Hanno 16 anni o poco più. Sono nati e cresciuti in un Paese che non garantisce ma chiede, giudicandoli ora “choosy”. Poi “sdraiati”. Per la loro istruzione e formazione viene impegnato solo il 4,1% del Pil (dati Istat 2023). Le loro scuole sono spesso fatiscenti, con la metà degli edifici privi del certificato di agibilità (XXI rapporto di Ecosistema Scuola). La rappresentanza politica non ha la loro età (tra i banchi di Montecitorio sono presenti solamente quattro under 30) ma la “disaffezione politica” è comunque una loro responsabilità. Eppure, quando i ragazzi e le ragazze provano a manifestare per difendere un’idea o esprimere dissenso – agendo, di fatto, la Costituzione – è la regola del manganello quella che viene loro riservata.
La repressione di una generazione che chiede pace
Circoscrivere e reprimere il dissenso con la violenza. È ciò che è accaduto lo scorso 23 febbraio durante alcuni cortei organizzati per chiedere la pace a Gaza ed esprimere supporto per la Palestina. A Firenze, Pisa e Catania la polizia ha caricato ragazze e ragazzi che manifestavano usando senza alcuna remora i manganelli. Gli studenti feriti sono 18, 10 dei quali minorenni.
A Pisa i poliziotti schierati a protezione di uno degli accessi alla piazza dei Cavalieri hanno caricato gli studenti che stavano cercando di oltrepassare lo sbarramento. L’intera area intorno a piazza, dove si affaccia la sede centrale dell’ateneo di Pisa, è stata cinturata dalle forze dell’ordine.
A Firenze il corteo, formato da sindacati di base, studenti e comunità palestinese, è partito da piazza Santissima Annunziata per raggiungere, sfilando per il centro, piazza Ognissanti e ha poi proseguito il percorso sul lungarno verso il consolato. A poche decine di metri era presente lo sbarramento delle forze dell’ordine e quando i manifestanti hanno provato ad avanzare sono partite le cariche. I video social che sono stati diffusi subito dopo l’accaduto parlano chiaro: da un lato ci sono felpe, sneaker, zainetti da scuola, volti scoperti e mani in alto. Dall’altro volti coperti in tenuta antisommossa, manganelli che circoscrivono un corteo che si sta svolgendo per chiedere pace e chiara difficoltà di identificazione. La sproporzione è visibile, oggettiva: “fate così anche con i vostri figli?” dice una ragazza rivolgendosi agli agenti.
“Siamo sconcertati da quanto accaduto in via San Frediano, di fronte alla nostra scuola dove studenti per lo più minorenni sono stati manganellati senza motivo, perché il corteo che chiedeva il cessate il fuoco in Palestina, assolutamente pacifico, chissà mai perché, non avrebbe dovuto sfilare in piazza Cavalieri”, scrivono in una lettera aperta undici insegnanti del liceo artistico Russoli di Pisa che si trova proprio di fronte al luogo in cui sono avvenute le cariche. “Proprio di fronte all’ingresso del nostro liceo, hanno fatto partire dapprima una carica e poi altre due contro quei giovani con le mani alzate – aggiungono – Senza neanche trattare con gli studenti o provare a dialogare, abbiamo assistito a scene di inaudita violenza. Come educatori siamo allibiti”.
E lo sono anche i genitori: “Come genitori e come cittadini proviamo indignazione per i fatti accaduti in via San Frediano. Il diritto di manifestare le proprie idee è un principio costituzionale che gli studenti di una scuola superiore devono, oltre che apprendere sui libri, vedere rispettato e garantito dalle tutte autorità preposte” riferiscono i genitori che compongono il Consiglio di istituto del liceo pisano Buonarroti. Fanno eco i genitori degli studenti del liceo Carducci: “Siamo sgomenti nel vedere uomini in uniforme, molti di certo genitori, accanirsi con una violenza degna di nessuna causa su ragazze e ragazzi a volto scoperto e senza che brandissero alcuno strumento atto ad offendere”.
La risposta dei cittadini di Pisa, dopo le manganellate, è stata unanime. Oltre cinquemila persone si sono radunate in piazza dei Cavalieri per esprimere pacificamente solidarietà ai manifestanti. Sulla scalinata monumentale della Scuola Normale sono stati affissi striscioni con le scritte “Basta violenza della polizia” e “No alla violenza delle istituzioni”, insieme a manifesti per chiedere di “Fermare il genocidio” e per una “Palestina libera”.
Perché manifestare è “agire” la Costituzione
Manifestare per la pace, per il lavoro, manifestare in sé, è agire e attuare la Costituzione. Una democrazia che impedisce la libertà di espressione abbandona i suoi presupposti. “Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”: lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha voluto telefonare al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi dopo gli accadimenti degli ultimi giorni. “Il presidente della Repubblica ha fatto presente al ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni”, fa sapere una nota dell’ufficio stampa del Quirinale.
Parole che trovano tutela e garanzia nella stessa Costituzione. Secondo l’articolo 17, “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi e per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Come sottolinea l’esecutivo di Magistratura democratica, associazione aperta all’adesione di tutti i magistrati, “l’articolo 18 della legge in materia di sicurezza pubblica, prevede sì l’obbligo per i promotori di una di riunione in luogo pubblico di darne avviso almeno tre giorni prima al questore, ma l’omesso avviso non rappresenta una condizione di illegittimità della riunione né un’automatica presunzione di pericolo per l’ordine pubblico. In secondo luogo, sono previste delle modalità per lo scioglimento della riunione agli articoli 24 e 25 del regolamento di attuazione della stessa legge, le quali non autorizzano in alcun modo un uso indiscriminato o sproporzionato della forza”.
L’uso della forza è legittimo solo quando sia inevitabile per effettive ragioni di sicurezza degli agenti e della collettività. I filmati diffusi in rete e dalle agenzie di stampa confermano un’evidente sproporzione nell’uso della forza da parte degli agenti: sono numerose e inequivocabili le immagini in cui essi colpiscono con i manganelli ragazzi inermi e li fanno sdraiare a terra, immobilizzandoli, senza alcuna evidente necessità di difesa propria o di terze persone.
Come fanno sapere fonti della questura pisana, la Digos consegnerà in questura documenti e filmati relativi alle cariche della polizia: si tratta del materiale raccolto nell’immediatezza dei fatti dal personale presente in piazza e che documenta quello che è successo. Questo servirà all’autorità giudiziaria per avviare un’indagine approfondita e fornire risposte certe e in tempi rapidi per chiarire quanto accaduto.
Manganelli e repressione violenta, non sono “episodi”
Gli episodi degli ultimi giorni non sono “episodi”. È successo di nuovo alla Sapienza, il 25 ottobre 2022, quando gli studenti hanno protestato contro il convegno di Fratelli d’Italia e sono stati violentemente manganellati. È accaduto a Palermo il 23 maggio 2023 per il corteo alternativo (e autorizzato) in onore del giudice Giovanni Falcone assassinato dalla mafia. Lo scorso 6 dicembre all’università di Torino, in un presidio antifascista organizzato dagli studenti, è stata colpita anche la docente costituzionalista Alessandra Algostino. E ancora, solo pochi giorni fa, i manifestanti che hanno sostenuto lo “stop al genocidio” del rapper Ghali, sono stati picchiati davanti alla Rai di Napoli.
La repressione violenta del dissenso nei confronti degli studenti non è una novità, né deve legarsi unicamente al governo di turno per essere affrontato in modo non strumentale o funzionale agli interessi politici del momento. Lo confermano i fatti dell’ultimo anno, così come i manganelli scagliati a gennaio 2022 contro i ragazzi che manifestavano pacificamente dopo la morte di Lorenzo Parelli, il giovane di 18 anni deceduto durante l’ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro. Invece che considerare quella protesta il sintomo positivo di una sana reazione e di volontà di far sentire la propria voce, l’ex ministra dell’interno Luciana Lamorgese (governo Draghi), argomentò l’azione violenta delle forze armate con la “presenza di provocatori” e di “cariche di alleggerimento” contro chi, nei fatti, stava rivendicando il diritto allo studio in sicurezza.
La risposta della politica, ricordare il passato per guardare al futuro
La memoria non può essere breve nel Paese in cui si è verificata “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale”: così Amnesty International ha definito i fatti del G8 di Genova del 2001, ricordando l’uccisione di Carlo Giuliani, le 560 persone gravemente feriti e i 360 attivisti arrestati. In quei giorni era Claudio Scajola il ministro dell’Interno del neonato governo Berlusconi. Oggi, il questore di Pisa – responsabile delle forze di polizia che garantiscono la sicurezza e l’ordine pubblico – è Sebastiano Salvo, in servizio nel 2001 a Genova. “Ne chiediamo le immediate dimissioni – scrive il co-portavoce di Europa Verde e deputato di AVS Angelo Bonelli – Si tratta di colui che aveva anche la responsabilità della pianificazione dell’ordine pubblico ai tempi del G8 di Genova dove l’Italia fu condannata dalla corte per i diritti dell’uomo per tortura per le violenze fatte contro i manifestanti”.
La rinnovata repressione degli studenti ha spinto le forze politiche a chiedere di fermare la violenza. “Basta manganellate sugli studenti”, ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein. Sulla stessa linea anche il leader del M5S, Giuseppe Conte che ha definito i filmati diffusi “immagini preoccupanti, non degne del nostro Paese”. Per le opposizioni, che hanno lanciato l’appello al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, affinché riferisca il prima possibile in aula, gli episodi verificatesi sono “inaccettabili”. Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italia, ha annunciato “una interrogazione urgente, l’ennesima, a Piantedosi” e proposto “ai colleghi e alle colleghe degli altri gruppi parlamentari di immaginare una scorta democratica alle manifestazioni”.
“La repressione vista a Pisa, a Firenze, in Toscana, e ancora prima in tante altre città e regioni italiane, ci porta indietro a dei tempi che non vogliamo rivivere.
In passato abbiamo visto cosa succede quando la catena di comando assiste imperterrita a scene come quelle di ieri” afferma Ilaria Cucchi, senatrice (Verdi-Sinistra italiana) e sorella di Stefano Cucchi – che continua a battersi sul tema degli abusi di potere.
Ricordare il passato per guardare al futuro: battaglie e rivendicazioni sono state sempre portate avanti in modo legittimo dagli studenti e che devono continuare ad essere tutelate nel segno della democrazia. Il 5 dicembre del 1989, ad esempio, in Italia nasceva a Palermo – per poi estendersi in tutta Italia – “la Pantera”, un movimento studentesco di protesta che si opponeva al disegno di legge Ruberti, ribadendo la necessità dell’indipendenza dell’università da interessi privati. Oggi come ieri, gli studenti hanno il diritto di pensare di poter cambiare il mondo, migliorarlo. Esprimendo liberamente il loro dissenso e pensiero, come garantito dall’articolo 21 della Costituzione e dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per cui “ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”. In Italia, come in Europa, dissentire è un diritto tutelato e, le voci dei giovani che protestano, sono gli anticorpi potenti che difendono una democrazia fragile.
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