Solo il 6% delle aziende ha una cultura dell’inclusione

Italia terzultima tra i Paesi europei nell’EY European DEI Index, realizzato da EY in collaborazione con FT-Longitude, che ha raccolto l’opinione di 900 manager (dirigenti e C-suite) e 900 dipendenti provenienti da 9 Paesi europei. A penalizzare il nostro Paese la mancanza di un approccio strategico di amplio respiro.

In Italia soltanto 2 collaboratori su 5 dichiarano di poter essere se stessi e sentirsi accettati sul lavoro. Nonostante la metà di loro (55%) giudichi “buono” l’impegno dell’azienda per la creazione di un clima di fiducia e trasparenza, quindi, qualcosa non sta funzionando. Dall’indagine infatti risulta che il 47%  delle persone – rispetto il 36% dei colleghi europei – ha subito episodi di discriminazione sul luogo di lavoro, ma solo poco più della metà di essi (il 60%) dichiara di averli segnalati.

Divario tra manager e dipendenti

La ricerca rivela anche un divario tra manager e dipendenti rispetto alla possibilità di essere sé stessi e di sentirsi accettati sul lavoro: la grande maggioranza dei manager italiani (72%) – uno dei dati più alti tra i Paesi europei analizzati (più tredici punti percentuali) – si sente libero di esprimersi in maniera autentica, ma la percentuale scende al 41% quando a rispondere sono i dipendenti.

“L’Italia è ancora indietro rispetto agli altri Paesi europei per quanto riguarda le strategie di diversity. Sicuramente per una questione di tempo, le attività di sensibilizzazione qui sono iniziate da poco, ma sono convinto che senza una vera trasformazione della cultura aziendale sia impossibile ottenere davvero dei progressi concreti. Lo conferma la survey con il 22% dei manager che lo identificano proprio come principale ostacolo al miglioramento” commenta Massimo Antonelli, ceo EY Italy e chief operating officer EY Europe West.

Cultura e investimenti tra gli ostacoli

Nel nostro Paese un manager su cinque (22%) quindi afferma che il principale ostacolo al miglioramento dell’equità e dell’inclusività della propria azienda sia legato alle resistenze culturali interne. In effetti, dati alla mano, L’Italia risulta in ritardo rispetto alla media europea nell’applicazione dei principi di diversity, equity e inclusion in fase, per esempio, di selezione e colloquio: soltanto il 20% dei manager italiani – contro il 33% europeo – ha erogato una formazione specifica sul tema ai responsabili del recruiting. Ma quello culturale non è il solo vincolo: nonostante solo il 19% di loro –  contro il 26% dei manager europei – indichi i vincoli di  bilancio come determinanti, l’Italia è tra i Paesi con la spesa più bassa per quanto riguarda le iniziative di diversità, equità ed inclusione, con 3,99 milioni di euro contro i 5,75 della Spagna.

Inclusività “selettiva”

Sarà perché l’Italia è fanalino di coda nell’occupazione e crescita professionale femminile, ma nel nostro Paese le iniziative DEI sono concentrate principalmente a sostegno del genere (70%) e – sempre di più – delle diversità generazionali (40%). Salta invece all’occhio che meno di un’azienda su tre (29%) abbia adottato misure per l’inclusione Lgbtq+, o  per colmare le disuguaglianze socioeconomiche (23%) o ancora meno (14%) a favore dell’inclusione delle persone con disabilità.

Addirittura, per il 35% degli intervistati l’inclusione della disabilità non è proprio inclusa nella propria strategia DE&I. Dati che si riflettono anche nella percezione che i lavoratori hanno delle proprie aziende: se il 57% degli italiani ritiene che la propria organizzazione abbia un buon livello di diversità etnica e culturale (in linea con la media europea), il 48% e il 44% valutano scarso rispettivamente il livello di diversità socioeconomica e l’inclusione delle persone con disabilità.

Insomma, c’è ancora molto da fare.

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