Grandi dimissioni: che lavoro vogliamo per il futuro?

Nessuno vuole lavorare più. Così è o, meglio, così pare. Con quasi 2,2 milioni di dimissioni registrate in Italia nel 2022 e oltre 300.000 nel primo trimestre del 2023, sembra che la fuga dal lavoro sia segnata. Francesca Coin, nel suo saggio “Le Grandi Dimissioni” (Einaudi), parla di un divorzio inevitabile: l’immaginario tradizionale del lavoro, presentato per anni come una forma di emancipazione o di gratificazione, durante la pandemia è andato in frantumi e oggi le dimissioni e gli abbandoni silenziosi raccontano una potente miscela di traumi e desideri di trasformazione.

Anzitutto, secondo Coin, non siamo in fuga dal lavoro tout court, ma dal lavoro povero, disallineato dai nostri valori e ricattante. “Non è più accettabile lavorare sessanta ore a settimana e non riuscire a pagare l’affitto. Non è accettabile che i compensi scendano mentre i profitti aumentano. Non è accettabile – continua Coin – scambiare il tempo libero per una forma gratuita di reperibilità”.

I settori più colpiti

Il problema sta nella cultura tossica che ha deteriorato il rapporto tra lavoro e persone. Basta guardare ad alcuni settori: la ristorazione, in primis. Nel volume, l’autrice racconta storie di turni interminabili, senza riposi, con paghe misere e vessazioni continue.

Altrettanto drammatica la situazione nella grande distribuzione, la cui sintesi più efficace è nelle parole di una cassiera: “Durante il Covid, con gli assalti ai supermercati, mi sono sentita trattata come se fossi stata parte della cassa”.

E poi i lavoratori e le lavoratrici della sanità pubblica. Il sindacato dei camici bianchi ospedalieri, Anao Assomed, ha definito quanto accaduto durante la pandemia come un “girone dantesco”, in cui energia e dedizione si sono trasformate in burnout e inaridimento emotivo. Molti, passata l’emergenza, hanno deciso di lasciare. Per tornare a respirare. Oppure per diventare medici “gettonisti”, a chiamata. Come Luca, che nel primo mese da libero professionista ha fatturato 4mila euro lordi con 120 ore di lavoro. Per la stessa quantità di lavoro, nel pubblico, guadagnava 1.800 euro.

Infine, ma per molti versi in cima alla lista, le donne. Il lavoro tossico ha riguardato (e tuttora riguarda) soprattutto loro: sottopagate, sotto inquadrate, sovraccaricate, complici anche le attività domestiche a loro carico (quasi) esclusivo. Le dimissioni per molte di loro sono stata l’unica opzione. Ancora una volta, si sono fatte da parte, allargando così la forbice già ampissima del gender gap.

Quale futuro?

Dal libro di Coin, portiamo a casa una domanda: che lavoro vogliamo per il futuro? Le grandi dimissioni sono destinate a restare o le ricorderemo come un’ondata passeggera? Per l’autrice “liberare la vita dal lavoro diventa un’urgenza esistenziale”.

Una provocazione, forse, in un Paese come l’Italia, in un cui una parte sostanziale della popolazione non lavora (donne e giovani, in primis). Eppure, da stimolo: per provare a vivere e lavorare in modo diverso. Per trovare un equilibrio che esuli dai compromessi e vada all’essenza. La vita e il lavoro, non in lotta, l’uno a discapito dell’altro, ma finalmente insieme.

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Titolo: “Le grandi dimissioni”
Autrice: Francesca Coin
Editore: Einaudi, 2023
Prezzo: 17,50 euro

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  • Luca |

    Ricordo proprio un articolo del Sole 24 Ore che smentiva sta teoria delle grandi dimissioni, almeno in Italia (in Usa è diverso ma le motivazioni pure). Nell’articolo si indicava come in realtà le dimissioni italiane fossero per lo più dovute a cambiamento di lavoro nello stesso settore. Il che semmai è indice di mercato del lavoro che funziona (anche se veniva criticato il fatto che si rimaneva chiusi nello stesso settore). A volte mi pare che si voglia manipolare i dati per giustificare la narrazione. Quella nel libro sembra proprio il caso, si è partiti dalla fine per descrivere il resto. Poi ovvio che oggi si sia perso un po’ il senso (dovere?) del lavoro, ma per altri motivi. Li ha descritti molto meglio Ricolfi

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