Affido, la replica del primo firmatario del Ddl 832: “Travisato, l’unico riferimento è il benessere del minore”

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Riceviamo e pubblichiamo da Alberto Balboni, senatore, primo firmatario del Ddl 832 recante «Modifiche al codice civile, al codice di procedura civile e al codice penale in materia di affidamento condiviso», la replica al contributo “Affido, in Senato la controriforma Salomone che taglia i bambini a metà e ignora la violenza”, pubblicato su Alley Oop il 4 aprile. In calce la controreplica delle autrici

Caro direttore,
Sono sorpreso del modo tendenzioso con cui il suo giornale, solitamente attento e imparziale, ha inteso illustrare I contenuti del disegno di legge 832 sull’affidamento paritario, definito addirittura “controriforma Salomone” che “taglia i bambini a metà e ignora la violenza”. Anzitutto val la pena ricordare che Re Salomone doveva smascherare un genitore falso mentre nel nostro caso abbiamo due genitori entrambi autentici… quindi è ovvio che si cerchi di valorizzarli entrambi. O si dovrebbe eliminarne uno? In ogni caso, ciò che conta davvero è che Re Salomone fece giustizia nell’interesse della vera madre e quindi del bambino. Infondata mi pare poi l’accusa circa il mancato riferimento alla violenza sulle donne. Il Ddl 832 riguarda l’affidamento condiviso, quindi si occupa di due genitori entrambi ritenuti idonei, con esclusione di chi non lo è, come già stabilito dall’art. 337 quater c.c. Un padre (o una madre, caso raro ma non impossibile) violenti non troverebbero mai un giudice disposto ad affidare loro un minore, per fortuna.

Vi vorrei anche ricordare che la legge istitutiva della Commissione parlamentare sulla Violenza contro le donne, di cui sono stato anche relatore, porta la mia firma. Difficile quindi attribuirmi in buona fede indifferenza rispetto a questo gravissimo fenomeno.

Per il resto, l’elenco delle aporie e dei travisamenti contenuti nella vostra disamina sarebbe troppo lungo per essere qui trattato nel dettaglio. Al più si può darne un cenno. Evidente, ad es., la confusione tra “domicilio” e “dimora abituale”. Falso che ci sia un obbligo “sempre e comunque” di una frequentazione paritetica: il Ddl intende solo affermare una scala di priorità, favorendo ogni volta che si può la bigenitorialità piena, ma senza automatismi e avendo sempre come unico riferimento il benessere del minore, confermando tra l’altro i principi posti dalla Suprema Corte (Cass. 26697/2023).

Stupisce poi la censura verso la possibilità di affidamento eterofamiliare, ovviamente come extrema ratio, sempre esistita nel nostro ordinamento e solo confermata nel Ddl. Di pura fantasia la critica relativa all’assegnazione della casa familiare, della quale – sbagliando – dite che il figlio verrebbe privato: l’art. 337 sexies comma 1 c.c. non viene toccato, quindi permane il principio di conservazione dell’habitat ogni qual volta la frequentazione resti asimmetrica per le più varie ragioni (tenera età del minore, eccessiva distanza delle residenze dei genitori, loro orari di lavoro e impegni professionali inconciliabili ecc…), tutte situazioni affidate al prudente apprezzamento del Giudice in caso di disaccordo.

Potrei continuare a lungo, ma ciò che più mi colpisce è come le numerose disposizioni presenti nel Ddl 832 a favore esplicito o implicito delle madri siano state sistematicamente ignorate nel vostro commento: dal sostegno obbligatorio prima e dopo il parto, a quello al genitore debole anche non coniugato. Così come non si cita il potenziamento del diritto di parola dei figli sui temi che li riguardano, ivi compresa la scelta del loro curatore speciale; né si cita la parificazione del livello di benessere dei figli di primo letto con quello di successivi fratelli; nonché l’estensione al progetto di vita futura dei figli di ciascun genitore nel Piano genitoriale, oggi limitato alla elencazione delle consuetudini precedenti. Così come si sorvola sull’incentivo dato alla mediazione familiare – che resta non obbligatoria – cioè lo strumento ADR di maggiore impiego e successo in tutti i paesi civili per le controversie di diritto di famiglia.

In conclusione, sicuramente il mio Ddl può e deve essere migliorato, ma sia chiaro che il mio obbiettivo è esclusivamente quello di rendere effettivo il diritto di ogni bambino alla bigenitorialità, ancora troppo spesso disatteso nonostante le buone intenzioni ripetutamente manifestate in passato dal legislatore.

Sen. Alberto Balboni
Primo firmatario del Ddl 832

Gentile Senatore,
cominciamo dalla fine: ci rassicura che lei riconosca che «il Ddl può e deve essere migliorato». Ci conforta meno il fatto che liquidi come «tendenzioso» il modo in cui abbiamo illustrato il disegno di legge, dal momento che le nostre osservazioni sul blog di Alley Oop – Il Sole 24 Ore – da sempre uno spazio attento e rigoroso sui temi dei diritti – sono quasi esattamente sovrapponibili a quelle espresse in audizione dalla Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Marina Terragni, lo scorso 9 aprile.

Singolare che anche la Garante, ossia l’Autorità incaricata di promuovere «l’attuazione della Convenzione di New York e degli altri strumenti internazionali in materia di promozione e di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e la piena applicazione della normativa europea e nazionale vigente in materia di promozione della tutela dell’infanzia e dell’adolescenza», parli come noi di prospettiva «adultocentrica», critichi come noi la previsione del doppio domicilio e rilevi come noi le limitazioni alle valutazioni autonome dei giudici caso per caso, a maggior ragione poiché «il Grevio (Gruppo di esperti indipendente responsabile del monitoraggio dell’attuazione della Convenzione di Istanbul da parte degli Stati membri, ndr) ha stigmatizzato il fatto che in Italia spesso il giudice decide già troppo poco, basando le sue decisioni sulle Ctu, mentre la parte valutativa deve tornare nelle sue mani».

Quanto all’ipotesi dell’affidamento eterofamiliare, se – come lei sostiene – «è sempre esistita nel nostro ordinamento», perché allora confermarla nel Ddl legandola a generici «gravi motivi», ricondotti nella relazione introduttiva anche a «situazioni ostative costruite ad arte» da un genitore, espressione dietro la quale continua ad aleggiare il fantasma della cosiddetta Pas, sindrome di alienazione parentale o rifiuto genitoriale, costrutto stigmatizzato più volte dalla Corte di Cassazione come ascientifico e il ricorso al quale è vietato anche dalle raccomandazioni delle Nazioni Unite?

Il Libro bianco per la formazione contro la violenza sulle donne, presentato lo scorso novembre dalla Ministra Eugenia Roccella e frutto del lavoro del comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio istituito al Dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, dedica alla questione le pagine 125-127. Lo fa ricordando il Rapporto sull’Italia del 13 gennaio 2020 del Grevio e la sentenza di condanna della Corte EDU I.M. e altri c. Italia del 10 novembre 2022, con cui – afferma il Libro bianco –  «la Corte di Strasburgo stigmatizza la pratica, rilevata in alcuni tribunali civili e minorili, di ritenere “non collaborative” e “madri inadatte” le donne che segnalano atti di violenza, che si rifiutano di partecipare agli incontri dei propri figli con l’ex coniuge e che si oppongono alla condivisione dell’affidamento, sino a sanzionarle con la sospensione della responsabilità genitoriale, con il collocamento dei figli in comunità e denunciandole per diversi reati con la conseguente vittimizzazione secondaria sia della madre che dei minorenni». Il Libro bianco raccomanda una lunga lista di azioni, come «evitare qualsiasi ricorso a mediazione o conciliazione in presenza anche soltanto del fumus di violenza», «non delegare valutazioni proprie del giudice a professionisti condizionati da teorie a-giuridiche e ascientifiche come la cosiddetta alienazione parentale o formule analoghe che celano lo stesso tipo di teorie», «nominare consulenti che abbiano una specifica formazione in materia di violenza familiare e contro le donne non fondata su teorie a-scientifiche quali quelle sopra indicate e che applichino nel loro lavoro sistematicamente i principi, le modalità e gli obiettivi della Convenzione di Istanbul». Nulla di tutto questo è richiamato nel disegno di legge.

Risultano ben poca cosa – al confronto con gli obblighi introdotti, spesso onerosi, compreso quello della pre-mediazione (e della stessa mediazione, quando richiesta da una delle parti) – quelle che lei definisce «disposizioni a favore esplicito o implicito delle madri» e che ci accusa di ignorare. Sorprende, anzi, che a fronte di tale enfasi sui dettagli, come la previsione che le madri non coniugate e non conviventi siano sostenute per le spese del parto (!) e, se indigenti, che i padri concorrano alle spese fino a due anni (!) di vita del figlio, il tema della violenza sia sottaciuto o ignorato. Perché la sua certezza che «un padre (o una madre, caso raro ma non impossibile) violenti non troverebbero mai un giudice disposto ad affidare loro un minore» è smentita dalla realtà documentata, da ultimo, proprio dalle relazioni approvate all’unanimità nella XVIII Legislatura dalla Commissione d’inchiesta sul femminicidio del Senato, l’istituzione a cui lei appartiene, in particolare dalla relazione intitolata “La vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”, consultabile qui.

Dall’indagine compiuta dalla Commissione, nel periodo 2020-2021, che ha avuto come oggetto lo studio di 1.411 procedimenti giudiziari, estratti a campione, iscritti a ruolo nell’anno 2017, relativi sia a giudizi civili di separazione giudiziale con domande di affidamento di figli minori sia a giudizi minorili sulla responsabilità genitoriale (con analisi di tutti gli atti processuali) è emerso il non riconoscimento della violenza domestica. Negli atti di parte e in quelli emessi dai giudici non si faceva cenno alla violenza né al suo correlato, il maltrattamento assistito, ma ogni forma di aggressione e prevaricazione di un partner nei confronti dell’altra veniva qualificata come conflitto, con una serie di ricadute nei procedimenti. La sostanziale invisibilità della violenza – concludeva la relazione – ha avuto gravi conseguenze sia sulle donne vittime di violenza, costrette a condividere con il partner violento le decisioni relative alla prole, sia sui minori in conseguenza della mancata protezione dalla violenza assistita, con mancata applicazione dei principi della Convenzione di Istanbul.

Proprio perché non dubitiamo della sua non indifferenza al fenomeno, e alla luce dei gravissimi fatti che la cronaca ci riporta quasi ogni giorno, la invitiamo a considerare quale sarebbe l’unica vera urgenza per una riforma del diritto di famiglia, questa sì nell’interesse dei minori: adoperarsi per garantire che mai, in nessuna circostanza e in nessuna aula di tribunale, un uomo violento possa essere considerato un buon padre.

Flavia Landolfi e Manuela Perrone

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  • Leonardo Scelsi |

    Quale padre coinvolto in una situazione di affido condiviso, evidenzio il mio caso prettamente scolastico a cui aggiungerò alcuni commenti finali:

    a. Presenza di una prole di anni 10;
    b. Entrambi i genitori privi di gravi e ostative ragioni all’affidamento condiviso. In merito, si evidenzia sempre la maggior presenza della figura paterna in tutto il percorso scolastico e sociale della prole, come ad esempio:
    – Utilizzo al 100% dei c.d. permessi allattamento, al fine di consentire una equa carriera lavorativa alla madre;
    – Utilizzo al 100 della c.d. maternità facoltativa (45 gg.), al fine di consentire una equa carriera lavorativa alla madre;
    – Partecipazione attiva a tutte le attività scolastiche e post scolastiche (inserimento al nido, rappresentante di classe, organizzazione eventi scolastici e postscolastici, etc), al fine di consentire una equa carriera lavorativa alla madre;
    c. Entrambi i genitori titolari di reddito pieno, ovvero superiore al reddito medio nazionale, pertanto in grado di soddisfare direttamente le esigenze del figlio Nicolò, ovvero la eventuale corresponsione di un assegno di compensazione che potesse eventualmente riequilibrare i redditi;

    Commenti personali:
    Anche in una situazione, definirei “scolastica”, la predeterminazione di una legislazione che agevola la parte materna sia da un punto di vista morale che economico, necessita di urgenti interventi che definiscano in modo chiaro ed inequivocabile regole generali, che in caso di assenza di elementi gravi ed ostativi, diano una definizione chiara e precida ai magistrati su come adoperare la propria decisione.

    E se le S.S.VV. vogliono avere maggiori dettagli, non esitate a contattarmi (3204293691).

  • Michele |

    Già il fatto che parliate di ‘un padre violento ‘ piuttosto che di un genitore violento la dice lunga sulle vostre ideologie…o forse vi si potrebbe pure apprezzare per il vostro sincero e manifesto ‘schieramento anti padre’. Per il resto dico solo che la garante non è infallibile e soprattutto se va a braccetto con le varie donne alienanti non può essere considerata certo super partes. Basterebbe leggere molti suoi commenti in cui si rammarica per non poter abolire la legge 54/2006

  • Luca |

    La Landolfi e la Perrone sembrano affannarsi a difesa di uno status quo che non può essere mantenuto in un paese civile. La schiacciante immotivata maggioranza delle collocazioni presso le madri (pur in presenza di normative i cui propositi altisonanti garantiscono la bigenitorialità), restituiscono l’immagine di una impostazione arretrata che nei tribunali sancisce immancabilmente una sorta di superiorità ontologica del ruolo delle madri rispetto ai padri. Questa superiorità non esiste. Mi sembra che cerchino di indurre una sorta di equivoco: certo che nelle situazioni di violenza contro le donne bisogna intervenire senza tentennamenti. Come bisogna che questo sistema inizi anche a percepire le condizioni in cui le vittime sono gli uomini, ed i carnefici le donne. In una situazione in cui violenza non c’è, è giusto che i figli stiano pari tempo con i padri e con le madri? Si. Perché questo sistema giudiziario si è dimostrato incapace di gestire con equanimità le decisioni in merito. Con la scusa di proteggere i figli, spesso si tollera che vengano sostanzialmente privati di uno dei due genitori, con conseguenze sulla vita di questi bambini e sul futuro della nostra società che sono inimmaginabili. Smettete di proteggere dei privilegi di genere dietro il “benessere dei bambini”.

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