Workation, la nuova dimensione emotiva dello smart working

Lavoro e vacanza, un binomio possibile? Nasce dall’unione tra i due termini inglesi la parola “workation”, espressione massima delle sperimentazioni generate dalla pandemia e figlia di un nuovo approccio centrato sul benessere non come dimensione fuori dal lavoro, ma come dimensione che si cerca anche nel lavoro. Questo cambio di paradigma è stato a fondo esplorato nel saggio “Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane” edito da Luiss University Press e scritto dalla giornalista de Il Sole 24 Ore e Alley Oop Manuela Perrone e dal presidente di Federmanager, Cida e Trenitalia, Stefano Cuzzilla. Il libro analizza moltissimi aspetti del mondo del lavoro (dal welfare alla gestione del tempo fino alle azioni concrete per la diversità e l’inclusione) e si apre con la prefazione di Ferruccio de Bortoli che lo descrive sotto una luce nuova e non banale: il lavoro, dice, “non è più un tempo sottratto alla vita, alla libertà individuale e collettiva, ma il suo complemento, la sua realizzazione”.

Da qui l’emergere di una diversa gerarchia delle priorità, con il reddito non più “testa di serie” (per usare un termine calcistico) ma una tessera di un mosaico più grande che molto ha a che fare con il concetto di “dimensione emotiva” e dell’equilibrio personale. Secondo gli autori, quindi, stare bene sul luogo di lavoro è una necessità urgente in un mondo che cambia sempre più rapidamente, e che viene messo a dura prova da fattori come il calo demografico, la crisi climatica e le disuguaglianze sociali.

Smart working, a che punto siamo?

Se nel primo periodo della pandemia abbiamo scoperto i vantaggi di lavorare da casa, successivamente ne abbiamo subito anche alcuni effetti negativi. Oggi però, dopo quattro anni, a che punto siamo? E in che direzione stiamo andando? Una risposta chiara, come sempre, ce la danno i dati e la loro giusta interpretazione. Ma partiamo dal ricordare cosa vuol dire il termine smart working (lavoro agile). La legge 81/2017, come modificata dalla legge 122/2022 – ricorda il ministero del Lavoro – lo definisce come “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività” . Lavoro subordinato, quindi, basato su un contratto che regola il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente. Cosa ben diversa dal mondo delle partite iva.

I dati dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano mostrano un aumento degli smart workers da 570mila del 2019 a 3,585 milioni del 2023, con una media di 9,5 giorni al mese nelle grandi imprese, 4,5 nelle piccole e medie e 8 giorni nella Pubblica amministrazione. Questi numeri dovrebbero rimanere più o meno stabili anche nel 2024, con una stima di 3,65 milioni lavoratori coinvolti. Anche se, come ha ricordato di recente Silvia Pagliuca, che piaccia o no gli uffici stanno recuperando terreno rispetto allo smart working, con grandi aziende come Disney o Starbucks che hanno fissato come standard almeno tre giorni in ufficio a settimana.

Anche in Italia dal 1° aprile 2024 lo smart working per legge ha subito alcune sostanziali modifiche e, secondo quanto rilevato da LinkedIn, le offerte di lavoro completamente da remoto sono passate dal picco del 22% dell’aprile 2022 al misero 8% del dicembre 2023. E questo nonostante l’interesse dei dipendenti ad accettare lavori con un alto tasso di flessibilità rimanga elevato (46% delle domande) e nonostante diverse ricerche abbiano dimostrato i vantaggi del lavoro da remoto, dal calo del rischio burnout all’aumento dell’innovazione.

Questo approccio, però, non è detto che sia definitivo, perché lo smart working – com’è nella sua natura – fa della flessibilità un’arma per evolversi costantemente. La variabilità delle scelte aziendali e l’eterogeneità dei modelli adottati lo dimostra. Nel susseguirsi di statistiche e opinioni positive o negative, il punto in comune è la ricostruzione di un’identità aziendale travolta dal periodo Covid-19. Riportare le lancette indietro come se nulla fosse successo non sembra essere l’idea migliore per ricostruire relazioni affievolite o migliorare il clima aziendale.

E se il futuro fosse il workation?

Esploso nel 2020 come novità destinata a durare lo spazio di poco tempo, il workation – neologismo formato dall’unione delle parole work e vacation – ha invece trasformato completamente il concetto di smart working, unendo il lavoro alla vacanza e seguendo un trend in crescita che negli ultimi tre anni ha subito continue evoluzioni e adattamenti. In questo caso, però, alcune aziende si sono dimostrare lungimiranti, prevedendo un periodo di workation in località diverse dal “solito” co-working e in contesti turistici dove la natura la fa da padrone.

Ovviamente non è così per tutte le realtà aziendali, ma sono sempre di più gli esempi in tal senso, così come le strutture pensate per accogliere smart workers, nomadi digitali e professionisti di diversi settori, e coniugare il lavoro al benessere fisico e mentale. I primi Paesi a sperimentare la workation nel 2021 sono stati la Spagna e il Giappone, dove il Governo ha promosso il binomio lavoro-vacanza come opportunità per supportare e valorizzare quelle destinazioni turistiche di provincia e rurali rimaste senza più arrivi internazionali a causa del Covid.

In Italia le prime prove di workation nel 2020

Le prime apparizioni di questa nuova formula si sono registrate nel 2020 a Firenze con il progetto Be.Long (piattaforma online con offerte di appartamenti in modalità di affitto breve e tanti servizi di hospitality) e in Brianza, dove alcuni agriturismi sono stati tra le prime realtà a proporre pacchetti di soggiorno per lavorare da remoto godendo del relax e dei tempi lenti della campagna.

Quella che sembrava essere solo una situazione di emergenza si è invece rivelata una tendenza in crescita nel Bel Paese. Nel 2022, infatti, l’Istat ha rilevato che il 9,7% di vacanzieri occupati – holiday workers –  ha lavorato da un luogo di vacanza. Un approccio – si legge nella rilevazione – maggiore tra gli uomini (10,4%) rispetto alle donne (8,8%) e tra i residenti nelle regioni del nord-ovest (12,1% contro il 5,5% del Mezzogiorno). Tra le figure professionali coinvolte troviamo per il 33% i legislatori, i dirigenti e gli imprenditori, cui segue il 30,5% costituito dal settore della comunicazione. Non mancano i professionisti delle attività finanziarie e assicurative (22,8%) e quelli appartenenti alla intelligènza, alla scienza e alle alte specializzazioni (16,5%).

Nel cuore delle Dolomiti la capitale del workation italiano

Il centro turistico di San Vigilio di Marebbe, nel cuore delle Dolomiti (patrimonio mondiale Unesco), è diventata in breve tempo la capitale del workation italiano, grazie ad AMA Stay, una struttura ricettiva del Trentino Alto Adige che per prima, già diversi anni fa, ha avuto la lungimiranza e l’intuizione di credere in una modalità di lavoro agile che coniugasse il dovere al piacere, in un ottica di benessere e aumento della produttività.

La scintilla è partita dalla mente del giovane e dinamico ceo dell’hotel Markus Promberger, che ha raccolto l’eredità di una famiglia che da generazioni fa dell’ospitalità la sua vocazione. Dopo diversi anni di gestione di un albergo alpino a conduzione familiare sulle Dolomiti e molte esperienze raccolte all’estero, Markus è tornato nella sua San Virgilio di Marebbe per rimettersi in gioco, facendo confluire tutta la sua esperienza ed empatia in AMA Stay (il cui nome rimanda al concetto del “prendersi cura”) e dare vita a un hotel diverso da tutti gli altri in cui smart worker, nomadi digitali e amanti della vacanza trovassero pace e ispirazione per nutrire le proprie visioni. E dove poter percepire i benefici nati dalla contaminazione tra professioni diverse, dalla rigenerazione fisica e mentale e dai panorami montani.

“Crediamo – afferma Promberger – che vita, lavoro e riposo siano un tutt’uno, un insieme indissolubile. Vediamo la vita come un collage di incontri e scoperte, un intreccio di sfera privata e professione. Con AMA Stay, che unisce il concetto di amore a quello del rimanere – abbiamo creato un luogo giovane e sostenibile, ricco di sfaccettature proprio come la vita, eterogeneo e unico come i nostri ospiti; persone che desiderano trascorrere giornate rigeneranti e attive sulle nostre stupende montagne e che cercano nell’energia della natura un’ispirazione per il lavoro e la creatività. Ma soprattutto siamo felici di aver progettato e realizzato un luogo in cui tutti, ospiti e dipendenti, possano trovare lo spazio per confrontarsi, crescere e vivere la natura nel modo che preferiscono”.

Per conciliare vacanza e lavoro, AMA Stay mette a disposizione 15 postazioni di lavoro moderne, accessoriate e flessibili, un’area lounge per incontri creativi e sale conferenze. Un mix di possibilità per i lavoratori vacanzieri e per quelle aziende che vogliono godere anche del panorama unico delle Dolomiti e avere uno spazio dove poter fare newtworking dando libero sfogo a nuove idee e progetti.

La stagione estiva al via dal 1° giugno

Non c’è solo il lavoro però, a maggior ragione quando si parla di smart working e di benessere fisico e mentale ottimale. Per staccare la spina e ricaricarsi al meglio, le Dolomiti offrono attività di svago per tutte le esigenze. Il 1° giugno, tra l’altro, è partita ufficialmente la stagione estiva che, com’è noto, porta con sé la voglia di relax e avventura, specie per gli amanti della montagna e dei suoi panorami. Il paesaggio alpino di Plan de Corones (la montagna “madre” della Val Pusteria) può essere la cornice ideale, tra una call del mattino e una del tardo pomeriggio, per fare un’escursione su uno dei tanti sentieri tracciati e catalogati per caratteristiche diverse, oppure dedicarsi alla lettura con vista sulle montagne, fare una sosta rigenerante nell’area relax o visitare il Messner Mountain Museum sulla cima di Plan de Corones, a più di 2000 metri, godendo di un panorama difficile da dimenticare e che sarà creatore di una energia nuova da impiegare nel lavoro.

Quale può essere allora un buon lavoro? Certamente quello che regala la giusta dimensione emotiva e ci aiuta a ritrovare un equilibrio nella nostra piramide dei valori, permettendoci di fare pace dentro di noi per tornare ad appassionarci a ciò che molti definiscono noiosa routine. E dalla quale, spesso, non vedono l’ora di fuggire.

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