Solo un italiano su 2 è orgoglioso del proprio lavoro

“Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita, un senso non ce l’ha”

Cantava Vasco Rossi. Se dovessimo scegliere una colonna sonora da accompagnare alla lettura di questo articolo, sarebbe indubbiamente questa. Siamo immersi, tutti, in una ricerca di senso che spazia dall’educazione alle relazioni, dalla salvaguardia del pianeta all’inclusione sociale. Ma il lavoro, in quanto attività alla quale dedichiamo la maggior parte del nostro tempo (escluso il dormire), è forse il primo indagato quando parliamo di ricerca di senso.

Secondo la ricerca “Employees and companies: bringing back the spark in employee engagement” di BCG BrightHouse, appena un italiano su 2 è orgoglioso del lavoro che fa e trova senso nella propria occupazione. L’Italia è il Paese europeo con la percentuale più bassa di persone secondo cui la propria azienda ha definito chiaramente un “purpose”, ovvero lo scopo per cui questa esiste.

Dal “purpose” discendono le idee, i valori e i propositi che caratterizzano l’essenza di un’organizzazione e, di conseguenza, le scelte interne e di business. Non stupisce, quindi, che quasi un terzo dei rispondenti italiani dichiari che, a parità di posizione lavorativa, sarebbe disposto ad accettare una riduzione di stipendio dal 5% al 20% per lavorare in un’azienda con un “purpose” allineato ai propri valori e agli scopi che, come individuo, ritiene più importanti.

Cosa faresti se avessi più tempo?

Ecco il nuovo volto del lavoro. Un lavoro a cui siamo disposti a dedicare tempo, impegno ed energia, solo se ne riconosciamo l’impatto positivo. E qui, la retribuzione, c’entra solo in parte. Ciò che le persone valutano di più è come i manager si prendono cura di loro. Compensi e benefit sono importanti, ma per creare un ambiente di lavoro ideale, le aziende devono diventare luoghi in cui le persone possono perseguire la propria realizzazione. Per gli italiani, in particolare, è particolarmente importante avere stimoli intellettuali, avanzare nel percorso di carriera e innovare.

Le persone intervistate sarebbero disposte anche a dedicare maggior impegno al lavoro purché questo impegno non sia di tipo quantitativo (più ore in ufficio), ma qualitativo (maggiori responsabilità, attività di tutoraggio, formazione…). Altrimenti, in caso avessero a disposizione il 10% in più del tempo che hanno attualmente, preferirebbero dedicarlo ad attività personali che poco hanno a che fare con il lavoro (la priorità sarebbe fare sport o dedicarsi a qualche hobby). Questo dice molto su quali sono le nuove ambizioni dei lavoratori e delle lavoratrici.

I fattori chiave per l’azienda ideale

Ma quali sono gli aspetti su cui le aziende dovrebbero lavorare per ricucire la relazione con le proprie persone? Secondo l’indagine – a cui hanno risposto 2.500 persone tra impiegati e manager di tutta Europa –, sono 3 i fattori chiave in un’organizzazione: la qualità dell’ambiente di lavoro, prioritaria per il 92% degli italiani, l’attenzione alla conciliazione (votata dall’89% del campione italiano) e l’aspetto relazionale, indicato dal 71% degli europei e dal 78% degli italiani. A ciò si aggiunge l’impatto che l’azienda crea all’esterno: il 31% del campione vorrebbe lavorare per una realtà il cui contributo verso la società sia davvero riconosciuto.

Il luogo di lavoro ideale, dunque, è caratterizzato da umanità, fiducia, impatto. Ovvero: business sostenibile. Se cerchiamo antidoti a grandi dimissioni e quiet quitting, è qui che dobbiamo investire. «In Europa – commenta Cara Castellana Kreisman, senior strategy director di Brighthouse – diventa sempre più rilevante il concetto di “purpose” e, se guardiamo ai dati, questo significa che viene data maggiore importanza al lavoro che mette al centro le persone e con una buona reputazione. Si tratta di due aree spesso trascurate, soprattutto in un contesto in cui l’orizzonte economico è ancora incerto, ma questi temi non possono più essere messi in secondo piano».

L’impegno per la diversity

Parlando di scopo, emergono, inoltre, profonde differenze geografiche: mentre per il 70% degli intervistati in Svezia, Regno Unito e Germania la propria azienda ha un “purpose” chiaro, per gli italiani la percentuale scende a meno della metà (45%). Guardiamo in particolare alla DEI, ovvero alle attività di Diversity, Equity e Inclusion: il 22% degli intervistati non sa come la propria azienda ideale possa contribuire a questi temi, anche se il 32% richiede maggiori iniziative di comunicazione e formazione proprio in questo ambito. Il 44% degli intervistati, infatti, si aspetta che la propria azienda contribuisca alla DEI affinando i processi organizzativi e definendo una visione strategica in materia.

Il lavoro, quindi, non è più fine a se stesso, ma è un mezzo per poter realizzare i propri progetti e per sentirsi parte di una comunità. Ed è in questo impatto che si ritrova il senso. Il senso del lavoro e il senso della vita.

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