È sotto gli occhi di tutti: in questi ultimi anni la psicologia è passata da disciplina spesso stigmatizzata e percepita come residuale, a elemento fondante del benessere individuale e collettivo. A testimoniarlo, non sono solamente le conversazioni – sui social, alla televisione, nelle aziende, tra conoscenti e amici – sul tema, ma una recente ricerca dell’Istituto Piepoli in collaborazione con il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi. L’indagine, condotta in Italia coinvolgendo sia professionisti della salute mentale che cittadini, offre uno spaccato chiaro dell’attuale scenario. Parallelamente, però, stimola alcune domande.
Dalla marginalità alla centralità sociale
Sette psicologi su dieci concordano sul fatto che negli ultimi anni la loro professione abbia guadagnato maggiore visibilità, presenza sui media e soprattutto fiducia da parte dell’opinione pubblica.
Il dato più rilevante è il riconoscimento sociale della psicologia come risorsa trasversale: il 98% degli italiani ritiene che l’assistenza psicologica sia un diritto pubblico, da garantire senza stigma. Inoltre, l’idea che la psicologia abbia lo stesso valore delle cure mediche è condivisa dal 74% della popolazione, e il 70% la considera un investimento produttivo per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
La psicologia entra nei luoghi di vita
Ospedali, scuole, strutture per anziani, servizi sociali, ambulatori dei medici di base, luoghi di lavoro: la Psicologia non è più relegata allo studio privato, ma è entrata nei contesti quotidiani, dove può contribuire concretamente alla qualità della vita. Il 97% degli intervistati ritiene fondamentale la presenza di psicologi negli ospedali, mentre il 90% ne riconosce il ruolo nei servizi per anziani e l’85% a fianco del medico di base. Nelle aziende – specialmente quelle grandi – è spesso presenza fissa, attraverso servizi di supporto psicologico e iniziative a tema.
Questo ampliamento del raggio d’azione riflette anche un cambiamento culturale: la Psicologia è sempre meno associata esclusivamente al disagio psichico e sempre più intesa come pratica di promozione del benessere, di prevenzione e di crescita personale. Finalmente, stiamo assistendo a una “normalizzazione” della professione.
Abbiamo davvero sconfitto lo stigma?
Nonostante questo “Rinascimento psicologico”, all’interno dell’indagine dell’Istituto Piepoli c’è un dato che invita a una domanda: abbiamo davvero sconfitto lo stigma? Oppure la psicologia è sì normalizzata, ma ancora si fatica a portarla concretamente nella propria vita? Per dirla diversamente: va bene parlarne, ma quando poi si tratta di agire?
Secondo l’indagine, infatti, la percentuale di popolazione che ha dichiarato di essersi rivolta a uno psicologo o psicoterapeuta si attesta al 34%. Un dato che può essere letto come significativo – dopotutto si tratta di un terzo del campione – ma che, al contempo, evidenzia come esista ancora un consistente gap tra la consapevolezza dell’importanza della salute mentale e l’effettiva richiesta di supporto professionale.
Le possibili ragioni del divario
Ci sono diverse possibili spiegazioni per questo divario. Da un lato, persiste un retaggio culturale che, pur avendo subito un notevole cambiamento, ancora in qualche misura inibisce l’azione concreta. Parlare di psicologia e normalizzare il chiedere aiuto è un primo passo importante, ma non necessariamente si traduce nella scelta di investire tempo, energie e risorse economiche in un percorso di terapia. Nonostante il riconoscimento generale del diritto alla salute psicologica, molte persone ritengono ancora che rivolgersi a uno psicologo rappresenti un’ammissione di fragilità.
Un’altra spiegazione risiede nelle barriere pratiche e socio-economiche. I costi delle prestazioni e la carenza di punti di accesso capillari sul territorio, possono frenare molti. A tal proposito, l’indagine dell’Istituto Piepoli ricorda che l’11% della popolazione vorrebbe affidarsi a uno psicologo, ma non lo fa per motivi economici.
Sebbene dunque la psicologia sia sempre più riconosciuta come risorsa, la strada per la sua reale affermazione nelle vita dei cittadini è ancora lunga. Non serve solamente che sia resa accessibile, ma è necessario lavorare per decostruire i bias che ancora la attraversano. Quante volte, d’altronde, sentiamo frasi come “La psicologia è fondamentale, ma a me lo psicologo non serve”?
Un ruolo cruciale, in questo, possono averlo le aziende. Le organizzazioni, infatti, non solo possono supportare le persone – già molte lo fanno – laddove il servizio pubblico non arriva, sostenendo economicamente percorsi di supporto psicologico, ma anche offrire occasioni di sensibilizzazione e contrasto dei pregiudizi. D’altronde, trascorriamo al lavoro gran parte del nostro tempo: difficilmente esiste ambiente migliore in cui contribuire a un futuro in cui la psicologia sia realmente normalizzata.
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