Si è sempre fatto così, ma adesso basta: la pedagogia che rompe gli stereotipi

Nel 2023, tra le vittime di femminicidio ce ne sono state otto con età compresa tra i 21 e i 31 anni e tre con età tra gli 11 e i 20 anni. Sebbene la maggioranza delle vittime stia nella fascia di età tra i 31 e i 40 anni  (17 vittime), non sono da sottovalutare i numeri che vedono un abbassamento dell’età dei femminicidi. Sono numeri importanti, che mostrano chiaramente che la violenza di genere nei giovani adulti è un problema che necessita di un intervento tempestivo.

Dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta, 22 anni entrambi, si è sollevato un coro di voci che ha richiesto un intervento delle istituzioni a partire dai banchi di scuola. Dicembre si è concluso con una direttiva del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che invita le istituzioni scolastiche a promuovere percorsi educativi mirati: l’accento è sulle scuole secondarie di secondo grado, e prevede metodologie laboratoriali e attività pluridisciplinari. Un finanziamento di 15 milioni di euro andrà a supportare le attività extracurriculari, e la formazione specifica per i docenti coinvolti, con la collaborazione di professionisti qualificati.

Pochi giorni dopo, Fabrizio Dal Passo, tutor del corso di formazione per docenti della scuola primaria e secondaria “Questioni di genere”, organizzato dall’Università Sapienza di Roma, ha dichiarato in un’intervista a La Stampa: “Io formerei il corpo docente di tutte le discipline. Sono stati decisi i 60 CFU (crediti formativi) per avere l’abilitazione all’insegnamento, con moduli specifici di pedagogia, psicologia, ecc. Che cosa impedisce di dare una direttiva per inserire, di questi 60 crediti, 25/30 crediti formativi sull’educazione sessuale e sentimentale, perché non farlo?”.

Paola Mastrocola, tra le pagine dell’Avvenire, sostiene invece che “un insegnante non è onnipotente, non è capace di far tutto. Se ha studiato matematica, non chiediamogli di fare lo psicologo”, e ribadisce l’importanza della cultura come strumento di elevazione e cambiamento per le giovani generazioni.

E se provassimo a cambiare punto di vista e pensassimo all’educazione ai sentimenti non come a una materia da insegnare ma come una disciplina da applicare, mostrare, vivere?

I sentimenti e le relazioni non sono una materia scolastica

Se è vera l’obiezione di Mastrocola all’idea di poter istruire degli insegnanti tuttologi capaci di fare anche da psicologi, è altresì vero che nessun cambiamento è possibile se non è vissuto e agito in prima persona dagli adulti di riferimento che stanno chiedendo ai giovani e alle giovani di cambiare, forse dimenticando di dover essere i primi a mettersi in discussione.

Difficile entrare nelle case e insegnare alle famiglie nuovi modi di rapportarsi ai figli e alle figlie. Un compito arduo, a cui partecipano altri agenti di formazione e cultura, oltre alla scuola. D’altro canto abbiamo invece insegnanti oggi sempre più formati, competenti, a cui viene richiesto di prepararsi alla scuola anche con delle basi più o meno solide di psicologia e pedagogia. Non basta conoscere una materia, bisogna anche avere la competenza per insegnarla. E come cornice a tutto questo, si aggiunga, occorre avere anche le competenze per maneggiare quel materiale umano meraviglioso e duttile che è l’infanzia e con lei l’adolescenza.

Non è più tempo, insomma, per rimandare una seria e accurata riflessione su come arricchire queste competenze pedagogiche contrastando gli stereotipi di genere. “Riflettere sugli stereotipi radicati nei modelli usati nell’educazione di bambini e bambine, compito primario della pedagogia di genere, diventa quindi un’occasione per mostrare come essi possano contribuire a mantenere inalterate (o a cambiare, se ci impegniamo in questo senso) le strutture sociali, culturali e simboliche in cui tutte e tutti ci muoviamo” scrive Alessia Dulbecco, pedagogista e formatrice, nel libro “Si è sempre fatto così” edito da Tlon.

È ormai chiaro, prosegue, che ci sia un collegamento che unisce l’educazione, l’equità di genere e il contrasto alla violenza. Perciò è il momento di cominciare a pensare che educare bambini e giovani attraverso modelli più liberi e consapevoli, capaci di contrastare le rigidità dei ruoli stereotipati, è la chiave di volta per il cambiamento di cui abbiamo bisogno e che deve partire da noi, dal nostro pensiero.

Si è sempre fatto così, ma adesso basta

Alessia Dulbecco

Alessia Dulbecco ha costruito con questo saggio un percorso sintetico e solido, con uno sguardo storico ma anche molto ancorato all’attualità, attraverso cui evidenzia l’attuale impatto degli stereotipi di genere sull’educazione.

Il libro è suddiviso in tre parti, infanzia, adolescenza e vita adulta, e attraverso esempi, dati e ricerche si impegna a dimostrare modi in cui gli stereotipi di genere incidono ancora oggi sull’educazione, limitando l’autostima, le aspirazioni e la libertà di scelta degli individui.

Per esempio, nei primi capitoli l’autrice si sofferma sull’usanza dei Gender Reveal Party,  una moda importata dagli Stati Uniti: si tratta di feste durante le quali i genitori in dolce attesa scoprono insieme a parenti e amici il genere del nascituro. Coriandoli, palloncini, dolcetti, rigorosamente rosa o azzurri, come vuole quel sistema binario che stabilisce la “norma” e il ruolo che essa comporta per ciascuno. L’azzurro e il rosa, sottolinea Dulbecco,  sono etichette che esprimono simbolicamente “lo status sociale e relazionale che quel soggetto possiede ancor prima della nascita e che nel corso della sua vita ridefinirà le sue relazioni sociali e di potere con le altre persone”. Un destino di disuguaglianza scritto nei cromosomi, insomma.

“La disparità che bambini e bambine e poi adulti e adulte incontreranno sul loro cammino si costruiscono proprio a partire da ciò che diamo per scontato, da quegli elementi che quasi non consideriamo perché giudichiamo inoffensivi: si è sempre fatto così, perché dovremmo occuparcene ora?” prosegue Dulbecco.

Il fatto è che la pedagogia e l’educazione di genere non sono nate ora, anche se faticano a farsi spazio, vittime esse stesse di pregiudizi e fraintendimenti spesso fraudolenti. Cominciamo col dire che l’autrice sicuramente raccoglie il testimone da due opere fondamentali del 1973: “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti, che ha dato origine alla pedagogia di genere (disciplina ancora sottovalutata in Italia), e “Maschio per obbligo” di Carla Ravaioli, che si focalizza sul “mandato” imposto ai bambini e agli uomini da famiglia, scuola, Chiesa e media, che li porta ad aderire a un modello di mascolinità predatoria e violenta, priva di spazio per emozioni, cura e rispetto dell’alterità.

Allo stesso tempo, Dulbecco è saldamente ancorata al presente, e tra le riflessioni e gli autori e autrici che cita, vi è anche il Care Collective, un gruppo di attivisti, accademici e professionisti (maschile sovraesteso) del Regno Unito, che lavora per riconsiderare e ridefinire il concetto di cura nella società contemporanea. La loro ricerca si concentra sull’assistenza e le politiche sociali, e mira a promuovere una visione più inclusiva e giusta della cura, sfidando gli stereotipi di genere associati a queste attività, e mettendo in discussione le disuguaglianze sistemiche per una ridefinizione della cura come elemento fondamentale per il benessere individuale e collettivo. (Il loro “Manifesto della cura” è stato pubblicato da Alegre in Italia, nel 2021.)

Come nel lavoro del Care Collective, spiega Dulbecco “anche il cambiamento che questo testo suggerisce sposta l’angolo di parallasse dalla sfera individuale a collettiva. Impegnarsi per liberare i processi educativi e i modelli previsti per ciascun genere è anzitutto un discorso sociale e politico. È un’operazione che pone al centro il riequilibrio delle condizioni diseguali che tutte le soggettività ‘altre’ sperimentano quotidianamente“.

Ecco allora che si richiude il cerchio: se davvero abbiamo compreso che per contrastare sul serio la violenza di genere occorre un cambiamento nel sistema di pensiero collettivo, allora forse non è tanto una questione di strutturare l’educazione sentimentale come una materia da insegnare, ma è proprio che dobbiamo farci carico di rieducare il nostro pensiero adulto per prima cosa, studiare la pedagogia di genere, cercare nuovi punti di vista.

Questo saggio di Alessia Dulbecco è un ottimo punto di partenza, per genitori, insegnanti, educatori ed educatrici che stiano cercando uno sguardo nuovo. Il cambiamento è lento e difficile, perché, spiega Dulbecco nelle conclusioni, “il sistema eteronormativo e patriarcale in cui siamo immersi, affida a uomini e donne ruoli differenti e ineguali. Cambiarli, dunque, significa smettere di prendere per buono l’assunto di partenza e provare a mettere in discussione le basi su cui poggia“. Spetta a ciascuno di noi comprendere che ruolo possiamo e vogliamo avere in questa discussione.

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Titolo: “Si è sempre fatto così. Spunti per una pedagogia di genere”
Autrice: Alessia Dulbecco
Editore: Tlon (2023)
Prezzo: 16 euro

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