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Basta con i prelevamenti dei minori con il ricorso alla forza pubblica, se non in casi estremi e di reale pericolo per il minore. Una prassi purtroppo ancora diffusa, ma che per la Garante per l’infanzia e l’adolescenza Marina Terragni deve tornare dentro un perimetro fortemente circoscritto.
I paletti ai metodi di allontanamento
«Le prassi di allontanamento – ha detto la nuova titolare dell’Authority – devono rispettare la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza». Di conseguenza, «l’uso della forza pubblica per il prelevamento forzoso va limitato ai casi in cui il minore corra rischi gravi e oggettivi permanendo nella casa familiare e la sua incolumità sia in pericolo». Di qui la necessità, secondo la Garante, di rinnovare il protocollo che era stato siglato nel 2022 con il dipartimento Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno e gli assistenti sociali, scaduto l’anno scorso: il documento aveva timidamente iniziato a ragionare sui prelevamenti forzosi dei bambini senza però vietarli, ma solo regolamentandoli.
Gli allontanamenti siano misura eccezionale
Ora Terragni mira a un passo ulteriore e auspica di poter rinnovare al più presto il protocollo d’intesa «con particolare riguardo agli allontanamenti dei minori dal nucleo familiare per essere collocati in case famiglia». Secondo la Garante innanzitutto «gli allontanamenti devono rappresentare una misura eccezionale e solo temporanea, quando tutti gli altri interventi a tutela del minore si siano rivelati insufficienti e inefficaci» ma – aggiunge – «purtroppo, non sempre le cose vanno così».
La salute del minore è la priorità
Prova ne sono le molte vicende, note e meno note, di bambini prelevati mani e piedi e allontanati dalle proprie madri e dal nucleo familiare di riferimento sulla base di consulenze tecniche d’ufficio con “diagnosi” di alienazione parentale e dei suoi addentellati: al centro c’è quasi sempre una storia di violenza domestica e il rifiuto del bambino di frequentare l’altro genitore. «La salute psicofisica del minore è e resta la priorità assoluta – conclude Terragni – e gli operatori coinvolti nei provvedimenti devono garantire un’alta specializzazione e una comprovata capacità di ascolto del minore, ascolto dal quale non si può prescindere». Il cerchio, insomma, inizia a stringersi intorno a queste storie e l’Autorità con l’occasione assicura «tutta la sua attenzione ai recenti casi riportati dalla cronaca», come quello della bambina del quartiere romano di Monteverde il cui prelievo coattivo è stato sventato dal “muro” dell’intero condominio.
La campagna del Protocollo Napoli
Proprio nella direzione di fermare l’uso della Pas in Italia e il trattamento forzoso di riavvicinamento dei minori a un genitore rifiutato nei casi di affido di figli minori «quale strumento di occultamento della violenza su donne e minori, per difendere le donne dalla vittimizzazione secondaria operante nei tribunali civili» rema la campagna di sensibilizzazione lanciata a gennaio dalle esperte del centro studi e ricerche Protocollo Napoli: le psicologhe Caterina Arcidiacono, Antonella Bozzaotra, Gabriella Ferrari Bravo, Elvira Reale ed Ester Ricciardelli.
Oltre la Pas, oggi bambini tolti semplicemente se c’è difficoltà di rapporto col padre
Amara la lettura raccolta dall’agenzia Dire a uno dei promotori della campagna. «Adesso – afferma l’avvocato Girolamo Andrea Coffari – ci sono tanti casi in cui hanno saltato la necessità di diagnosticare la truffa della Pas e tolgono i bambini alle mamme semplicemente perché c’è una difficoltà di rapporto con il padre». Casi in cui basta che le madri dalle Ctu vengano bollate come «oppositive, ostative nei confronti dei servizi sociali. In questo momento storico sta venendo fuori in alcuni tribunali, in alcune menti, la peggiore interpretazione punitiva nei confronti delle donne, quasi una recrudescenza del fenomeno». Con la «bigenitorialità che viene usata come una clava contro le donne».
Un ulteriore salto involutivo. Da un lato, secondo Coffari, abbiamo lo «scandalo clamoroso e mai scoppiato» del costrutto ascientifico della sindrome di alienazione parentale, inventato da Richard Gardner («Uno che giustificava la pedofilia»), che «ha distrutto, io credo, ma non è mai stata fatta una ricerca sistematica del genere, centinaia di destini di mamme e di bambini». Un costrutto pensato «proprio per distruggere e tacitare i bambini che rifiutavano la figura paterna motivando il rifiuto con dei racconti di abuso sessuale e di maltrattamento», sconfessato dalla comunità scientifica e dalla Cassazione, eppure mai diventato oggetto di indagine seppure applicato «da molti psichiatri, psicologi, psicoterapeuti», che continuano a essere «nominati come consulenti tecnici d’ufficio» e «a interessarsi dei bambini, delle donne, dei casi in cui c’è violenza sui bambini e sulle donne».
Le perizie sul rifiuto genitoriale e le madri oppositive
Dall’altro lato, abbiamo il superamento anche della fatica di dover dimostrare l’esistenza di una fantomatica sindrome. Basta un generico riferimento al «rifiuto genitoriale» che sarebbe indotto da uno dei genitori nei confronti dell’altro. Dice Coffari: «Non si possono più leggere perizie nelle quali non si trova una riga relativamente al vissuto materiale nella relazione, però si trova che “la signora si dovrebbe far passare le parole offensive che le vengono rivolte dal compagno” o “la signora dovrebbe facilitare la relazione del bimbo con l’altro genitore, la signora non dovrebbe essere oppositiva, dovrebbe essere collaborativa”. Non si dice niente di quello che deve fare il violento, visto che comunque si nega o si sottace o si omette la valutazione dell’agito violento o dell’agito prevaricatorio o dell’agito di mera umiliazione nella dinamica relazionale». Perizie sulle quali troppo spesso i giudici aderiscono pedissequamente, come ha sottolineato la stessa Garante nella sua audizione sul disegno di legge 832 di riforma dell’affido. Un altro tentativo, dopo il Ddl Pillon, di imporre la bigenitorialità “perfetta”.
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