Gioventù bloccata, perché l’Italia mette i giovani in panchina

Disoccupati o inattivi, sovra istruiti o sotto istruiti, troppo audaci o arrendevoli. La verità è una: i giovani italiani sono in panchina. E lo sono da tempo. Nel 2021, lavorava solo il 28,5% di chi aveva un’età compresa tra i 15 e i 24 anni, contro il 43,6% della media europea. Tra i 25 e i 29 anni, la percentuale di impiego saliva al 40%, a 14 punti percentuali di distanza dai Paesi europei. Valentina Magri e Francesco Pastore parlano di “Gioventù bloccata” nel saggio edito da Il Sole 24 Ore, descrivendo un’Italia in cui i giovani hanno possibilità lavorative inferiori rispetto ai coetani all’estero.

“Mismatch, underskilling, overskilling, overeducation, undereducation sono tutte forme di spreco di capitale umano non solo per chi le subisce direttamente sulla propria pelle, ma anche per l’università, le famiglie le imprese e la società nel suo complesso”,  avvertono gli autori.

Perché i giovani sono in panchina

Il disallineamento tra la formazione acquisita sui banchi di scuola e le competenze realmente necessarie alle imprese è il principale nervo scoperto. In prospettiva, per il 2022-2026 il Sistema informativo Excelsior prevede un mismatch quantitativo di oltre 50.000 laureati/e in media all’anno, con gravi carenze nel personale medico e sanitario (potrebbero mancare 19.000 laureati/e all’anno), nelle lauree Stem (-22.000) e nell’area economico-statistica.

“La cesura netta tra la pratica del lavoro e la grammatica della scuola è figlia della convinzione che la scuola serva a creare cultura. Tuttavia, la scuola non deve servire unicamente a quel fine, ma anche a permettere ai giovani di inserirsi nella società e contribuire con il lavoro”, si legge nel saggio. Invece, le lezioni sono rimaste ferme al Novecento: frontali e verticali. Alla didattica si chiede di cambiare, aggiornarsi, riorientarsi.

Un compito che deve portare a casa tutto il corpo docente e a cui devono allinearsi – dal canto loro – anche le imprese. Vedasi la formazione continua, a cui ancora si destina solo un tempo residuale. “La lotta ingaggiata contro il cambiamento è figlia di una scuola strutturata in modo troppo rigido e centralizzato, che finisce per essere incapace di adattarsi a un mercato del lavoro in continua evoluzione”, rilevano gli autori. E aggiungono: “Al contempo, le aziende preferiscono che sia la scuola superiore o l’università a formare i giovani, per scaricare il costo della formazione professionalizzante sul sistema. Ma bisogna fare un pezzo per uno”.

Mancanza di mobilità e povertà salariale

Questo prevede la messa in discussione di un sistema per troppo tempo seduto su vecchi schemi. Meritocrazia, questa sconosciuta. L’Italia è uno dei Paesi con la più bassa mobilità sociale: secondo il World Economic Forum siamo i 34° al mondo. In pratica, la possibilità che i giovani avranno di realizzarsi nella vita dipende ancora fortemente dalla condizione di partenza della famiglia di appartenenza. Un sistema che, così facendo, ostacola anche il processo di innovazione tecnologica e la crescita di lungo periodo, rappresentando una zavorra per la competitività del Paese nel mercato globale.

Non c’è da stupirsi, dunque, se i giovani l’Italia la lasciano. Il 41,6% di chi è emigrato all’estero nel 2021 ha tra i 18 e i 34 anni e complessivamente il numero degli emigranti all’estero tra il 2013 e il 2020 è aumentato del 41,8%. Un esodo che mina – e minerà ancora di più in futuro – le fondamenta del mercato del lavoro italiano.

Ma non solo le nuove generazioni lavorano meno, sono anche meno retribuite e quindi più povere rispetto alle generazioni precedenti. Ancora una volta, i giovani sono bloccati proprio quando dovrebbero giocare da titolari nella vita adulta.

Guardiamo gli stipendi: secondo AlmaLaurea, a un anno dal conseguimento della laurea, la retribuzione mensile netta (dati 2021) è in media di 1.340 euro per chi ha una laurea di primo livello e 1.407 euro per le lauree di secondo livello. Cinque anni dopo la laurea, si sale a 1.554 euro per le lauree triennali e 1.635 euro per le lauree magistrali. Tra chi si ferma al diploma, invece, lo stipendio medio a un anno dal titolo è di 729 euro che diventano 924 euro dopo tre anni.

A essere maggiormente premiati dal mercato del lavoro è, quindi, chi possiede una laurea magistrale, sebbene il differenziale di stipendio rispetto a diploma e titolo triennale non sia eclatante. Dunque, nonostante i laureati di alto livello siano merce rara, non sono valorizzati da parte delle imprese.

Imparare a orientarsi

“Spesso decisioni lavorative sbagliate sono la conseguenza di una mancanza di orientamento nella scelta degli studi in tutte le fasi del percorso universitario. Sarebbe utile – suggeriscono gli autori – dotarsi di un capillare sistema di monitoraggio del tasso di coerenza tra formazione professionale impartita da ciascun istituto scolastico o formativo e successivi sbocchi occupazionali effettivi”.

Non è vero, del resto, che tutto ciò che accade è inevitabile. Le cose possono cambiare. Si può decidere di sbloccare il Paese proprio grazie alle nuove generazioni attivando politiche realmente trasformative. Magri e Pastore mettono sul tavolo alcuni strumenti: la creazione di officine del lavoro, l’apprendimento “alla tedesca”, la riforma universitaria con la diversificazione dell’offerta tra un triennio generalista e uno professionalizzante, il potenziamento degli Its, e molto altro.

“L’Italia – concludono – ancora confusamente sta prendendo coscienza del fatto che l’estrema lentezza della transizione scuola-lavoro è dovuta alle istituzioni legate ai due mondi. Ma scuole, imprese, governo e famiglie possono provare a rimuovere alcune cause delle difficoltà”.

E possono farlo anche i giovani stessi: informandosi di più e meglio, accettando all’inizio anche lavori non direttamente coerenti con i propri studi, cogliendo tutte le occasioni possibili, in Italia e/o all’estero, per capire cosa significhi lavorare, inclusi lavoretti estivi ed esperienze di volontariato, partecipando a sessioni di mentoring e ad attività di networking, ascoltando e valorizzando le proprie passioni.

Come diceva Martin Luther King: “Non siamo responsabili dell’ambiente in cui nasciamo, né siamo responsabili delle nostre circostanze ereditarie. Ma c’è un terzo fattore di cui siamo responsabili, cioè la risposta personale che diamo a queste circostanze”.

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Titolo: “Gioventù bloccata”
Autori: Valentina Magri e Francesco Pastore
Editore: Il Sole 24 Ore
Prezzo: 16,90 euro

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