneo per impedire il prelevamento forzoso di Stella, una bambina di cinque anni, affetta dalla rara sindrome di Fabry e portatrice di anemia mediterranea, per la quale la prima sezione del tribunale civile di Roma, con un’ordinanza del 20 giugno a firma della presidente del collegio Marta Ienzi e delle giudici Cecilia Pratesi e Stefania Ciani, ha confermato il collocamento in una casa famiglia e autorizzato l’uso della forza pubblica per eseguirlo, con tanto di condanna della madre a pagare 300 euro al dì per ogni giorno di ritardo. Davanti al fallimento del tentativo, il 27 giugno la tutrice della bambina, Violetta Dosi, ha chiesto al giudice di autorizzare «l’intervento delle forze dell’ordine con facoltà di rimozione di eventuali ostacoli che impediscano l’accesso all’abitazione al fine di consentire la piena e concreta esecuzione del provvedimento del tribunale e di tutelare la minore».

L’ordinanza ha confermato la linea decisa dal Tribunale con precedente provvedimento del 28 febbraio (presidente del collegio Cecilia Pratesi, giudici Stefania Ciani e Valeria Chirico), che si era già espressa a riguardo, sostenendo che la bambina fosse affetta da “disturbo dell’adattamento di aspetto traumatico” e individuandone la prima causa nell’«incapacità dei genitori di fornire un ambiente sereno e di facile accesso all’altro genitore e all’immagine positiva dell’altro». Da qui la decisione di collocarla in una struttura. La sezione persona e famiglia – minorenni della Corte d’appello di Roma (presidente del collegio Sofia Rotunno, consiglieri Gabriele Sordi e Francesca Romana Salvatori) il 15 maggio ha rigettato il reclamo proposto dalla mamma.

Il blitz

Erano da poco passate le otto quando un gruppo di una quindicina di persone – agenti delle forze dell’ordine, assistenti sociali, polizia locale e la tutrice della minore – ha bussato alla porta dell’abitazione. «Apriteci, vogliamo solo parlare», riferisce chi ha assistito, ma la scena che si è presentata all’esterno era già chiara: le quattro palazzine che affacciano sul cortile immerso nel verde si erano mobilitate ancora una volta. Come a fine marzo, condomini e condomine hanno fatto quadrato attorno alla bambina e alla madre, costruendo un cordone a difesa di Stella.

«Noi viviamo qui da anni in una comunità di persone che si rispettano – racconta una di loro – e possiamo testimoniare che mamma e figlia sono legatissime, la bambina è curata e amata, perché portarla in una casa famiglia?». Al fianco dei residenti sono accorsi anche rappresentanti istituzionali e della società civile: l’assessora capitolina alle Pari opportunità Monica Lucarelli, la vicepresidente commissione Formazione, Politiche giovanili e Pari opportunità della Regione Lazio Maria Chiara Iannarelli (Fratelli d’Italia), il senatore Pd Filippo Sensi, Giorgia Fattinanzi della Cgil e Alessandra Menelao della Uil, oltre alle attiviste dei centri antiviolenza di Differenza Donna. «Questa mattina ero lì – ha dichiarato Lucarelli – chiamata da cittadine e cittadini che conoscono bene questa storia e hanno chiesto ascolto da parte delle istituzioni. Eravamo presenti per vigilare, per assicurarci che nessuna azione di forza venisse compiuta ai danni della minore». L’assessora si domanda: «Come è possibile che, in uno Stato di diritto, una donna che ha denunciato violenze fisiche e psicologiche si ritrovi a dover lottare per non vedersi strappare i figli? Parliamo di una madre seguita da uno dei centri antiviolenza di Roma Capitale, presìdi fondamentali per proteggere chi ha trovato la forza di chiedere aiuto».

«I magistrati hanno respinto la richiesta di sospensione dell’avvocato della madre e, di nuovo, hanno confermato la derubricazione a “conflitto” della violenza domestica», affermano con Sensi le senatrici dem Valeria Valente e Cecilia D’Elia, tutti componenti della commissione bicamerale Femminicidio. «Abbiamo presentato un’interrogazione parlamentare perché sia fatta piena luce sulla vicenda. Interveniamo di nuovo perché riteniamo necessario limitare, nel rispetto della legge Cartabia, il prelievo forzoso dei minori dalla casa materna ai soli casi in cui sia in pericolo la loro vita e per evitare ogni possibilità di vittimizzazione secondaria di donne e bambini». Perché questa vicenda, spiegano, «sembrerebbe paradigmatica dei rischi che corrono le donne e i loro figli nelle circostanze di separazone con allegazioni di violenza. La volontà dei figli di non vedere i padri accusati di violenza meriterebbe l’ascolto e un’attenta valutazione da parte delle autorità».

Il precedente

Il tentativo di trasferire Stella in casa famiglia non è il primo. Già a marzo scorso, dopo la prima ordinanza del Tribunale, la bambina si era legata con lo scotch sotto il tavolo della cucina pur di non essere portata via. Un gesto disperato che ha sollevato clamore rimbalzando di cellulare in cellulare con immagini che hanno fatto discutere per giorni sulla proporzionalità e sull’umanità delle misure adottate nei confronti di una minore di 5 anni. Già allora il condominio si era mobilitato in difesa della bambina e di sua madre, scrivendo anche una lettera alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Venerdì il nuovo tentativo di prelevarla, ma dopo alcune ore le forze dell’ordine si sono allontanate. L’agitazione nelle palazzine non si è allentata. «Potrebbero tornare in qualsiasi momento, noi restiamo in allerta», dicono le vicine e i vicini di casa, che hanno ormai assunto il ruolo di sentinelle.

Le reazioni

Tra le prime a intervenire pubblicamente con una lettera ai ministri Carlo Nordio (Giustizia), Eugenia Roccella (Famiglia, Natalità e Pari opportunità) e Matteo Piantedosi (Interno) è stata la Garante per l’infanzia e l’adolescenza Marina Terragni, che da tempo segue il caso e si batte perché i prelievi forzosi dei bambini siano limitati esclusivamente ai casi di pericolo per l’incolumità dei minori. «Svariate sentenze – ha scritto la Garante – stabiliscono infatti che il provvedimento forzoso può essere adottato unicamente a tutela dell’incolumità del minore e nei casi in cui vi siano rischi certi e imminenti per la sua vita».

Nella missiva, Terragni ha ricordato che numerose sentenze vietano il ricorso alla forza se non in presenza di pericoli gravi e imminenti per l’incolumità del minore. Tra queste, riepiloga la Garante, il «Tribunale di Lecce, Seconda Sezione Penale, 23 febbraio 2023, in cui si afferma che se il minore non intende ottemperare e si oppone, nessun organo delegato all’esecuzione può porre coazione fisica nei confronti dello stesso, e di fronte al rifiuto categorico l’attuazione dell’obbligo deve necessariamente arrestarsi rimettendo gli atti al giudice dell’esecuzione». Ma ancora «Cassazione 9691/22 – caso Laura Massaro – che definisce misura “non conforme allo stato di diritto” l’uso della forza per il prelevamento del minore e ribadisce l’imprescindibilità dell’ascolto, che va garantito in base all’art. 12 della Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza nonché alla riforma Cartabia, in cui si sancisce che un minore debba essere sempre ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano e nelle procedure in cui è coinvolto».

A prendere posizione anche la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Lazio, Monica Sansoni, la quale ha chiesto che – previa sospensione del provvedimento – la bambina possa essere valutata da un collegio medico indipendente. A tale collegio, in particolare, si chiede di esprimersi in merito alla compatibilità della disposizione di allontanamento dal contesto abituale di vita.

La lettera al sindaco

Quella di Terragni non è l’unica voce che si è levata in queste ore contro il prelevamento della piccola. Avvocate, psicologhe, giornaliste, scrittrici e attiviste antiviolenza hanno inviato una lettera al sindaco della Capitale, Roberto Gualtieri, per ricordare la lunga e robusta giurisprudenza che esclude azioni coatte in casi come questi e per chiedere che «ogni tentativo di applicare la coercizione e la forza fisica sia contrastato dalla polizia municipale, al servizio della cittadinanza e sotto l’autorità del sindaco, tutore della salute,  e che si riprenda la strada della tutela dei diritti». Si sollecita il primo cittadino, in sintesi, a farsi garante del corretto comportamento degli operatori non abilitati a prassi coercitive che minano la salute e l’integrità psicofisica della minore». Tra le varie prassi citate, anche il vademecum del 2014 delle forze dell’ordine dove, a pagina 29, si prevede che «l’esecuzione dei provvedimenti civili è affidata ai servizi sociali territoriali, solo in caso di estrema necessità può essere disposto l’utilizzo della forza pubblica, in ausilio agli operatori sociali competenti».

La vicenda

La storia di Stella, ultimo di una ormai lunga serie di casi in Italia, è legata a una lunga controversia giudiziaria nel corso della quale è stata eseguita una perizia, con altre due integrazioni, dalla stessa psicologa, Marilena Mazzolini. La Ctu – che in sede di istruttoria ha ascoltato anche il parare del neuropsichiatra infantile Ignazio Ardizzone – ha indicato ai giudici la strada della casa famiglia per la piccola, in relazione a una simbiosi nei confronti della madre giudicata patologica, perché impedirebbe l’accesso al padre. Una “diagnosi” che richiama ancora una volta la contestata alienazione parentale, costrutto molto dibattuto e stigmatizzato dalla comunità scientifica internazionale, come riporta il Libro bianco per la formazione contro la violenza sulle donne redatto dal comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio anti-violenza istituito al dipartimento Pari opportunità raccomandando che non entri in alcun procedimento, ma tuttora utilizzato, con diverse denominazioni (come il “rifiuto genitoriale”), nei procedimenti con consulenze tecniche d’ufficio. Psichiatri, ma anche avvocati, piscologi, medici e giuristi, senza contare le associazioni femministe, hanno sollevato più di una critica nei confronti di queste “diagnosi”. Colpevoli, secondo loro, di cancellare la violenza domestica, perennemente derubricata a conflitto tra i genitori, o comunque di attribuire al genitore responsabilità non sue, come quella del rifiuto del bambino nei confronti dell’altro genitore che andrebbero, dicono, indagate nella relazione tra il genitore rifiutato e il minore. Del resto la relazione causa-effetto è centrale in tutto il diritto, così come l’habeas corpus, comuni mezzi di prova per contestare eventuali violazioni nei comportamenti.

I dubbi giuridici

Ma ora al centro del caso di Stella c’è la questione del prelevamento che l’ordinanza prescrive anche con l’uso della forza pubblica. Diversi giuristi e avvocati si interrogano su quale siano le norme alla base dei trasferimenti forzati dei bambini, visto che i poteri autoritativi dell’amministrazione (e della magistratura) sono sottoposti al principio di legalità. Per esempio l’art. 32 della Costituzione dice che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario, se non per disposizione di legge, la quale «non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Se dunque si tratta di un’esecuzione forzata di tipo civilistico – argomentano gli osservatori più acuti – è possibile avvalersi della forza pubblica per eseguire un provvedimento di consegna o rilascio di cose.

Ma un bambino non è un oggetto. E l’articolo 403 del Codice civile – “Intervento della pubblica autorità a favore dei minori” – prevede una procedura molto rigorosa, modellata sulla convalida di arresto: la norma presuppone che il minore sia d’accordo e che l’urgenza sia quella di proteggerlo dalla costrizione di esterni. Non sembrerebbe questo il caso, a meno che non la si interpreti nel senso di un uso della forza sul minore, ossia sulla persona da proteggere, al di fuori di casi di pericolo grave e immediato in cui chiunque, non solo la Polizia, potrebbe agire ex articolo 54 del Codice penale.

Secondo il nostro ordinamento è poi possibile eseguire coattivamente un obbligo di fare, ma per costante giurisprudenza della Cassazione, ciò non è consentito per gli “obblighi di fare infungibili” (esempio: riportare in azienda il lavoratore licenziato). Per non parlare del Tso, che presuppone una patologia in atto e richiede un’attestazione medica, oltre a un contraddittorio con l’interessato (sentenza Corte costituzionale 75/2025). I casi di pericolo di vita di un bambino o di un adulto sono sempre eccezioni alla regola – spiegano gli esperti – definiti “situazioni di reato scriminato”, art. 54 Cp per stato di necessità. La condotta rimane illecita, ma nel caso di specie, che ha limiti molto rigorosi, è giustificata. Ovviamente – si obietta – pensare che uno stato di necessità, per sua natura immediato e transitorio, coesista con un procedimento giurisdizionale è difficile. Un confine labilissimo e anche spesso contestato visto che lo stato di necessità può essere strumentalizzato da chi, per esempio, vuole legittimare la tortura di un arrestato per estorcergli informazioni utili, per evitare un qualche reato.

I prossimi giorni

La previsione del prelevamento non è piana, insomma, e fa discutere. Ma nel frattempo nel cortile di Monteverde i condomini non mollano. «Per noi è inaccettabile quello che sta succedendo – si sfoga Maria Rita, che vive in quello stabile da sempre –: la mamma di Stella è una persona gentile ed è un esempio di amore e di accudimento nei confronti di questa bambina». Un’altra vicina esprime il suo sconcerto: «In quelle ordinanze non ritroviamo la realtà che conosciamo. Perché? I fatti sono stati ricostruiti?». I condomini ricordano che il padre della bimba è indagato per maltrattamenti nei confronti della madre e della piccola e rinviato a giudizio (il processo penale è in corso) per lesioni aggravate nei confronti della mamma e che, a fronte di «Ctu avverse», ci sono «Ctp inascoltate e relazioni del Sismif (il servizio di Roma Capitale per l’integrazione e il sostegno ai minori in famiglia) non considerate: ci domandiamo se è davvero il bene della bambina quello che si tutela». Sul muretto bianco che fa da panchina tra le voci di chi sorveglia la porta di casa, si fa largo una domanda angosciante: cosa significa proteggere un minore? È tutela strappare Stella alla madre, ai nonni e alla casa dove è cresciuta? O, al contrario, bisognerebbe ascoltare la sua voce e la sua sofferenza? A Monteverde una comunità intera ha scelto la seconda.

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  • Laura Patrizi |

    I giudici dovrebbero applicare la legge e non affidarsi a CTU peraltro seguaci di teorie prive di basi scientifiche. I magistrati dovrebbero accertare i fatti (in questo caso la presunta violenza del padre) e ascoltare la minore poi dovrebbero capire una volta per tutte che non può essere professare il benessere del bambino lontano da una mamma amorevole pensare anche solo questa eventualità è lontano dal buon senso dello stato di diritto.

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